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La rivolta dei gilet gialli, Macron prova a cambiare rotta: ho fatto cavolate, troppe tasse in Francia

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Per la quarta domenica consecutiva, Parigi raccoglie le macerie lasciate dai casseur: “Una catastrofe per l’economia”, come la definisce il ministro Bruno Le Maire. A pezzi anche il rapporto Francia-Usa, con Donald Trump caldamente invitato da Parigi a “non immischiarsi” nei fatti interni francesi con i suoi tweet irridenti. E intanto affiorano i sospetti di “ingerenza straniera”, con la Russia in prima fila. Emmanuel Macron, sempre in silenzio e nelle stanze dell’Eliseo, si prepara al lunedi’ in cui dovrà giocarsi tutte le carte, prima fra tutti il jolly delle concessioni ai gilet gialli per evitare che sabato prossimo prenda forma un quinto appuntamento con la guerriglia a ridosso di Natale.

Emmanuel Macron. Il présidente francese ha chiesto a Donald Trump di non intromettersi in questioni interne della Francia

Accerchiato dai nemici, interni e internazionali, Macron sta mettendo a punto i ritocchi agli annunci che farà domani sera, rivolgendosi finalmente ai francesi in tv alle 20. Tagli alle tasse, aumento dei sussidi e delle pensioni minime, rinuncia all’ecotassa, o addirittura rimpasto di governo e siluramento di Edouard Philippe: il toto-proposte impazza, ma gia’ domani mattina si avranno le prime anticipazioni, perche’ dalle 10 il presidente riceverà all’Eliseo le alte cariche dello Stato, i partiti, i sindacati e tutti i partner sociali per illustrare loro, in anteprima, il suo piano per disinnescare il grande conflitto sociale. “Ho fatto delle cavolate, ci sono troppe tasse in questo Paese!”, si sarebbe sfogato venerdi’ scorso Macron incontrando i sindaci, secondo la ricostruzione offerta stamattina da Le Parisien. E ora sembra deciso a porvi rimedio. Ad ogni modo stamattina la Francia si e’ risvegliata ancora una volta con la testa pesante dopo la sbronza di violenza del sabato. Se il consenso per i gilet gialli, pur in calo, resta alto, il governo appare sull’orlo di una crisi di nervi.

Il nuovo tweet di Trump, che si accoda ai gilet gialli e spiega la loro rivolta con l’accordo di Parigi sul clima, da lui osteggiato, ha fatto reagire con stizza i vertici: “Noi non interveniamo sulla politica interna americana e ci piacerebbe fosse reciproco”. Per una volta non ha avuto bisogno di codici diplomatici il capo del Quai d’Orsay, Jean-Yves Le Drian, che è stato ben attento ad associare alla sua presa di posizione il presidente Macron.

La Francia guarda anche ad altri nemici, quelli che hanno messo in rete venerdì sera i piani della prefettura per gestire la manifestazione. E gli 007 indagano su possibili “ingerenze straniere”, dopo che ieri il Times aveva avanzato un’ipotesi di attività sospette sui social network legati alla Russia. Ma la cordata ostile non si ferma qui. “L’internazionale populista”, come la chiamano alcuni media, si è messa in moto per spalleggiare i gilet gialli – scrive ad esempio oggi L’Obs – proprio nel cuore di quella che Macron avrebbe voluto fosse la base operativa mondiale dell’antipopulismo e del progressismo. Il settimanale nota che “Donald Trump si propone come guida suprema dei manifestanti francesi” e Steve Bannon ha esultato con un “Parigi brucia!”. Gert Walders, il leader dell’estrema destra olandese, ha twittato un bel gilet giallo, mentre in Serbia un deputato di estrema destra ha indossato l’indumento della protesta addirittura in parlamento, mentre “il presidente turco Erdogan, che di repressione se ne intende, non ha potuto non denunciare le violenze della polizia”. Ce n’è anche per Matteo Salvini, che “non nasconde la sua gioia di fronte ai guai dei francesi”. Insomma, “il presidente francese è diventato il simbolo di tutti i valori” che “l’internazionale populista” detesta.

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Kiev, 278.130 soldati russi sono rimasti uccisi in battaglia

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Secondo lo Stato Maggiore delle forze armate ucraine, il bilancio dei militari russi morti in Ucraina è salito a circa 278.130, di cui 470 sono rimasti uccisi solo nelle ultime 24 ore. Il report quotidiano delle Stato maggiore è stato postato su Facebook. “Tra il 24 febbraio 2022 e il 30 settembre 2023, il totale delle perdite in combattimento del nemico comprendeva anche 4.691 carri armati, 8.984 veicoli corazzati da combattimento, 6.447 sistemi di artiglieria , 796 sistemi di razzi a lancio multiplo, 537 sistemi di guerra antiaerea, 315 aerei, 316 elicotteri, 8.854 veicoli a motore e serbatoi di carburante, 20 navi/barche da guerra, 1 sottomarino, 5.006 veicoli aerei senza pilota, 932 unità di equipaggiamento speciale. In totale sono stati abbattuti 1.529 missili da crociera nemici. I dati devono ancora essere aggiornati”, ha scritto lo Stato maggiore di Kiev, ricordando anche che ieri l’Aeronautica militare ucraina ha lanciato 11 attacchi.

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Qatargate, Panzeri libero ma non può lasciare il Belgio

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Il memorandum da pentito firmato a gennaio parlava chiaro: un solo anno di reclusione in cambio delle sue confessioni. Nove mesi più tardi – quasi dieci dallo scoppio del presunto scandalo di corruzione -, Pier Antonio Panzeri, ritenuto il deus ex machina del Qatargate, è tornato libero prima del previsto grazie alla sua “buona condotta” e alla valutazione della giustizia belga che “non considera più necessaria la sua detenzione”. E, a prescindere dalla piega che prenderanno le indagini preliminari ancora in corso e l’eventuale processo, la sua pena si è così esaurita. Alle sole condizioni di continuare a collaborare con la giustizia, non lasciare – almeno per ora – il Belgio, e non entrare in contatto con gli altri indagati.

La loro sorte resta al contrario incerta, legata a doppio filo alle parole rese agli inquirenti dallo stesso ex eurodeputato e agli esiti del maxi-riesame dell’inchiesta, chiesto dall’ex vicepresidente del Parlamento europeo, Eva Kaili, e destinato a chiudersi solo nel giugno 2024, oltre la data delle elezioni europee. Decretando i rinvii a giudizio dei sospettati o l’archiviazione dell’intera inchiesta. Era il 17 gennaio quando il politico di Pd prima e Articolo 1 poi, finito in carcere il 9 dicembre scorso, strinse un inatteso accordo con l’allora giudice istruttore Michel Claise, costretto a giugno altrettanto a sorpresa a lasciare la guida del caso alla nuova giudice Aurélie Dejaiffe per un potenziale conflitto d’interessi tra suo figlio e quello dell’eurodeputata Maria Arena – molto vicina a Panzeri e più volte accostata al caso senza mai essere stata indagata – co-azionisti di una società di cannabis legale.

Sotto il peso di 600mila euro in contanti ritrovati nella sua abitazione e delle accuse di corruzione attiva e passiva, riciclaggio e partecipazione a organizzazione criminale in qualità di capogruppo, nella sua nuova veste di gola profonda l’ex eurodeputato si è impegnato a “rendere dichiarazioni sostanziali, rivelatrici, veritiere e complete” alla magistratura sulle operazioni architettate, gli accordi stretti con Qatar, Marocco e Mauritania e il coinvolgimento di altre persone. Un’intesa che ha trascinato nella rete della magistratura belga i due eurodeputati in carica Andrea Cozzolino e Marc Tarabella, entrambi arrestati il 10 febbraio e rilasciati tra aprile e giugno. E che, in cambio delle sue confessioni, ha permesso all’ex sindacalista di ottenere la pena mite di un anno di reclusione, una multa da 80mila euro e la confisca dei beni acquisiti nel corso dell’indagine, stimati in un milione di euro. A nove mesi da quel giorno – quattro dei quali trascorsi nel malandato carcere di Saint-Gilles e cinque ai domiciliari – ora Panzeri è tornato libero su disposizione della Camera di consiglio del tribunale di Bruxelles. Una decisione accolta senza obiezioni dalla procura federale, secondo la quale “nel sistema penale belga la liberazione anticipata è una pratica frequente, resa possibile per esempio da motivi di buona condotta”.

E che, nella visione del suo legale, Laurent Kennes, “è del tutto normale, dal momento che tutti gli indagati coinvolti nel caso sono da tempo liberi e che lui è un collaboratore di giustizia”. Una collaborazione da mesi contestata con forza da Marc Tarabella ed Eva Kaili, secondo i quali le parole del pentito Panzeri sono “inattendibili” e lo stesso memorandum è “privo di validità” perché firmato dopo le pressioni esercitate, è la loro accusa, dall’ex giudice Claise per ottenere in cambio la liberazione della moglie, Maria Colleoni, e della figlia, Silvia, fermate in Italia. Gli indagati, è la replica della difesa di Panzeri, hanno “interesse” ad attaccare l’ex eurodeputato ma “il memorandum è ancora valido” e il politico “continuerà a collaborare con la giustizia”. Chiamata, dal canto suo, a fare luce nella cornice del riesame delle indagini anche sul secondo accordo da pentito della storia del Paese.

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Svolta nel cold case del rapper Tupac Shakur, un arresto

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C’è una svolta nel cold case più celebre della storia dell’hip hop: 27 anni dopo l’omicidio del rapper Tupac Shakur la polizia di Las Vegas ha arrestato un uomo con l’accusa di aver ucciso il cantante il 6 settembre 1996. Tupac è morto sei giorni dopo all’ospedale, in seguito ai colpi ricevuti. Aveva 25 anni ed era al culmine del successo. Duane “Keffe D” Davis, di 60 anni, è stato arrestato mentre passeggiava vicino a casa. Uno dei pubblici ministeri che lavorano sul caso, Marc DiGiacomo, ha dichiarato che la procura aspettava “da diversi mesi” che il giudice spiccasse il mandato d’arresto.

Secondo DiGiacomo, Davis è stato il “basista” presente sul posto della sparatoria e anche colui che “ha ordinato la morte” di Shakur. Il 6 settembre del 1996 Tupac era a las Vegas per assistere a un incontro di pugilato tra Mike Tyson e Bruce Seldon. Attorno alle 23, il gruppo che lo accompagnava salì su una decina di macchine con l’intenzione di raggiungere una discoteca. Il cantante era a bordo di una Bmw nera guidata da Marion ‘Suge’ Knight, proprietario della Death Row Records, l’etichetta discografica di Los Angeles punto di riferimento per l’hip hop della West Coast nella faida di quegli anni con la East Coast. Mentre erano fermi a un semaforo, una Cadillac bianca si accostò all’auto su cui viaggiava Tupac e qualcuno dall’interno cominciò a sparare, colpendolo con quattro proiettili.

Davis è l’unico testimone dei fatti ancora vivo. Lui stesso ha ammesso che era a bordo della Cadillac nel suo libro di memorie del 2019, “Compton Street Legend”, che di fatto ha riaperto il caso. Davis ha detto che era seduto davanti e di aver fatto scivolare una pistola sul sedile posteriore, da dove partirono i colpi. Lì era seduto suo nipote Orlando Anderson, noto rivale di Shakur, con cui si era azzuffato poco prima a un casinò. Anderson è poi stato ucciso nel 1998 e nessuno è mai arrestato per l’omicidio di Tupac fino ad oggi. Secondo DiGiacomo è stato Davis ad avere l’idea di vendicarsi dopo la rissa. Il giudice ha negato la cauzione all’arrestato. “Si dice spesso che la giustizia ritardata è giustizia negata – ha detto all’Associated Press il pm Steve Wolfson -. In questo caso, la giustizia è stata ritardata, ma non verrà negata”.

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