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Economia

La Bce alza i tassi e richiama sul Mes, l’Italia attacca

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La Bce va in modalità falco: una nuova stretta ai tassi, la promessa che aumenteranno ancora “al ritmo di 50 punti base alla volta per un certo periodo”, e da marzo i bond comprati negli ultimi otto anni cominceranno ad essere scaricati sul mercato. E così – complice anche un richiamo di Christine Lagarde sul nervo scoperto del Mes – in pochi minuti vacilla l’equilibrio che aveva segnato le prime settimane del governo Meloni: lo spread s’impenna, la Borsa va a picco e la maggioranza – dopo un esordio all’esecutivo nel nome della prudenza sui temi economici – si scontra apertamente con un’istituzione europea.

Tanto la stretta decisa che porta il tasso sui depositi al 2% e quello sui rifinanziamenti al 2,50%, quanto l’avvio del ‘quantitative tightening’ che mette fine all’era Draghi erano più o meno attesi. Fed e Bank of England hanno appena fatto altrettanto. Non era scontato, invece, l’impegno della Bce a tirare dritto: “Chiunque pensi che c’è un pivot si sbaglia”, avverte la presidente Christine Lagarde in conferenza stampa gelando le attese di una Bce arrivata al ‘giro di boa’. E così dopo mesi di toni sobri con l’Ue non si trattiene il ministro della difesa Guido Crosetto. molto vicino alla premier: su Twitter posta un grafico con la caduta libera del prezzo dei Btp, accostata a “decisioni prese e comunicate con leggerezza e distacco”.

E poi: “Non ho capito il regalo di Natale che la presidente Lagarde ha voluto fare all’Italia”. Sarà l’impatto sulle Borse che ha amplificato l’effetto-Bce: Milano chiude a -3,45%, peggiore in Europa, Francoforte e Parigi perdono oltre il 3%. Sarà che, dopo settimane di tregua, per la prima volta sotto il governo Meloni lo spread lampeggia rosso: chiude a 206 dopo un picco a 208, da poco più di 180 di pochi giorni fa. Il rendimento del Btp decennale schizza di oltre 30 punti base come non si vedeva dal 2020 fino a un picco del 4,18%. Il rischio-Italia percepito supera quello della Grecia e di tutti gli altri partner dell’euro. In più c’è l’uscita della Lagarde sui mal di pancia nel ratificare il Mes del governo italiano “outlier”, l’unica “eccezione” fra i partner europei dopo il sì della Corte costituzionale tedesca.

“Speriamo che l’Italia ratifichi velocemente la riforma del Mes” per completare l’unione bancaria, si limita a rispondere Lagarde. Tanto basta ad alzare lo scontro sul meccanismo salva-Stati, nervo scoperto dei sovranisti da anni. “Il Parlamento ha dato un indirizzo, non è che io posso andare contro il Parlamento”, ragiona il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. “Gli auspici sono legittimi, le scelte, ancora più legittime, saranno del Parlamento italiano”, dice il capogruppo di FdI alla Camera, Tommaso Foti. Per l’opposizione è la sponda per incalzare sul Mes, che ha sempre visto contraria la premier Giorgia Meloni e su cui il Pd, in assenza di un’iniziativa dell’esecutivo, intende calendarizzare una proposta di legge.

“Ho sentito dire da Giorgetti che non è popolare ma quelli che fanno solo le cose popolari non si chiamano politici si chiamano in altro modo…”, dice Luigi Marattin di Italia Viva. Sullo sfondo, il nervosismo ruota attorno a un 2023 in cui la Bce si farà da parte come compratore di debito dopo aver messo in pancia negli anni qualcosa come 733 miliardi di Btp insieme a Bankitalia. Un 2023 ‘pesante’: si stimano 330 miliardi di emissioni lorde solo dell’Italia, e un record di 539 miliardi per la Germania. Gli effetti sui mercati rischiano di vedersi da gennaio, quando riprenderanno le aste, e l’addio della Bce, e anche le banche in ritirata, spiega gli appelli a un ‘Btp patriottico’ attingendo al risparmio delle famiglie.

La Bce, invece, fa sfumare all’orizzonte il soccorso alla politica. Prevede una recessione ‘soft’ (-0,2% nel quarto trimestre e -0,1% a gennaio-marzo), non è il bagno di sangue che si temeva pochi mesi fa. Mentre il problema vero resta l’inflazione, al 6,4% nel 2023 e ancora sopra l’obiettivo del 2% nel 2025. Un dato che obbliga la Bce a mostrarsi falco. Per evitare un’inflazione da aspettative che diverrebbe auto-avverante. E per gestire i ‘falchi’ nel Consiglio direttivo: le ricostruzioni dicono che oltre uno su tre avrebbe voluto un terzo rialzo consecutivo da tre quarti di punto. Si sarebbero accontentati del ‘mezzo punto’ solo in cambio dell’impegno sui sui rialzi futuri, e sul ‘quantitative tightening’ che riavvolge il nastro degli anni di Draghi.

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Economia

Istat: lavoro in frenata a marzo, disoccupazione giovanile al 19%

A marzo l’occupazione cala di 16mila unità e la disoccupazione giovanile sale al 19%. Boom di contratti stabili, ma donne e under35 restano indietro.

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Frena il mercato del lavoro a marzo 2025: secondo i dati diffusi dall’Istat, si registra una riduzione mensile degli occupati di 16mila unità (-0,1%), una flessione che colpisce soprattutto le donne e i giovani sotto i 35 anni. Crescono invece gli occupati tra gli over35, gli uomini e i lavoratori a tempo indeterminato. Il tasso di occupazione resta stabile al 63%, lo stesso livello record di febbraio, mentre la disoccupazione torna a salire, al 6%, con un’impennata tra i giovani (15-24 anni), che toccano il 19% (+1,6 punti percentuali).

Più persone in cerca di lavoro, ma anche più posti stabili

Nonostante il rallentamento, il bilancio annuo resta positivo: rispetto a marzo 2024, ci sono 450mila occupati in più (+1,9%). A trainare l’occupazione sono soprattutto i lavori stabili: +673mila dipendenti permanenti in un anno, contro una flessione di 269mila contratti a termine. Crescono anche gli autonomi (+47mila). Il lieve aumento della disoccupazione è accompagnato da un calo degli inattivi, segno che più persone tornano a cercare lavoro.

Sindacati in allerta: donne e giovani ancora penalizzati

I dati riaccendono il dibattito politico all’indomani del Primo Maggio. Se da un lato il governo rivendica la crescita dell’occupazione – un milione di posti in più nei due anni e mezzo di governo Meloni –, dall’altro i sindacati sottolineano la persistente fragilità di donne e giovani nel mercato del lavoro. Ivana Veronese (Uil) denuncia il basso tasso di occupazione femminile: «Troppe donne inattive e scoraggiate, costrette a lasciare il lavoro dopo la maternità».

Sicurezza sul lavoro: confronto in arrivo a Palazzo Chigi

Altro tema centrale resta quello della sicurezza nei luoghi di lavoro, con i sindacati che tornano a chiedere maggiori controlli, formazione e prevenzione, ricordando le recenti tragedie come quella di Luana D’Orazio e i cinque operai morti a Casteldaccia. Il governo ha stanziato 650 milioni per la sicurezza e ha convocato le parti sociali per l’8 maggio a Palazzo Chigi. Cisl e Uil vedono l’incontro come un’apertura, ma Maurizio Landini (Cgil) avverte: «Senza risposte sarà mobilitazione».

Calderone: «Patente a crediti anche oltre l’edilizia»

Sul fronte normativo, la ministra del Lavoro Marina Calderone ha confermato l’obiettivo di estendere la patente a crediti – attualmente prevista per il settore edile – anche ad altri comparti produttivi, come misura di contrasto agli incidenti sul lavoro.

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S&P taglia il Pil, ‘choc dai dazi’. In Italia +0,5%

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Il pessimismo innescato dall’annuncio dei dazi Usa non accenna a scemare. Dopo Fitch anche Standard&Poor’s rivede al ribasso le stime di crescita del Pil mondiale, che il Fondo Monetario Internazionale ha già tagliato. E’ “uno shock al sistema” secondo S&P, che si abbatterà “sicuramente” sull’economia reale, anche se “resta da capire in quale misura”. Per l’Italia la sforbiciata è di 0,1 punti, che frenerà la crescita 2025 a 0,5%. Per ora, però, paradossalmente l’annuncio ha provocato l’effetto opposto a quello auspicato da Trump: l’Istat segnala per l’Italia una “forte crescita” dell’export verso gli Usa a marzo, schizzato al +41,2% grazie soprattutto alla vendita di mezzi navali. Il nuovo round di misure protezionistiche ha spinto Standard & Poor’s a rivedere al ribasso le previsioni di crescita per quasi tutte le principali economie mondiali.

A pesare, secondo l’agenzia, è l’effetto combinato tra i nuovi dazi, le ritorsioni dei partner commerciali, le concessioni in corso e l’instabilità che tutto ciò sta generando sui mercati. “I rischi per lo scenario di base restano fortemente orientati al ribasso”, si legge nel rapporto. Il Pil globale viene così limato al 2,7% per il 2025 (-0,3 punti) e al 2,6% per il 2026 (-0,4). Negli Stati Uniti il rallentamento è marcato: 1,5% nel 2025 (-0,5) e 1,7% nel 2026. Male anche l’Eurozona, che si ferma allo 0,8% nel 2025 (-0,1) e all’1,2% nel 2026. L’Italia limita i danni con un taglio contenuto di 0,1 punti per il 2025, riducendo la crescita attesa allo 0,5%. Salirà allo 0,8% nel 2026 e allo 0,9% nel 2027. Per ora le tensioni sul fronte del commercio globale non hanno toccato l’export italiano extra Ue, che a marzo è salito del 2,9% sul mese e del 7,5% sull’anno. E tutto grazie alle vendite “ad elevato impatto” di mezzi di navigazione marittima verso gli Stati Uniti.

Al netto di queste, in realtà, ci sarebbe stata una flessione congiunturale pari a -1,6%. Anche la Banca centrale europea, nel suo bollettino di aprile, fotografa un’Eurozona sotto pressione. “Le prospettive sono offuscate da eccezionale incertezza” che “comporta notevoli rischi al ribasso”, avvertono gli economisti di Francoforte. Le imprese esportatrici si trovano ad affrontare nuove barriere, crescono le tensioni nei mercati finanziari, che hanno subito “la più drastica ridefinizione” dalla pandemia e anche i consumatori iniziano a mostrare segni di cautela. Nonostante tutto, nel primo trimestre 2025 il Pil dell’area euro è cresciuto, ma le stime per il secondo trimestre si fanno più fosche.

Gli indici Pmi, che rilevano le aspettative delle imprese, a marzo sono in calo, seppur ancora sopra la media di lungo periodo. E nel manifatturiero, l’indice dei nuovi ordinativi resta sotto quota 50, segno di un settore ancora in contrazione. “Molto incerte”, secondo la Bce, anche le prospettive dell’inflazione, che dai dazi potrebbero ricevere spinte tanto al rialzo (se l’impennata dei prezzi fosse ad ampio spettro) quanto al ribasso (se i prezzi elevati abbattessero i consumi). Nel frattempo, però, ad aprile resta stabile al 2,2% nell’Eurozona e al 2,1% in Italia. Lo shock dei dazi, insomma, inizia a farsi sentire, ma gli effetti pieni sull’economia reale restano ancora da misurare.

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Economia

Borsa della Spesa, il caldo anticipa le produzioni estive

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Il caldo anticipa le produzioni estive, con il prezzo dei meloni retati siciliani “in veloce calo (-7,3% in una settimana) “poiché aumenta la produzione ma la domanda rimane ancora bassa”. A segnalarlo è La Borsa della Spesa, servizio settimanale di Borsa Merci telematica italiana (Bmti) e Italmercati, con il supporto di Consumerismo No Profit. Tra la frutta, rilevano inoltre gli analisti, le fragole sono nel pieno della loro produzione e i loro prezzi all’ingrosso, prosegue la nota, “sono stabili e vanno da 3,00 euro/Kg per le produzioni campane, siciliane e calabresi fino a 4,50 euro/kg per le produzioni lucane, di qualità maggiore.

In questa settimana è anche possibile acquistare gli ultimi kiwi italiani, venduti all’ingrosso intorno a 2,70 euro/kg. Tra gli ortaggi, le fave hanno raggiunto il picco della loro produzione e presentano prezzi all’ingrosso regolari, intorno a 1,50 euro/kg, grazie all’abbondanza della loro produzione. Molto richiesti anche i piselli, i cui prezzi all’ingrosso sono scesi questa settimana al di sotto di 3,00 euro/Kg. confermandosi mediamente intorno a 2,70 euro/kg.

I prezzi all’ingrosso degli asparagi oscillano da 3,50 a 4,50 euro/kg, in calo del 12,2% rispetto alla settimana precedente grazie all’aumento della produzione, soprattutto in Campania e in Puglia. Per i carciofi i prezzi all’ingrosso vanno da 0,30 a 0,70 euro al pezzo, a seconda della varietà. Nel settore ittico, abbondano le seppie, nel pieno della loro stagione e con prezzi che vanno da 10,00 a 15,00 euro/kg. Nel comparto carni si registrano prezzi in calo per i tagli anteriori di vitellone, che vanno da 6,55 a 6,65 euro/kg.

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