La Danimarca inaugura una nuova era. Dopo 52 anni di regno la regina Margrethe, 83 anni, la più anziana sovrana in vita al mondo, abdica in favore del figlio, il principe ereditario Frederik, 55 anni. Nessuno sfarzo. Soltanto una cerimonia semplice e nessuna incoronazione formale. Re Frederik X – questo il suo titolo, da domani – verrà proclamato dal balcone del Parlamento, dopo l’annuncio del primo ministro Mette Frederiksen. A differenza dei rituali sfarzosi, come per l’incoronazione di re Carlo III nel Regno Unito, i reali danesi hanno scelto un profilo meno sontuoso, a parte un giro in carrozza, un saluto di cannone e l’alzabandiera nei palazzi reali di Copenaghen. Una ritualità con un profilo indubbiamente semplice.
E non faranno mostra di sé neanche i gioielli della corona danese, che furono indossati per l’ultima volta durante la cerimonia di unzione di Cristiano VIII nel 1840. A fianco del futuro re e capo di Stato di Danimarca, Groenlandia e Isole Faroe, ci sarà la principessa Mary che potrà indossare i gioielli della corona. Nata in Australia da una famiglia borghese senza origini nobili, la futura regina ha una storia alle spalle che ricorda da vicino quella di Kate, la moglie di William, l’erede al trono britannico. “Ero una ragazza in maglietta e pantaloncini, andavo in giro a piedi nudi, ho frequentato la scuola pubblica. Non ricordo di aver desiderato di diventare principessa neanche un giorno, volevo fare la veterinaria”, ha raccontato Mary al Financial Times.
Ma l’aver incontrato Frederik in un chiassoso pub di Sydney, dove il principe era in visita per le Olimpiadi del 2000, e averci chiacchierato a lungo prima di essere informata dello status di quel giovane, ha cambiato la sua vita. Così come cambierà adesso quella dello stesso Frederik, che dopo una giovinezza festaiola finita spesso sui rotocalchi, ora si ritrova l’amata monarchia servita su un piatto d’argento dalla popolarissima madre, nota anche per le sue passeggiate senza scorta e le chiacchiere per strada con i semplici cittadini.
Oltre a essere un ufficiale militare decorato, Frederik ha dimostrato di essere un bravo sportivo e un appassionato ambientalista. Secondo la stampa danese, è estremamente popolare anche grazie al suo stile informale. I sondaggi mostrano un sostegno deciso da parte del popolo danese. Se Frederik X vorrà mantenere l’approvazione del Paese, dovrà lavorare duro, proprio come ha fatto Margrethe II, ascesa al trono nel lontano 1972, e che a fine dicembre dello scorso anno, durante un discorso alla nazione ha scioccato il Paese annunciando che era giunto il momento di “trasmettere la responsabilità alla generazione successiva”.
Le forze della sicurezza pachistane hanno ucciso 15 combattenti appartenenti al Tehrik-e-Taliban Pakistan (Ttp) in tre distinte operazioni nella provincia nord-occidentale del Khyber Pakhtunkhwa (Kp). Lo rendono noto i militari, precisando che le operazioni sono state condotte nel distretto di Karak, nel Waziristan settentrionale ed in quello meridionale. Armi e munizioni sono state recuperate dai combattenti uccisi, che, secondo le stesse fonti, erano coinvolti in numerose attività terroristiche.
Il ministero dell’Interno iraniano ha confermato che il bilancio dell’esplosione (ancora provvisorio) avvenuta al porto di Bandar Abbas, città strategica sullo Stretto di Hormuz, è salito a 14 morti e 740 feriti. Un evento gravissimo che scuote una delle aree più delicate per gli equilibri geopolitici globali.
Le cause restano misteriose
Le autorità iraniane parlano ufficialmente di un generico incidente, senza però fornire dettagli precisi. Questa vaghezza ha acceso numerosi interrogativi a livello internazionale: fonti estere suggeriscono che potrebbe trattarsi non di un incidente, ma di un attacco deliberato attribuibile a un Paese nemico, con il sospetto principale che ricade su Israele.
L’ipotesi dell’attacco mirato: la pista del combustibile per missili
Secondo analisi parallele, le esplosioni di Bandar Rajaei — uno dei principali terminali del porto di Bandar Abbas — non sarebbero casuali. La natura delle detonazioni, l’intensità dell’onda d’urto e l’estensione dei danni lascerebbero supporre la presenza di materiale altamente infiammabile e volatile, come il combustibile solido per razzi.
Fonti non ufficiali rivelano che Bandar Rajaei fosse recentemente diventato il deposito strategico del combustibile solido per missili balistici della Repubblica Islamica, importato dalla Cina tramite navi cargo. Non un semplice magazzino, dunque, ma un elemento chiave nelle strategie militari regionali di Teheran.
Israele nel mirino dei sospetti
Non sarebbe la prima volta che Israele compie operazioni mirate per neutralizzare le capacità missilistiche iraniane: già in passato, con massicce incursioni aeree, ha distrutto impianti critici, ritardando di anni la produzione bellica del regime. Secondo questa ricostruzione, l’Iran, nel tentativo disperato di ricostituire le sue scorte, avrebbe nascosto i materiali in infrastrutture civili, trasformando i cittadini in scudi umani.
L’attacco — se confermato — avrebbe incenerito gran parte del deposito e colpito anche la catena logistica dei rifornimenti missilistici destinati agli Houthi nello Yemen, infliggendo un danno catastrofico alla rete militare iraniana nella regione.
Un’accusa morale pesante contro il regime iraniano
L’episodio di Bandar Rajaei non sarebbe soltanto un durissimo colpo militare, ma rappresenterebbe anche un’accusa morale contro un regime accusato di sacrificare la propria popolazione pur di mantenere le proprie ambizioni imperiali. Come già avvenuto nell’esplosione del porto di Beirut nel 2020, il prezzo più alto lo pagano i civili.
La tragedia di Bandar Abbas, secondo questa lettura, segna un passo ulteriore verso la resa dei conti finale con un regime ormai gravemente indebolito, sia sul piano militare sia su quello della legittimità internazionale.
Le autorità portuali estoni hanno rilasciato oggi la petroliera Kiwala appartenente alla cosiddetta flotta ombra russa sequestrata due settimane fa nel golfo di Finlandia dopo aver constatato la presenza di oltre 40 infrazioni alla normativa sulla navigazione dell’Estonia. Lo comunica il ministero dei Trasporti estone. Secondo quanto comunicato dalle autorità estoni, la nave è stata dissequestrata in seguito alla risoluzione di tutte le infrazioni rilevate. La petroliera era già stata sottoposta a sanzioni da parte dell’Unione europea, del Canada, della Svizzera e del Regno unito.