Addestrata dal gruppo armato curdo Pkk ed entrata illegalmente in Turchia dalla Siria. La “confessione” di Ahlam Albashir, la donna siriana catturata durante la notte e ritenuta responsabile dell’attentato che ha ucciso ieri 6 persone a Istanbul, conferma quanto le autorità turche avevano dichiarato già a poche ore dalla strage. Dopo i primi arresti, durante la notte e a inchiesta ancora in corso, Ankara ha infatti puntato subito il dito contro il Pkk, il partito dei lavoratori del Kurdistan che da 40 anni è coinvolto in un conflitto contro l’esercito turco. “L’ordine per l’attacco è stato dato da Kobane, nel nord della Siria, dove il Pkk-Ypg ha il suo quartier generale siriano”, ha affermato il ministro dell’Interno Suleyman Soylu, accusando allo stesso tempo anche le milizie curde Ypg, ritenute da Ankara il braccio siriano del Pkk. Per questo motivo la Turchia ha respinto sdegnata le condoglianze offerte ieri da Washington.
Ankara ha sempre criticato il sostegno dato dagli Usa alle milizie Ypg in funzione anti Isis e dopo avere incolpato anche i curdi di Siria per l’attacco di ieri, Soylu ha detto che le condoglianze americane “sono come l’assassino che arriva per primo sul luogo del delitto”, mentre un portavoce del presidente Recep Tayyip Erdogan ha affermato che “gli attacchi terroristi contro i nostri civili sono conseguenze dirette o indirette del sostegno di alcuni Paesi ad organizzazioni terroristiche”. Sia il Pkk che le milizie Ypg hanno però negato qualsiasi legame con la strage, affermando che le loro azioni non prendono di mira i civili. Intanto restano ancora gravi due degli 81 feriti nell’esplosione che ha distrutto la tranquillità della passeggiata domenicale per migliaia di persone che ieri affollavano la via pedonale più centrale di Istanbul. Due i minorenni tra le sei vittime, morti insieme al padre e alla madre, mentre le altre due persone che hanno perso la vita erano una coppia sposata.
Secondo gli inquirenti, che hanno esaminato i filmati di 1200 telecamere di sorveglianza nella zona, Albashir avrebbe piazzato per strada un ordigno a base di tritolo, nascosto in una borsa, per poi lasciare la scena e subito dopo l’esplosione dirigersi in taxi verso Esenler, un quartiere periferico di Istanbul. Durante la notte, le squadre dell’antiterrorismo hanno fatto irruzione in 21 diversi indirizzi e arrestato 45 persone, oltre alla donna siriana, che sono sospettate di avere dei legami con l’attentato. “Ieri pomeriggio ero qui dietro alla cassa quando c’è stato l’attacco, è stato terribile”, ha raccontato l’impiegato di una pasticceria che si trova a qualche metro di distanza dal luogo dell’attentato su Istiklal caddesi, la lunga via pedonale dove oltre ai negozi più alla moda ci sono anche edifici d’epoca ottomana e sedi di missioni diplomatiche, come quella russa, olandese e svedese. Chiusa per tutta la notte, la via è stata riaperta ai pedoni in mattinata e appariva meno affollata del solito mentre la presenza delle forze di sicurezza era visibilmente aumentata e molti negozi hanno lasciato per oggi le serrande chiuse. In tantissimi si sono radunati presso il luogo della strage per commemorare le vittime – tutte turche – lasciando garofani rossi.
Oltre al ministro dell’Interno Soylu e il sindaco di Istanbul eletto con l’opposizione, Ekrem Imamoglu, si è recato sul posto anche il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo, considerato il leader più prestigioso della cristianità ortodossa, che ha pregato per le vittime e condannato l’attentato. “Me l’aspettavo, certo che me l’aspettavo. Si stanno avvicinando le elezioni in Turchia”, è stato il commento del proprietario di un negozio vicino al luogo dell’esplosione. Come le autorità turche, anche lui ritiene che l’attentato sia stato pianificato e compiuto dal gruppo armato curdo Pkk.