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La pantomima degli spogliatoi del San Paolo nella città dove il buon senso è bandito

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Tentare di derubricare la denuncia seria, precisa, documentata del tecnico del Napoli Carlo Ancelotti circa l’inefficienza e i ritardi nella consegna degli spogliatoi in una lamentazione sterile di chi non ha niente da fare è sbagliato. Ancelotti ha messo nero su bianco quello che pensa sullo stato dei lavori (un po’ fermi al palo) e sulla durata dei lavori. E non è persona che parla a vanvera. Dunque, facciamo lo sforzo di prendere sul serio la “denuncia” di Carlo Ancelotti e proviamo a ragionare su quanto è documentato e documentabile circa quei locali usati dalla squadra di calcio avversaria e dagli azzurri. In un mondo normale ci si attiene a fatti e atti. In questo caso c’è un documento filmato che mostra gli spogliatoi ancora con i lavori in corso. Ora da quel che si vede parrebbe difficile completare questi benedetti lavori a perfetta regola d’arte e ancor di più arredare i locali come si deve. L’azienda che deve fare i lavori sostiene che entro 24 ore completa tutto e che poi l’arredamento spetta ad altri (al Napoli). Dunque la ditta consegna i lavori domani e il Napoli dovrà arredare tutto in 24 ore?

La denuncia. Mister Ancelotti ha manifestato delusione per lo stato di avanzamento dei lavori negli spogliatoi al San Paolo

L’assessore allo Sport del Comune di Napoli, Ciro Borriello, sostiene che Ancelotti non ha visto i locali e dunque, per semplificare, ha scritto cose di cui non sa. Diciamo che ha un po’ esagerato l’assessore, ma l’esasperazione del ruolo non sempre giustifica certi accenti. Però Borriello è persona tanto sanguigna quanto perbene. Il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, a differenza del suo assessore, si è limitato a dire che dei lavori non se ne occupa il Comune ma l’Agenzia regionale per le Universiadi per conto della Regione. La società sportiva calcio Napoli, dopo la bufera di chiacchiere sugli spogliatoi, è scesa in campo non tanto per difendere il suo tecnico (Ancelotti non ha bisogno di avvocati) ma solo per mostrare lo stato dell’arte. E lo stato dell’arte è quello che la società di De Laurentis documenta con un video pubblicato sui social e poche righe in cui viene anche precisato che quelle immagini non sono fake (che i soliti webeti propalano) o peggio ancora video girati due mesi fa, ma immagini che sono state riprese con uno smartphone da un dipendente del Napoli alle ore 15 e 30 di ieri ovvero mercoledì 11 settembre del 2019.

Ora, questi sono i fatti nudi e crudi. Rispetto a questi fatti, come di consueto, ci si deve dividere e giocare il derby tra quelli che sono con Aurelio De Laurentiis e quelli che invece sono contro. E invece noi, che ce ne fottiamo di queste fazioni, proviamo  fare un piccolo ragionamento di buon senso. Possibile che bisogna riudirsi all’ultimo secondo (non minuto ma secondo) pur avendo due mesi a disposizione per consegnare alla squadra di calcio della città degli spogliatoi decenti, funzionali e funzionanti? Dice: sì, vabbè ma domani saranno pronti! Certo, sicuro. Ma bisogna anche arredarli questi locali, o no? E il collaudo dei lavori? E se qualcosa non dovesse funzionare? Se uno scarico di un cesso o di un lavandino sistemato molto in fretta fosse otturato o funzionasse male? Se un filo di corrente fosse scoperto o non allacciato bene alla rete? Se un tubo funzionasse male? La wifi? La linea dati?  E se non funzionasse un tubo? Può succedere, no? E invece no! A Napoli non si possono chiamare le cose con il loro nome. Bisogna sempre edulcorare. Bisogna far finta che va tutto bene. Bisogna fare le guerre di religione e dividersi in Capuleti e Montecchi, Guelfi e Ghibellini. E non chiamare le cose con il loro nome. Noi ci proviamo.

Il comunicato stampa di mister Carlo Ancelotti

Lo Stadio San Paolo appena ristrutturato non è uno stadio degno di una squadra così importante, blasonata di una metropoli come Napoli. Gli esterni erano e sono un cesso  (chiedo scusa davvero per il termine, trovatene uno più educato ma rispondente allo stato dell’arte). Gli spogliatoi saranno consegnati tra qualche ora al Napoli, ma siamo certi che abbisognano di ulteriori lavori e di un collaudo. I servizi non c’erano e non ci saranno. L’unica cosa seria è la Convenzione. Quella garantisce almeno i biglietti gratis a qualcuno. Ma non a chi ama il Napoli e non se lo può permettere. E pure sulla Convenzione, quale che sia la fazione che avete abbracciato, ci sarebbe molto da dire. E non è stata ancora ratificata. Buon campionato di calcio. E per chi tifa Napoli, forza Napoli.

Ps: Mentre scriviamo i lavori vanno avanti. I rubinetti montati. I lavandini incastrati. I lavori completati. Il nostro ragionamento però resta e resterà perchè vorremmo fosse chiara una cosa: noi siamo dalla parte del buonsenso, non di una parte contro un’altra parte. Chi si perde e perde in queste polemiche è sempre la città di Napoli. E però diciamo anche che il tecnico del Napoli ha espresso una opinione di buon senso che andrebbe seguita e amplificata non edulcorata o criticata in maniera così aspra come ha fatto il bravo assessore Borriello.

Giornalista. Ho lavorato in Rai (Rai 1 e Rai 2) a "Cronache in Diretta", “Frontiere", "Uno Mattina" e "Più o Meno". Ho scritto per Panorama ed Economy, magazines del gruppo Mondadori. Sono stato caporedattore e tra i fondatori assieme al direttore Emilio Carelli e altri di Sky tg24. Ho scritto libri: "Monnezza di Stato", "Monnezzopoli", "i sogni dei bimbi di Scampia" e "La mafia è buona". Ho vinto il premio Siani, il premio cronista dell'anno e il premio Caponnetto.

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Esteri

Harry a Bbc: voglio riconciliarmi con la famiglia reale

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Il principe Harry ha affermato, in una intervista alla bbc, di volere una “riconciliazione” con la famiglia reale britannica dopo il traumatico strappo del 2020. Inoltre si è detto “sconvolto” dopo aver perso oggi alla Corte d’Appello di Londra il ricorso presentato contro la decisione assunta a suo tempo dal ministero dell’Interno di revocare a lui e alla sua famiglia il diritto automatico alla tutela di polizia durante le visite nel Regno Unito.

Nell’intervista registrata in California, dove Harry vive con la moglie Meghan, il principe appare commosso, in particolare quando afferma che “non riesce a immaginarsi” nel riportare “moglie e figli” nel Regno Unito dopo aver perso l’azione legale avviata a Londra. Il principe ha detto anche che suo padre, re Carlo III, “non mi parla più per via di questa questione di sicurezza”, per poi ammettere che è stanco di lottare e di non sapere quanto resta da vivere al sovrano, che si sottopone periodicamente alle terapie per far fronte a un cancro di natura imprecisata diagnosticatogli a inizio 2024. “Ci sono stati tantissimi disaccordi tra me e alcuni membri della mia famiglia”, ha aggiunto Harry, ma ora li ha “perdonati”. Il duca di Sussex ha anche affermato che “alcuni membri della mia famiglia non mi perdoneranno mai di aver scritto un libro”, facendo riferimento alle divisioni di lunga data ed esacerbate dalle rivelazioni contenute nell’autobiografia del principe dal titolo ‘Spare’, successo editoriale planetario.

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Economia

S&P taglia il Pil, ‘choc dai dazi’. In Italia +0,5%

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Il pessimismo innescato dall’annuncio dei dazi Usa non accenna a scemare. Dopo Fitch anche Standard&Poor’s rivede al ribasso le stime di crescita del Pil mondiale, che il Fondo Monetario Internazionale ha già tagliato. E’ “uno shock al sistema” secondo S&P, che si abbatterà “sicuramente” sull’economia reale, anche se “resta da capire in quale misura”. Per l’Italia la sforbiciata è di 0,1 punti, che frenerà la crescita 2025 a 0,5%. Per ora, però, paradossalmente l’annuncio ha provocato l’effetto opposto a quello auspicato da Trump: l’Istat segnala per l’Italia una “forte crescita” dell’export verso gli Usa a marzo, schizzato al +41,2% grazie soprattutto alla vendita di mezzi navali. Il nuovo round di misure protezionistiche ha spinto Standard & Poor’s a rivedere al ribasso le previsioni di crescita per quasi tutte le principali economie mondiali.

A pesare, secondo l’agenzia, è l’effetto combinato tra i nuovi dazi, le ritorsioni dei partner commerciali, le concessioni in corso e l’instabilità che tutto ciò sta generando sui mercati. “I rischi per lo scenario di base restano fortemente orientati al ribasso”, si legge nel rapporto. Il Pil globale viene così limato al 2,7% per il 2025 (-0,3 punti) e al 2,6% per il 2026 (-0,4). Negli Stati Uniti il rallentamento è marcato: 1,5% nel 2025 (-0,5) e 1,7% nel 2026. Male anche l’Eurozona, che si ferma allo 0,8% nel 2025 (-0,1) e all’1,2% nel 2026. L’Italia limita i danni con un taglio contenuto di 0,1 punti per il 2025, riducendo la crescita attesa allo 0,5%. Salirà allo 0,8% nel 2026 e allo 0,9% nel 2027. Per ora le tensioni sul fronte del commercio globale non hanno toccato l’export italiano extra Ue, che a marzo è salito del 2,9% sul mese e del 7,5% sull’anno. E tutto grazie alle vendite “ad elevato impatto” di mezzi di navigazione marittima verso gli Stati Uniti.

Al netto di queste, in realtà, ci sarebbe stata una flessione congiunturale pari a -1,6%. Anche la Banca centrale europea, nel suo bollettino di aprile, fotografa un’Eurozona sotto pressione. “Le prospettive sono offuscate da eccezionale incertezza” che “comporta notevoli rischi al ribasso”, avvertono gli economisti di Francoforte. Le imprese esportatrici si trovano ad affrontare nuove barriere, crescono le tensioni nei mercati finanziari, che hanno subito “la più drastica ridefinizione” dalla pandemia e anche i consumatori iniziano a mostrare segni di cautela. Nonostante tutto, nel primo trimestre 2025 il Pil dell’area euro è cresciuto, ma le stime per il secondo trimestre si fanno più fosche.

Gli indici Pmi, che rilevano le aspettative delle imprese, a marzo sono in calo, seppur ancora sopra la media di lungo periodo. E nel manifatturiero, l’indice dei nuovi ordinativi resta sotto quota 50, segno di un settore ancora in contrazione. “Molto incerte”, secondo la Bce, anche le prospettive dell’inflazione, che dai dazi potrebbero ricevere spinte tanto al rialzo (se l’impennata dei prezzi fosse ad ampio spettro) quanto al ribasso (se i prezzi elevati abbattessero i consumi). Nel frattempo, però, ad aprile resta stabile al 2,2% nell’Eurozona e al 2,1% in Italia. Lo shock dei dazi, insomma, inizia a farsi sentire, ma gli effetti pieni sull’economia reale restano ancora da misurare.

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Esteri

Portava aiuti a Gaza, colpita la nave di una ong

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E’ finito tra le fiamme e il rischio di colare a picco nel Mediterraneo il tentativo di portare aiuti umanitari della nave Conscience, con a bordo 16 uomini tra equipaggio e attivisti intenzionati a violare il blocco navale imposto da Israele alla Striscia. Nella notte tra giovedì e venerdì l’imbarcazione dell’organizzazione filo-palestinese Freedom Flotilla Coalition è stata colpita da droni mentre si trovava in acque internazionali al largo di Malta. Nel porto dell’isola si sarebbe dovuta imbarcare anche Greta Thunberg, che ha stigmatizzato l’offensiva come ‘crimine di guerra’. L’esplosivo ha causato un incendio sull’imbarcazione, uno squarcio nello scafo e la messa fuori uso del generatore. La nave, che era partita dalla Tunisia giorni fa, ha lanciato un Sos a cui ha risposto Malta inviando un rimorchiatore.

Le autorità marittime del La Valletta hanno dichiarato che non ci sono state vittime, l’incendio è stato spento, l’imbarcazione non rischia di affondare e i passeggeri hanno rifiutato di essere portati a riva. La Freedom Flotilla ha attribuito la responsabilità dell’attacco a Israele: “Gli ambasciatori israeliani devono essere convocati e rispondere delle violazioni del diritto internazionale, tra cui il blocco in corso e il bombardamento della nostra nave civile in acque internazionali”. Da Gerusalemme non nessun commento. Mentre il canale di notizie saudita Al Arabiya ha riferito che la spedizione era stata organizzata da Hamas e che le persone a bordo avevano in programma di attaccare le truppe dell’Idf avvicinandosi alla costa di Gaza. L’impiego di droni di piccole dimensioni, difficilmente rilevabili con i radar standard, non lascia una ‘firma elettronica’ significativa, impedendo così l’attribuzione a chi li ha lanciati.

Da Roma e Bruxelles, però, le opposizioni hanno definito ‘un crimine’ l’attacco alla Conscience: Pd, Avs, M5s chiedono al governo Meloni e all’Ue di intervenire condannando l’aggressione. Ankara, memore della strage della Freedom Flotilla del 2010 che vide la morte di 9 attivisti e decine di feriti, ha affermato che “saranno fatti tutti gli sforzi per rivelare il prima possibile i dettagli dell’attacco e portare gli assalitori davanti alla giustizia”. Intanto la Croce Rossa ha dichiarato che l’intervento umanitario a Gaza è “sull’orlo del collasso totale”. Israele ha chiuso i valichi il 2 marzo, sostenendo che Hamas aveva dirottato gran parte degli aiuti entrati durante la tregua di 6 settimane, e che i 25mila camion entrati hanno consegnato aiuti sufficienti per un periodo prolungato. Ora l’Idf, secondo indiscrezioni trapelate negli ultimi giorni, ha pianificato di modificare radicalmente la distribuzione: stop all’ingrosso e all’immagazzinamento degli aiuti, le organizzazioni internazionali e gli appaltatori privati consegneranno cibo alle singole famiglie di Gaza.

Ogni nucleo familiare avrà un rappresentante che riceverà cibo in una zona di sicurezza dell’esercito nel sud della Striscia. Il piano, che intende aggirare Hamas, non è ancora stato approvato dal governo israeliano, ma l’urgenza che i valichi vengano aperti è stata sottolineata dal ministro della Difesa Israel Katz. Degli ostaggi ancora a Gaza, infine, ha parlato giovedì sera Donald Trump, rivelando di aver appreso che ci sono meno di 24 rapiti ancora in vita, come aveva fatto intendere nei giorni scorsi la moglie del premier israeliano, Sara Netanyahu.

Il governo nel frattempo sta affrontando la forte pressione della comunità drusa, compresi centinaia di riservisti e soldati, che chiede di proteggere i ‘fratelli’ che vivono in Siria, attaccati e uccisi – accusano – dai jihadisti. Dopo una violenta protesta drusa la sera prima nel nord di Israele, nelle prime ore del mattino l’Idf ha bombardato la zona del palazzo presidenziale a Damasco. “Questo è un messaggio chiaro al regime siriano. Non permetteremo alle truppe siriane di spostarsi a sud di Damasco o di rappresentare una minaccia per la comunità drusa”, hanno avvertito Netanyahu e Katz. La presidenza siriana ha risposto che il raid rappresenta una “pericolosa escalation”.

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