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La vedova del brigadiere Cerciello: gli ho chiuso occhi e dato un bacio nella bara

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 “Ho chiuso i suoi occhi, era su un letto con una coperta che lo copriva, l’ho baciato e ho messo la mia testa sul suo petto, come facevamo per addormentarci la sera”. Sono le parole, il ricordo struggente di Rosa Maria Esilio, la moglie del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, dei minuti successivi alla morte del carabiniere colpito con undici coltellate la notte del 26 luglio scorso a Roma. Davanti ai giudici della prima corte d’Assise, nel processo a carico degli americani Finnegan Lee Elder e Gabriele Natale Hjorth accusati di concorso in omicidio, la donna ha raccontato, spesso bloccata dalle lacrime, la sua storia “d’amore con Mario” e le drammatiche ore di quella notte. La vedova ha mostrato ai giudici anche il portafoglio di Cercello, la placca di riconoscimento con ancora le macchie del suo sangue sopra.

“Mi aveva promesso che la domenica successiva mi avrebbe portato al mare ma lo hanno ucciso – ha detto la signora Cerciello -. Quella sera cenammo e mi saluto’ per andare a fare il turno di notte. Quello fu il nostro ultimo saluto. Nel corso di quella notte ci siamo sentiti telefonicamente due volte”. Nel corso dell’audizione la donna ha raccontato di avere conosciuto il vicebrigadiere nel 2010. “Mi ha corteggiato spudoratamente e mi disse subito che mi voleva sposare – ha detto -. Era l’anno dopo la morte di suo padre e a 26 anni era diventato un punto di riferimento per tutti, si e’ assunto la responsabilita’ di tutta la famiglia. Era un uomo d’altri tempi, all’antica. Era un carabiniere coraggioso e preparato, la sua era una vocazione. Abbiamo fatto tanti sacrifici insieme: avevamo scelto gia’ i nomi dei nostri figli”. La testimone ha ricordato che Cerciello faceva “volontariato ed era sempre pronto ad aiutare gli ultimi, anche i senzatetto. Aveva una umanita’ senza confini. Mi chiese di sposarlo quando andammo a Lourdes in pellegrinaggio, davanti alla grotta della Madonna. Eravamo sempre connessi, un’unica cosa, eravamo complementari”. Tornando con la memoria a quella tragica serata, la signora Esilio ha ricordato che il marito era uscito di casa mettendo ” come sempre” il portafoglio con la placca e le manette nelle tasche anteriori dei pantaloni.

Gli accusati. Finnegan Lee Elder e Gabriel Natale sono i due americani fermati per l’omicidio del vice brigadiere Cerciello

“Aveva sempre un borsello – ha aggiunto – ma il portafoglio e le manette li aveva sempre addosso. Alle quatto di mattina mi chiamo’ mio cognato Paolo per dirmi che era successo qualcosa e che stavano operando Mario. Chiamai la caserma di piazza Farnese e dalla voce del piantone ho capito che era successo qualcosa di grave. Ho preso un taxi e sono andata al pronto soccorso del Santo Spirito, con me avevo solo un rosario. Dopo un po’ un infermiere mi si avvicino’ per darmi una bustina con dentro la fede di mio marito, una catenina e un bracciale. Ero in attesa e notai su un muretto il portafoglio e le manette ma mi dissero che non le potevo prendere”. La vedova del vicebrigadiere ha poi aggiunto: “andai dai medici che mi dissero che Mario era morto e che avevano fatto di tutto per salvarlo”, ha concluso. Una ricostruzione toccante al punto che Elder, scosso e commosso, ha chiesto e ottenuto di potere lasciare l’aula per fare ritorno in carcere. “Rosa Maria Esilio nel corso della sua toccante testimonianza – ha commentato il suo legale, l’avvocato Massimo Ferrandino – in aula ha chiarito, cosi’ come detto dal vicebrigadiere Verde, un particolare fondamentale per questo processo: Cerciello quella sera aveva con se’ sia le manette che il distintivo”. Nel corso dell’udienza e’ stato ascoltato anche il medico Giovanni Pittella, consulente per le parti civile che ha confermato che “gli 11 colpi che hanno raggiunto Cerciello sono stati profondi e precisi. Una azione messa in atto con dimestichezza e abilita’, durata poco piu’ di 30 secondi”. Intanto, la corte ha respinto l’istanza dei difensori di Natale Gabriele Hjorth, che chiedevano gli arresti domiciliari per il loro assistito nella casa dei nonni a Fregene, sul litorale romano. I giudici non hanno ritenuto scemate le esigenze cautelari e l”americano restera’ dunque in carcere. (

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Elezioni comunali con 23 liste a Bisegna: il trucco della vacanza retribuita dietro una farsa elettorale

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Incredibile ma vero: 23 liste si sono presentate per le elezioni amministrative di Bisegna, minuscolo comune abruzzese in provincia dell’Aquila, con appena 212 abitanti. Un numero spropositato che nasconde una realtà scandalosa: 21 liste su 23 sono composte da agenti della polizia penitenziaria che si sono candidati non per partecipare davvero al processo democratico, ma per usufruire di un mese di aspettativa retribuita, garantita dalla legge, con la scusa della campagna elettorale.

Il vero scopo: un mese di ferie pagate

Delle 23 liste, solo due rappresentano candidati locali che hanno a cuore il futuro del paese. Le altre sono state messe in piedi esclusivamente per consentire ai candidati di prendere ferie retribuite: un abuso normativo che trasforma le elezioni, fondamento della democrazia, in una comoda vacanza a spese dei contribuenti. Una beffa clamorosa, soprattutto se si pensa che alle ultime elezioni hanno votato solo 150 persone.

Un meccanismo che tradisce la fiducia nelle istituzioni

Questa vicenda getta un’ombra pesante sulla credibilità del sistema elettorale locale. Organizzare liste fittizie per ottenere privilegi economici senza alcuna intenzione di governare o migliorare la vita di una comunità tradisce lo spirito delle elezioni, nate per consentire ai cittadini di scegliere chi li rappresenterà davvero.

Un caso che chiede risposte immediate

La situazione di Bisegna impone una riflessione urgente: è inaccettabile che le regole, pensate per garantire la partecipazione democratica, vengano piegate a interessi personali. Serve un intervento normativo che blocchi questi abusi e ristabilisca il rispetto per un diritto fondamentale come quello del voto.

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Un 19enne muore in un incidente in bicicletta

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Un giovane di 19 anni, di origine nigeriana, è morto questa sera in un incidente stradale avvenuto lungo via Roma, a Roscigno, nel Salernitano. Secondo una prima ricostruzione, il ragazzo, ospite del centro di accoglienza Sai del comune degli Alburni, stava rientrando dopo aver fatto la spesa quando ha perso il controllo della bicicletta ed è finito contro un albero sul lato opposto della carreggiata. Restano da chiarire le cause dell’impatto: al momento non si esclude alcuna ipotesi, dal coinvolgimento di altri veicoli a una manovra improvvisa per evitare un ostacolo. Possibile anche che il giovane abbia avuto difficoltà a gestire le buste della spesa durante la pedalata. Sul posto sono intervenuti i sanitari del 118, ma per il 19enne non c’era più nulla da fare. Per risalire all’esatta dinamica dell’incidente indagano i carabinieri della compagnia di Sala Consilina.

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Identikit del nuovo Papa, chi raccoglie eredità Francesco

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Il principale, grande nodo che i cardinali che si riuniranno nella Sistina dovranno sciogliere nell’individuare la figura del nuovo Pontefice sarà su chi potrà raccogliere la grande eredità di papa Francesco. I tanti cantieri aperti lasciati dal Pontefice scomparso, i “processi avviati” come li chiamava lui, sono altrettanti capitoli di cui scrivere un futuro e su cui, se possibile, non fermarsi, né tanto meno tornare indietro. Quando dodici anni fa si dimise Benedetto XVI, la Chiesa attraversava una grave crisi, provata dagli scandali come il primo Vatileaks, le ondate di rivelazioni sugli abusi sessuali – peraltro favorite proprio da Ratzinger, il primo a promuovere la ‘tolleranza zero’ -, e la stessa rinuncia del Papa per l’età avanzata e le difficoltà nel fare fronte alle resistenze interne, che avevano fatto fortemente ondeggiare la ‘barca di Pietro’.

E il mandato dei cardinali a chi sarebbe diventato il nuovo Papa era stato di rifondare la Chiesa su una nuova base di rinascita cristiana e di rilanciata missione evangelizzatrice. Proprio quello che ha perseguito, non senza pesanti ostacoli, Jorge Mario Bergoglio in questi dodici anni di pontificato, con le riforme in primo luogo finanziarie, poi della Curia con l’inedito mandato ‘di governo’ anche ai laici e alle donne, sulla protezione dei minori, e col proprio atteggiamento personale di radicalità cristiana, di vicinanza ai più poveri, ai migranti, agli ‘scartati’, di indefessa abnegazione in favore della pace, della fratellanza umana e del dialogo con le altre religioni. Un insieme di spinte in avanti che rimettono in primo piano molti dei propositi ancora inattuati del Concilio Vaticano II, finora gravati da contrarietà e passività all’interno della Chiesa.

Senza contare l’ultimo grande cantiere aperto da Francesco, quello della Chiesa ‘sinodale’, su cui a parte i due Sinodi già svolti il Papa defunto ha indetto un ulteriore triennio per l’attuazione, con una grande e finale “assemblea ecclesiale” già programmata per l’ottobre del 2028. Un’eredità, quindi, in buona parte già scritta quella che dovrà raccogliere il prossimo, e 266/o, successore di Pietro. Che dovrà riprendere in mano tutte le riforme e portarle avanti secondo le proprie sensibilità e priorità. Oltre che con la necessaria autorevolezza e capacità di governo, qualità indispensabili per il pastore universale di un organismo della complessità e vastità della Chiesa cattolica.

Questo, insomma, sarà l’identikit del nuovo Papa, almeno per chi pensa che sulla rivoluzione imposta da Bergoglio in tanti settori ecclesiali “non si può tornare indietro”. E, a parte gli elenchi dei papabili e i possibili fronti contrapposti, nelle congregazioni generali pre-Conclave, come accadde proprio nel 2013 con la successiva elezione di Francesco, avrà la meglio chi nei propri interventi riuscirà a trasmettere carisma e a catalizzare maggiormente i convincimenti dei confratelli. Non mancherà certo l’assalto dei restauratori, di chi nel Collegio cardinalizio vorrebbe riportare indietro l’orologio della storia e fare piazza pulita di molte delle innovazioni di Francesco, in particolare in campi come la pastorale della famiglia (c’è chi non nasconde di non aver ancora digerito la comunione ai divorziati risposati) o peggio ancora le benedizioni alle coppie gay, o anche i rapporti con le altre religioni, oppure certe fughe in avanti tuttora mal sopportate.

Il fatto che ben 108 dei 135 cardinali elettori, cioè l’80 per cento, siano stati nominati da Francesco non garantisce sul risultato finale: si tratta di un gruppo molto composito, tra cui molti non si conoscono fra loro, e che comprende anche fieri oppositori della linea di Bergoglio. Un nome per tutti, l’ex prefetto per la Dottrina della fede, Gerhard Ludwig Mueller, fiero oppositore della linea bergogliana. L’esito del Conclave è dunque molto incerto. E a parte i favoriti elencati finora dai media, è possibile che alla fine prevalga un nome del tutto a sorpresa.

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