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Cronache

La strage del bus, carte sul cavalcavia ai pm da un anno

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Non c’erano solo le polemiche politiche o a mezzo stampa sul cavalcavia maledetto di Mestre, dove martedì scorso sono morte 21 persone per la caduta di un bus navetta per i turisti. Le condizioni vetuste della struttura, e le ormai anacronistiche misure di sicurezza, avevano già interessato in qualche modo l’autorità giudiziaria lagunare, tanto che le “carte” sul manufatto sarebbero state già acquisite oltre un anno fa dalla Procura, assieme ai progetti per il consolidamento e ristrutturazione, compresi quelli sul rifacimento delle protezioni laterali. Non ne sarebbe scaturita un’inchiesta vera e propria, ma una acquisizione di informazioni, senza sviluppi. La tragedia del bus ha rimesso tutto in gioco, evidentemente, risollevando i dubbi sui presunti ritardi nell’esecuzione della ristrutturazione del cavalcavia, avviata da alcune settimane nella rampa di salita, e non in quella di discesa dove è avvenuto il disastro.

“Non sono a conoscenza se dal 2021 vi sia un fascicolo in Procura, ma confermo che le preoccupazioni sullo stato di salute di quel cavalcavia hanno portato gli uffici della Viabilità a lavorare intensamente, finché oggi è palese un cantiere aperto per la messa in sicurezza, dal 4 settembre”, ha ribadito l’assessore veneziano alla mobilità Renato Boraso, ricordando che la posa di un guardrail nuovo “è un lavoro complesso” e che “purtroppo, in Italia i passaggi formali sono così tanti che solo con il commissariamento si accelerano le opere pubbliche”. A ritardare la partenza dei lavori, ha aggiunto, “abbiamo avuto anche la sfortuna del Covid, che per mesi ha rallentato tutto”, ma al netto delle inchieste e degli approfondimenti “oggi rispondo io del lavoro dei miei uffici, che governano 1.200 chilometri di strade comunali, e so anche – ha concluso – che qualcun altro non ha fatto nulla per anni”. A Boraso ha replicato l’ex vicensindaco, ora consigliere dei Verdi, Gianfranco Bettin.

“A me risulta – dice – che l’accordo tra Provincia/Città metropolitana e Comune di Venezia per trasferire a quest’ultimo la competenza sul “cavalcavia superiore” (che la Provincia ricevette dall’Anas nel 2001) sia ricompreso in una delibera quadro approvata dal Commissario nel 2015″. Nonostante ciò, prosegue Bettin, subito dopo l’incidente di martedì “esponenti dell’amministrazione comunale hanno alluso a responsabilità di altri nella tragedia, chirurgicamente depistando verso ’15 o 10 anni fa’ (esattamente prima delle giunte Brugnaro) o, il sindaco stesso, attribuendo le responsabilità dell’acquisizione onerosa del cavalcavia ‘ai sindaci che lo hanno preceduto. Nessun sindaco prima dell’attuale ha, perciò mai avuto competenza sul cavalcavia superiore e ’15 o 10 anni fa’ essa era nelle mani della Provincia/Cittàmetropolitana”.

Intanto, sul fronte clinico dei sopravvissuti, oggi a Mestre è stato dimesso il primo dei feriti, un cittadino tedesco di 28 anni, le cui condizioni erano migliorate negli ultimi giorni. E’ il padre della piccola Charlotte Nima Frommherz, un anno e 5 mesi, la vittima più piccola dell’incidente. La mamma della bambina, di 27 anni, è in cura nel reparto di terapia intensiva. Invariate le condizioni degli altri 14 pazienti ricoverati. Per le 20 vittime straniere non si prospettano tempi veloci per il rimpatrio delle salme. Nell’obitorio dell’ospedale di Mestre sono allineate le bare, e di alcune è già stata disposta la chiusura. Ma le “carte” necessarie al trasporto non sono ancora completate, ed è escluso che oggi i carri funebri possano ritirare i feretri. Bisognerà attendere lunedì.

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L’addio a Papa Francesco seguito da tutto il mondo, dalle tv ai social

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Francesco lo avrebbe voluto cosi: quello di Bergoglio è da considerarsi ad oggi il funerale di un pontefice con il più vasto accesso a livello mondiale. Non per le 250mila persone stimate in piazza San Pietro, ma per l’incalcolabile moltitudine di schermi accesi sulle esequie: quelli tv ma anche cellulari, tablet, pc e laptop. Con i social che da soli hanno sfiorato i 7 milioni di interazioni nelle ultime 12 ore. I network internazionali più noti – per la gran parte americani ma non solo, come Bbc, Sky e Al Jazeera – hanno tutti offerto sui propri siti web le dirette video della cerimonia in Vaticano e gli aggiornamenti fin dai primi arrivi sul sagrato della Basilica. E poi i quotidiani in ogni lingua, le radio, i canali youtube, a partire da quello della Santa Sede che ha trasmesso la cerimonia per intero. La rivoluzione tecnologica, che ha viaggiato veloce negli ultimi 20 anni – ovvero dal funerale di Giovanni Paolo II – ha portato così tutto il mondo lungo via della Conciliazione, tra le colonne di piazza San Pietro e al seguito dell’ultimo viaggio del pontefice che ha attraversato Roma fino alla Basilica di Santa Maria Maggiore: dalle Filippine (il più popoloso paese cattolico al mondo), all’Africa, passando per l”Asia, gli Stati Uniti o l’America Latina che a papa Francesco aveva dato i natali. L’attesa era tale che fin dai giorni precedenti diverse testate, nelle loro edizioni online, offrivano indicazioni in dettaglio su come sintonizzarsi: le pagine web, gli orari, i canali social dedicati. Quest’ultima la maggiore novità da quando, nel 2005, il mondo salutò un papa in carica con la morte di Karol Wojtyła . E’ infatti, per esempio, rimbalzata prima sui social l’immagine – subito considerata storica – del faccia a faccia fra il presidente Usa Donald Trump e quello ucraino Volodymyr Zelensky nelle navate della Basilica prima delle esequie. E dalle prime analisi risulta essere al top dell’interesse globale, sfiorando alle 15 (ora italiana) quasi 3 milioni di interazioni, esattamente 2 milioni 915 mila e 481 così divise: su X 547.789, su Instagram 1.689.547 e su Facebook 678.145, secondo l’analisi della società Arcadia sulle conversazioni social e sul web. Tra le 25 emoji più utilizzate online per commentare i funerali ci sono le mani congiunte in preghiera e le bandiere dello Stato Pontificio, dell’Argentina e degli Stati Uniti. E, ovviamente, quasi la metà (47%) sono gli utenti dai 25 ai 34 anni ad aver partecipato maggiormente alle conversazioni digitali.

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Il rosso e il nero, a San Pietro geografia del potere

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Il rosso porpora dei cardinali e il nero degli abiti in lutto, il bianco delle rose e il marmo bianco del colonnato. Tra cerimoniale e protocollo sul sagrato di San Pietro si è dispiegata la geografia del potere spirituale e temporale racchiusa nella regia sapiente del rito. Le spettacolari immagini dall’alto, realizzate grazie anche all’inedito utilizzo di droni, hanno trasformato piazza San Pietro in una gigantesca scacchiera dell’equilibrio mondiale: da un lato il rosso degli abiti cardinalizi, dall’altro il nero degli abiti dei capi di Stato e consorti sapientemente distribuiti in base a ruolo e peso internazionale. A seguire, in una sorta di sfumatura cromatica, il bianco dei concelebranti e i variopinti completi delle decine di migliaia di fedeli. In prima fila la delegazione italiana e quella argentina alle quali si sono affiancate, con un piccolo strappo al cerimoniale che voleva una disposizione in ordine alfabetico francese, quelle dei principali governi europei e mondiali, dalla Francia agli Stati Uniti, passando per la Spagna e l’Ucraina. L’unico outfit blu, invece del tradizionale nero, è stato quello del presidente americano, Donald Trump che, in prima fila, si trovava tra Filippo di Spagna ed Emmanuel Macron. Zelensky per un giorno ha dismesso maglietta e pantaloni tecnici in verde militare per vestire di nero. Poi le first ladies di ieri e di oggi e nobili col capo coperto da un velo nero, da Melania Trump a Jill Biden, da Silvia di Svezia a Letizia di Spagna. Victoria Starmer ha preferito però un cappello con veletta. Capo coperto anche per la figlia del presidente Mattarella, Laura. Giorgia Meloni, Ursula Von der Leyen e Brigitte Macron non hanno rinunciato allo stile rigoroso ma senza veletta. L’austerità della celebrazione a piazza San Pietro ha lasciato poi spazio alle rose bianche con cui i poveri e i migranti hanno accolto il feretro di Francesco a Santa Maria Maggiore, proprio come lui avrebbe voluto. Gli zuccotti rossi dei cardinali si confondevano con le giacche beige dei fedeli o le magliette dell’Argentina, ai jeans strappati e gli smanicati rossi. Ad accompagnare il feretro verso la cappella dove poi Bergoglio è stato tumulato prima i domenicani, con il loro tradizionale – ed umile – abito nero e bianco, e poi quattro bambini. Nelle loro mani due cesti di rose bianche offerte dai poveri davanti all’altare della Basilica tanto cara a Francesco. Lo stesso altare sul quale, dopo le dimissioni dal Gemelli, il Pontefice decise di far deporre a sorpresa i fiori gialli della signora Carmela. Che, anche oggi, immancabile, ha deciso di prender parte alle esequie, tra i Grandi della Terra e gli “ultimi del mondo”.

(Foto in evidenza di Imagoeconomica)

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Elezioni comunali con 23 liste a Bisegna: il trucco della vacanza retribuita dietro una farsa elettorale

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Incredibile ma vero: 23 liste si sono presentate per le elezioni amministrative di Bisegna, minuscolo comune abruzzese in provincia dell’Aquila, con appena 212 abitanti. Un numero spropositato che nasconde una realtà scandalosa: 21 liste su 23 sono composte da agenti della polizia penitenziaria che si sono candidati non per partecipare davvero al processo democratico, ma per usufruire di un mese di aspettativa retribuita, garantita dalla legge, con la scusa della campagna elettorale.

Il vero scopo: un mese di ferie pagate

Delle 23 liste, solo due rappresentano candidati locali che hanno a cuore il futuro del paese. Le altre sono state messe in piedi esclusivamente per consentire ai candidati di prendere ferie retribuite: un abuso normativo che trasforma le elezioni, fondamento della democrazia, in una comoda vacanza a spese dei contribuenti. Una beffa clamorosa, soprattutto se si pensa che alle ultime elezioni hanno votato solo 150 persone.

Un meccanismo che tradisce la fiducia nelle istituzioni

Questa vicenda getta un’ombra pesante sulla credibilità del sistema elettorale locale. Organizzare liste fittizie per ottenere privilegi economici senza alcuna intenzione di governare o migliorare la vita di una comunità tradisce lo spirito delle elezioni, nate per consentire ai cittadini di scegliere chi li rappresenterà davvero.

Un caso che chiede risposte immediate

La situazione di Bisegna impone una riflessione urgente: è inaccettabile che le regole, pensate per garantire la partecipazione democratica, vengano piegate a interessi personali. Serve un intervento normativo che blocchi questi abusi e ristabilisca il rispetto per un diritto fondamentale come quello del voto.

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