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Economia

La Ferrari torna sul gradino più alto del podio. Per Brand Finance è il marchio più forte al mondo

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La Ferrari torna ad essere prima. Non è la classifica del campionato del Mondo di Formula 1, ma la classifica di Brand Finance. Secondo la società che valuta i brand e fa consulenza strategica, il Cavallino rampante è di nuovo il simbolo più influente del mondo tra i 500 brand con maggiore valore economico.

“I fattori che hanno fatto la differenza sul rafforzamento di Ferrari sono l’annuncio di importanti investimenti per realizzare 15 nuovi modelli, di cui alcuni ibridi, e il fatto che già a maggio dello scorso anno, fosse stata venduta tutta la produzione 2018, e parte della produzione 2019”, spiega Brand Finance annunciando la classifica in occasione del Forum economico di Davos. La Ferrari ha distanziato gli altri 14 brand come Rolex e Coca Cola, la banca cinese ICBC e il sistema di messaggistica cinese We Chat.

Come “brand value”, ovvero per valore economico del marchio calcolato stimando il beneficio netto che il titolare del brand otterrebbe dandolo in licenza sul mercato aperto, a vincere è Amazon. In frenata, rispetto agli anni scorsi, il valore economico dei trademark del mondo della telefonia e delle telecomunicazioni. Apple (+5%) rimane al 2° posto, Samsung (-1%) scende al 5°, AT&T (+6%) scende al 6°, Verizon (+13%) scende al 9°, tutti brand che faticano ad innovare e quindi a differenziarsi da produttori e fornitori con prezzi più aggressivi. Aumenta poco anche il valore economico del marchio Facebook (+9%) al 7° posto, unico tra i social media a non crescere a doppia cifra.

Sono solo nove i brand italiani nella classifica dei Global 500 che premia i marchi in grado produrre maggiore valore economico assoluto (e quindi brand molto efficaci, ma di piccole e medie dimensione, difficilmente entrano in classifica).

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Economia

Cina, sale pressione su CK Hutchison per accordo porti di Panama

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Sale la pressione della Cina su CK Hutchison, la holding del miliardario di Hong Kong Li Ka-shing, in vista dell’accordo definitivo da firmare entro il 2 aprile su Panama Ports Company, che ha in gestione due dei 5 porti del canale dal 1997 tramite concessione governativa, ceduta a inizio marzo con altre attività dei porti al consorzio guidato dal colosso americano BlackRock. Un commento pubblicato sul Ta Kung Pao, quotidiano in lingua cinese controllato dall’Ufficio di collegamento del governo centrale, l’autorità che rappresenta Pechino nell’ex colonia britannica, ha esortato Li Ka-shing/CK Hutchison, pur senza senza nominarli, a ritirarsi dall’accordo e a rottamare l’affare con la minaccia molto seria e non così velata: l’articolo 23 della Legge fondamentale di Hong Kong, ovvero la nuova legge sulla sicurezza nazionale della città promulgata lo scorso anno.

L’accordo sui porti è maturato dopo settimane di pressioni del presidente Usa Donald Trump, che non ha escluso un’azione manu militari per “riprendere” il Canale di Panama dal presunto controllo cinese. Una svolta che ha generato l’irritazione crescente della leadership mandarina. Pertanto, malgrado nessuno meglio di lui incarni la cavalcata di Hong Kong come centro commerciale globale, il miliardario 96enne Li Ka-shing, al tramonto di una carriera imprenditoriale di successo lunga otto decenni fino a diventare uno degli uomini più ricchi d’Asia, sta affrontando una raffica di pesanti e crescenti critiche da parte di Pechino.

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Trump implora le uova venete per Pasqua: e ora chi glielo dice al pollaio?

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Dispiace davvero per le galline americane, travolte dall’aviaria come se fossero entrate in un fast food sbagliato. Ma il fatto che il pollaio di Trump, in piena crisi pre-pasquale, stia supplicando il Veneto di vendergli un po’ di uova, strappa più un ghigno che una lacrima.

Dalla minaccia dei dazi alla richiesta delle galline: ma con quale faccia?

Solo qualche mese fa, la nuova amministrazione americana minacciava dazi come se piovesse e guardava all’Europa con la stessa simpatia riservata a un piccione sul cofano di una Mustang. Ora, però, eccoli lì: a corto di uova, disposti a tutto pur di impanare un’idea, un pollo, una festività.

E allora, se fossimo un contadino veneto – o anche solo una gallina con un minimo di dignità –, forse ci siederemmo sulle uova, letteralmente, prima di concederle. Volete le nostre uova bistrattate, ora che le vostre costano più di un iPhone ricondizionato? Bene. Sediamoci e trattiamo. Magari su un letto di paglia, con un bicchiere di prosecco.

Attenzione: la Groenlandia non è in offerta

Tanto per cominciare: la Groenlandia ce la teniamo, anche se non ci serve per le galline. E se vi azzardate ancora a mettere dazi sul vino, sappiate che la prossima frittata ve la fate da soli, ma senza le nostre uova. Solo albumi di risentimento.

Un tempo il dollaro era ancorato all’oro. Non pretendiamo tanto. Ma ancorarlo all’uovo? Sarebbe già un bel passo avanti. Altro che Bitcoin: il futuro è nella gallina. E comunque, noi saremo pure un Paese senza figli, come dice quella testa d’uovo di Elon Musk, ma un ciambellone decente e un ovetto sbattuto non ce li leva nessuno.

L’uovo di Colombo? Meglio alla coque

In fondo non abbiamo cominciato noi. Ma se ti metti a fare il prepotente, caro Trump, prima o poi il conto ti arriva. E magari ti viene presentato in una scatola da sei, con scadenza ravvicinata e timbro DOP.

Un consiglio, Presidente: nella diplomazia, come in cucina, le uova vanno maneggiate con cura. Perché quando si rompono, il rischio non è solo la frittata. È finire con l’uovo – come dire – dalla parte sbagliata.

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Fumata grigia Assogestioni, si va verso lista Generali

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Fumata grigia da Assogestioni sulla lista per il cda di Generali. A una settimana dalla scadenza per il deposito delle liste in vista dell’assemblea del 24 aprile, chiamata a rinnovare l’intero board, si è tenuta l’ennesima riunione del Comitato dei gestori dell’associazione che riunisce le società di gestione. La discussione si è concentrata in prima battuta sul parere chiesto allo studio legale Annunziata dal coordinatore del Comitato, Emilio Franco, che è anche amministratore delegato di Mediobanca Sgr. Poi si è passati a esaminare le candidature selezionate dal cacciatore di teste Chaberton Partners. Non è stato ufficialmente deciso nulla sulla presentazione la lista ma l’orientamento propende per il sì. E’ quindi solo questione di tempo. Il Comitato, oggi impegnato anche a mettere a punto le liste per Prysmian, Moncler e Inwit, rese note a fine riunione, sul tema divisivo Generali si è riaggiornato all’inizio della prossima settimana.

A causa dei conflitti di interesse, a votare alla fine saranno in sostanza Fideuram ed Eurizon del gruppo Intesa Sanpaolo e Poste, che sono pronti a votare a favore del deposito. Buona parte del tempo dedicato a Generali è servito per illustrare il parere che mette in luce due questioni. La prima è l’independence of mind, ossia l’indipendenza delle parti nell’elaborazione dei lista dei candidati. La seconda riguarda l’opportunità di presentare la lista per il rischio di ingovernabilità che si potrebbe creare nella compagnia. Qualora la lista del gruppo Caltagirone ottenesse la maggioranza dei voti in assemblea, si aggiudicherebbe infatti sei posti in consiglio. Gli stessi che avrebbe Mediobanca anche se scenderà in campo con una lista lunga dove ricandiderà il presidente Andrea Sironi e del ceo Philippe Donnet. In tale scenario Assogestioni avrebbe un rappresentante nel consiglio di amministrazione con un potere di decisione che secondo lo studio Annunziata sono in contrasto con quanto previsto dallo statuto di Assogestioni.

A complicare lo scenario all’assemblea ci saranno non solo i due schieramenti Mediobanca da una parte e Francesco Gaetano Caltagirone dall’altra, sostenuto da Delfin, la cassaforte degli eredi di Leonardo Del Vecchio. Si è aggiunto come socio di peso Unicredit che, col risiko bancario in corso, non è chiaro cosa voterà ma potrebbe puntare proprio sulla lista di Assogestioni. Il quadro in ogni caso è molto diverso da quello dell’assemblea di tre anni fa quando la lista dei fondi non ottenne neanche un posto nel board del Leone. Nel corso della riunione del Comitato non si è invece discusso dei pareri legali che hanno una visione diversa. Quello di Anima-Kairos e quello di Eurizon. Quest’ultimo per ora è rimasto nel cassetto e non è stato presentato. Quanto ai nomi da candidare in testa ci sono l’economista Roberto Perotti, già consigliere di Generali, il banchiere e docente alla Harvard Business School, Dante Roscini, il direttore del Digital Ethic Center di Yale, Luciano Floridi, il manager di E&Y, Guido Celona, e il banker di Citi, Christian Montaudo.

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