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Cronache

La ‘ndrangheta del Nord oltre allo Stadium della Juventus infiltra anche San Siro, da quest’anno la Digos segue i Black Devil

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A proposito di curve e ultras infiltrati da organizzazioni criminali c’è poco da stare allegri. Se pensate che sia un problema confinato allo Stadium di Torino, vi sbagliate di grosso.  Se pensate che la ‘ndrangheta è un problema della Juventus vi sbagliate ancora. Basta restare sempre al Nord, lasciare Torino e andare a Milano, per trovare nello stadio più o meno lo stesso ambientino criminale. A San Siro o Giuseppe Meazza, tra i gruppi ultras milanisti, ci sono i sono i Black Devil. Sono diavoli neri, non rossoneri. Tifo estremo, certo. Ma qualcosa di più di un semplice gruppo organizzato di urlatori da stadio e scazzottatori. No no, sono personaggi spesso dal profilo criminale di tutto rispetto, pedigree da boss narcotrafficanti. Sono però sempre nel mirino della procura distrettuale antimafia di Milano. Che li seguono per altre faccende, ma già che ci sono li “registrano” anche allo stadio quando si “divertono” a tifare per il Milan.

Alcuni di questi signori che frequentano San Siro, oltre a portare in curva la loro passione per il Milan, portano anche i rapporti con la ‘ndrangheta che conta Nord, nella Lombardia ricca e opulenta, nella nuova Milano da bere del terzo Millennio. Dietro bandiere e fumogeni dello stadio spesso c’è Domenico Mimmo Vottari, calabrese di Melito Porto Salvo, ma originario dell’Aspromonte, versante San Luca, il paese di Mamma ‘Ndrangheta. Anche nelle curve del Milan, come allo Stadium, sta succedendo qualcosa. Cambiano i gruppi ultras, non solo i nomi ma anche i leader. Buona parte del settore storico Blu, primo e secondo anello, destinato ai supporter del Milan nell’ultima stagione è stato occupato da questi Black Devil. La Digos lavora gomito a gomito col club rossonero per prevenire agganci che possano portare ad infiltrazioni mafiose all’interno del tifo organizzato milanese. Domenico Vottari non è l’unico elemento di preoccupazione. Lui ha già scontato diversi anni di carcere in passato per omicidio e negli ultimi tempi è tornato ad occuparsi dei suoi affari nell’hinterland milanese, a Cesate. A San Siro però Vottari non ci va mica da solo. Con lui c’è spesso un amico fidato, Moreno Fuscaldo, già indagato in alcune inchieste di droga. Questo gruppo dei Black Devil presenta, inoltre, altri pregiudicati per diversi reati che vanno dalle rapine alle truffe informatiche e l’obiettivo del gruppo è di conquistare un posto al sole nella curva rossonera. Obiettivo, come riportano gli investigatori, consigliato direttamente dalla Calabria, anche se il gruppo dei Black Devil al momento conta non più di 50 persone. Ma fanno proselitismo. Sono in contatto con Giancarlo Lombardi, detto Sandokan, capitano dei Guerrieri ultras, oggi Curva Sud, indagato a sua volta per riciclaggio con manager vicini al clan palermitano Fidanzati. Lombardi, che a sua volta, è in rapporti con Loris Grancini, capo dei Viking della Juventus, in carcere con pena definitiva di 13 anni per tentato omicidio, a sua volta in contatto con un importante fiduciario delle cosche Sergi e Papalia. Il nuovo leader del gruppo Black Devil, Vottari, è comparso ultimamente nei fascicoli giudiziari legati all’inchiesta Marcos, inchiesta antidroga della Dea (drug enforcement agency) americana. In un’altra indagine, Hermanos, compare invece il nome di Mimmo Vottari, controllato in un bar nel 2009 insieme al fratello Giovanni, a Salvatore Muscatiello, nipote dell’omonimo Salvatore, per decenni eminenza grigia delle ‘Ndrine del Nord, e a Pasquale Macrì, condannato per mafia e vicino al clan Muscatello. I carabinieri nel 2011, spiegano che “l’organizzazione criminale promossa dai fratelli Vottari (Domenico e Giovanni) dedita all’importazione e spaccio di cocaina aveva il controllo del territorio di Cesate e mirava ad assumere anche il controllo del Comune di Senago acquisendo la gestione ed il controllo di attività economiche, procurando per sé e per altri voti in occasione delle consultazioni elettorali del 6 e 7 giugno 2009”.

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Cronache

Morte di Riccardo Boni: il padre indagato per omicidio colposo, atto dovuto per chiarire la tragedia

Il padre di Riccardo Boni, 17 anni, è stato iscritto nel registro degli indagati per omicidio colposo. Il procuratore Liguori spiega: “Un atto dovuto per capire come è morto il ragazzo”.

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«La prima cosa che farò sarà abbracciarlo. Questo povero papà è devastato», dice con umanità il procuratore capo di Civitavecchia, Alberto Liguori. Il padre di Riccardo Boni, il ragazzo di 17 anni morto giovedì scorso mentre scavava una buca in spiaggia a Montalto di Castro, è stato iscritto nel registro degli indagati per omicidio colposo. Un passaggio inevitabile, spiega Liguori, «per svolgere tutti gli accertamenti previsti dalla legge».

La notifica tra dolore e incredulità

L’atto è stato notificato ieri mattina dai carabinieri della compagnia di Tuscania, al Camping California dove la famiglia soggiornava. Quando ha sentito di essere indagato, il padre di Riccardo è rimasto impietrito, sotto choc: «Ma come, indagato? È disumano». Poi, compreso il senso tecnico del provvedimento, si è messo a disposizione degli inquirenti: «Voglio capire cosa è successo, se Riccardo ha avuto un malore, se ha chiesto aiuto… Io ero lì».

Le ragioni dell’indagine

Il fascicolo aperto dalla Procura si fonda su due articoli del codice penale: il 589, che riguarda l’omicidio colposo, e il 40, che stabilisce che “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”. In quanto genitore di un minore, il padre di Riccardo è per legge responsabile di ciò che accade al figlio.

«Non c’erano altre fattispecie ipotizzabili», ribadisce Liguori, sottolineando che l’obiettivo principale è capire le cause reali della morte: «Vogliamo sapere se Riccardo è morto per un malore, per il caldo, o per il peso della sabbia che lo ha travolto».

La pressione mediatica e il peso dei social

In queste ore sui social si è scatenato un accanimento feroce, con post duri e spesso crudeli: “Il padre dormiva mentre il figlio moriva”, è solo uno dei commenti che circolano in rete. Per questo la procura ha raccomandato alla polizia giudiziaria di comunicare l’iscrizione nel registro con il massimo tatto, temendo anche rischi autolesionistici.

Una famiglia in silenzio, travolta dal dolore

La madre, il padre e i tre fratellini di Riccardo si dividono tra la casa di Roma e il camper lasciato al campeggio. Proteggono i più piccoli dal clamore mediatico, cercando riparo in una quotidianità spezzata dal dramma.

«Ha già la sua pena infinita», conclude il procuratore Liguori. «Noi faremo solo ciò che la legge ci impone. Con rispetto e umanità».

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Nozze da sogno a Capri per Rocco Basilico e Sonia Ben Ammar: cerimonia romantica e festa blindata con ospiti internazionali

Rocco Basilico e Sonia Ben Ammar si sono sposati ad Anacapri. Cerimonia elegante, festa con musica popolare, ricevimento alla Certosa di San Giacomo. Ospiti top secret, attesi anche Jeff Bezos e Zuckerberg.

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Un fine settimana all’insegna dell’amore, dell’eleganza e della riservatezza ha incorniciato il matrimonio tra Rocco Basilico, 35 anni, chief wearables officer di EssilorLuxottica e amministratore delegato del brand di occhiali di lusso Oliver Peoples, e la modella Sonia Ben Ammar, 26 anni, figlia del produttore franco-tunisino Tarak Ben Ammar, figura nota nell’élite culturale e imprenditoriale internazionale.

Cerimonia ad Anacapri tra tradizione e bellezza

I due giovani si sono uniti in matrimonio sabato pomeriggio nella chiesa di Santa Sofia ad Anacapri, davanti a un centinaio di ospiti selezionati. A celebrare la funzione è stato monsignor Vincenzo Paglia. All’uscita, tra petali bianchi e applausi, ad accoglierli una festa musicale in stile napoletano con tamburelli e melodie popolari, tra cui l’intramontabile ’O surdato ’nnamurato.

Protagonisti sorridenti e coinvolti, gli sposi hanno ballato e cantato insieme agli amici, regalando un’immagine fresca e spontanea di un’unione che ha unito glamour e tradizione. Lui in un completo sartoriale firmato Luca Rubinacci, lei in un abito romantico con maniche a campana e lungo velo in pizzo.

Ricevimento blindato alla Certosa di San Giacomo

Dopo la cerimonia, i neosposi hanno lasciato la chiesa a bordo di una Autobianchi Bianchina cabrio addobbata per l’occasione. Un giro simbolico tra le strade di Capri, con saluti e sorrisi al pubblico, prima di arrivare alla Certosa di San Giacomo, dove si è svolto un ricevimento top secret e totalmente off social.

Una lista di invitati riservatissima

Nonostante l’altissimo profilo della coppia, nessuna foto ufficiale del ricevimento è stata diffusa. Ma le voci sui possibili ospiti circolavano da giorni. Si parlava della presenza di Jeff Bezos e Lauren Sanchez, oltre che di Mark Zuckerberg, che ha rafforzato la sua partecipazione in EssilorLuxottica fino al 3,5% del capitale.

Il profilo di Basilico, il talento nel lusso

Entrato nel colosso dell’occhialeria nel 2013, Rocco Basilico è figlio del finanziere Rocco Basilico e di Nicoletta Zampillo, attuale vedova di Leonardo Del Vecchio. Nel 2016 è diventato CEO di Oliver Peoples, guidando progetti ambiziosi come la collaborazione con Facebook per gli smart glasses e le partnership con Brunello Cucinelli e Roger Federer.

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Anna Pavignano racconta il suo amore per Massimo Troisi: «Divertente, creativo, ma soffrivo»

Anna Pavignano svela al Corriere della Sera l’intimità del suo rapporto con Massimo Troisi: otto anni di amore libero, scrittura condivisa e dolori silenziosi.

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Anna Pavignano (foto Imagoeconomica in evidenza), sceneggiatrice, scrittrice e compagna di vita e penna di Massimo Troisi, in una lunga intervista al Corriere della Sera ha aperto il cassetto dei ricordi. Ne emerge il ritratto di un amore profondo, irregolare e creativo, vissuto tra Torino, Roma e l’Italia degli anni Settanta e Ottanta.

Il primo incontro e l’innamoramento

«Io con minigonna e parrucca rosa, lui con calzamaglia e vestaglia», racconta Pavignano, rievocando il primo incontro sul set del programma Non Stop, a Torino nel 1977. Troisi, insieme a Lello Arena ed Enzo Decaro, stava emergendo con La Smorfia. Lei, giovane studentessa, era lì come comparsa. «Disse solo: “Cheppalle” – e io capii che ci saremmo capiti».

Una coppia di scrittori

Da quel momento nacque un sodalizio umano e artistico che ha segnato una stagione del cinema italiano. «Scrivevamo insieme i suoi film, e nei personaggi mettevamo le nostre tensioni, i nostri nodi. C’è tanto di noi in Pensavo fosse amore invece era un calesse», dice. Anche il vivere insieme fu una scelta non detta: «Io stavo a casa sua, punto. Non c’era bisogno di formalizzarlo».

Una coppia aperta, ma non senza dolore

Troisi aveva altre relazioni. «Me le raccontava tutte, e io cercavo di trasformare la gelosia in un esercizio politico: erano anni in cui si credeva davvero nel disimpegno. Ma io soffrivo». Nonostante tutto, Pavignano non si allontanò. «Se avessi ceduto alla rabbia, forse non saremmo durati otto anni».

La vita, la malattia, il sogno infranto

Troisi soffriva per un problema cardiaco serio, conseguenza di un’operazione alla valvola mitrale. «Diceva che lui e i suoi amici rubavano orologi, perché il suo cuore faceva un ticchettio metallico», racconta con tenerezza. Sapeva di avere un’aspettativa di vita ridotta e per questo rinunciò al sogno del calcio e decise di non avere figli. «Non voleva responsabilità, già il lavoro lo schiacciava».

Ricordi di una giovinezza creativa

Ci sono episodi dolci, quasi comici: «Una volta mi scrisse su un foglio prestampato: “Nell’ultima riga c’è scritto ti amo”». E aneddoti esilaranti: «A Palinuro dormimmo in auto, con tutta La Smorfia. Uno sopra l’altro». Durante la stesura di Non ci resta che piangere, Troisi e Benigni si sfidavano a biliardo impersonando Freud e Marx. Bertolucci non riusciva a scrivere nulla.

I legami con la musica

Troisi amava Pino Daniele, che per lui era «una luce». Fu lui però a far scoprire a Pavignano Rino Gaetano, mentre lei gli fece conoscere Guccini: «All’inizio non gli piaceva, poi però lo adorò. Si scambiarono elogi per dieci minuti in una trattoria bolognese».

Un addio mai davvero compiuto

Massimo Troisi morì il 4 giugno 1994. Pavignano non ha mai smesso di ricordarlo. «Il suo rammarico? Non essere riuscito a costruire un legame stabile», confessò lui stesso. E oggi, alla domanda su cosa gli direbbe se potesse rivederlo, lei risponde con una frase sola: «Torna, ti prego».

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