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La 13enne al branco, ‘vi prego non mi fate del male’

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Una invocazione disperata rivolta ai sette carnefici che la stavano trascinando nei bagni pubblici della Villa Bellini per violentarla. “Vi imploro, vi supplico, non mi fate del male, lasciatemi andare…”. Sono le uniche parole pronunciate dalla 13enne violentata martedì scorso a Catania che filtrano nello stretto riserbo mantenuto dagli inquirenti sulla vicenda. La ragazza ha tentato in tutti i modi di dissuadere i giovanissimi componenti del branco, due dei quali minorenni. Lo stupro, compiuto da due di loro, è avvenuto davanti agli occhi del fidanzato 17enne della vittima, che è stato costretto ad assistere mentre veniva tenuto fermo dagli altri. La vittima di questa ennesima violenza di gruppo e il suo fidanzato, sia pure sotto choc, hanno subito denunciato quanto era accaduto collaborando con i Carabinieri che sono riusciti a risalire ai responsabili. I sette indagati, tutti di origine egiziana, arrivati in Italia da minorenni tra la fine del 2021 e il primo trimestre del 2023, erano stati accolti in alcune comunità, come prevede la legge. Uno di loro ha parlato con un operatore della struttura, dove ora è agli arresti domiciliari, rivelando l’accaduto, ma sostenendo di essere stato soltanto ‘spettatore’ della violenza: “E’ sotto choc – dice l’avvocato Angela Pennisi, rappresentante legale della comunità – ha capito la gravità del gesto che ha commesso e l’importanza di collaborare con le forze dell’ordine”.

Il giovane è stato condotto dai Carabinieri e ha collaborato alle indagini. Ad accusare gli indagati, oltre alla confessione del ragazzo egiziano ai domiciliari, anche il riconoscimento da parte della 13enne e del suo fidanzato. “E’ lui, uno dei due che mi hanno violentata” ha detto senza esitazione la ragazza, nel corso di un confronto all’americana in un luogo protetto, indicando l’ultimo fermato. Che è risultato essere da poco maggiorenne: la sua posizione sarà trattata per gli atti urgenti dalla Procura per i minorenni e poi il fascicolo sarò trasferito a quella Distrettuale, che ha già quattro indagati. La posizione di tutti sarà valutata domani mattina dai gip dei due Tribunali. La vittima ha identificato tre componenti del branco: un minorenne e un maggiorenne che l’avrebbero violentata e un altro egiziano che le ha impedito di scappare, bloccandola. Le inchieste aperte per violenza sessuale di gruppo aggravata sono due: quella della Procura distrettuale, dal procuratore facente funzioni Agata Santonocito, l’aggiunto Sebastiano Ardita e il sostituto Anna Trinchillo; e quella della Procura per i minorenni, diretta da Carla Santocono. Sul fronte delle indagini, condotte dai carabinieri del nucleo investigativo di Catania, c’è anche l’esito delle analisi condotte sugli indumenti della vittima dello stupro.

Attraverso il Dna è stato possibile identificare le tracce biologiche di due degli arrestati, oltre a quelle della ragazza. I test sono stati eseguiti dai Carabinieri della Sezione investigazioni scientifica del nucleo investigativo di Catania e analizzati dal Ris di Messina, che “hanno dimostrato grande professionalità ed efficienza”, commentano dagli uffici giudiziari. La vicenda della 13enne violentata nei giardini pubblici ha suscitato un’ondata di sdegno e solidarietà a Catania, dove proprio in questi giorni si festeggia la patrona della città Sant’Agata: “amore non vuol dire subire violenze” ha detto l’arcivescovo metropolita Luigi Renna, nell’omelia pronunciata in Cattedrale per la Messa dell’Aurora. “Solidarietà e comprensione” nei confronti della 13enne violentata a Catania viene espressa anche da Asia, la giovane palermitana anche lei vittima di uno stupro di gruppo avvenuto nel luglio scorso al Foro Italico.

“So bene quello che si prova – dice – perché l’ho vissuto sulla mia pelle. Non passa giorno senza che io ripensi a quella notte maledetta…”. Basilio Catanoso, vicecoordinatore siciliano di Fdi, si è detto “sconcertato” da questa vicenda che vede una 13enne vittima di violenza, la sicurezza nelle città deve “tornare una priorità assoluta”, ha detto. La Lega con il ministro Roberto Calderoli ripropone “la castrazione chimica, temporanea e reversibile” per “gli autori di stupro”. Una posizione, quella del Carroccio, contestata da Davide Faraone, capogruppo di Italia dei valori alla Camera: “non faremo come Salvini, non trasformeremo lo stupro di Catania in battaglia politica, spazio solo per la tutela delle vittime e massima vicinanza”.

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Cronache

Chico Forti in Italia: tra buona condotta e benefici, ipotesi libertà vigilata

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In Italia Chico Forti potrebbe ottenere la libertà condizionale. Lo conferma l’avvocato Alexandro Tirelli, già consulente dello zio di Forti e presidente delle Camere penali internazionali. Un beneficio che si può concedere “dopo 26 anni dall’applicazione dell’ergastolo e se il condannato resipiscente ha dimostrato condotta irreprensibile”. L’ordinamento italiano, spiega Tirelli, “non prevede il ‘fine pena mai’ per un omicidio volontario, ovvero l’ergastolo ostativo e Forti negli Stati Uniti è stato condannato al ‘lifetime without parole’, corrispondente appunto al fine pena mai.

Lì ha già scontato tra i 24 e i 25 anni di detenzione, quindi allo scadere del 26/o anno di prigionia (ergastolo nominale, ndr) potrebbe chiedere di essere liberato e ottenere la libertà vigilata”. Dunque, “potrebbe uscire dal carcere e cominciare il periodo di cinque anni di libertà vigilata al termine del quale, se non avrà commesso ulteriori reati, potrà ottenere la piena libertà, cioè il fine pena”. Il surfista e produttore televisivo trentino, fu condannato nel 2000 all’ergastolo “lifetime without parole” da un tribunale della Florida per l’omicidio premeditato di un imprenditore australiano, quindi, “avendo già scontato ormai 24 anni, ritengo che il Tribunale di sorveglianza debba riconoscergli i benefici di legge: uno sconto di pena di tre mesi per ogni anno di pena sofferta in prigione”, spiega il legale.

E ricorda che “se l’amministrazione Trump, come quella di Biden, sono sempre state favorevoli, per quanto riguarda il caso Forti, all’applicazione del trattato tra i due Paesi in base al quale una persona condannata in Italia o negli Stati Uniti può scontare una parte residuale della pena in patria, Ron DeSantis, governatore della Florida, è sempre stato contrario”. In punta di dottrina, Forti non è stato estradato, gli è soltanto stato concesso di venire in Italia per scontare il residuo della pena. “Gli americani quando decisero di consegnarlo all’Italia – spiega Tirelli – imposero la condizione che venisse rispettata la sentenza americana. Condizione, come dicevo, dal mio punto di vista irrealizzabile: non si può irrogare una pena non prevista dal codice. In Italia l’ergastolo ostativo è inflitto solo per omicidi di mafia o fatti internazionali”.

C’è un’altra eventualità: in caso di “problemi di salute potrebbe anche arrivare un provvedimento clemenziale”. Il legale è convinto che uno degli ostacoli superati nelle trattative per il rilascio, sia stato che Forti accettasse il verdetto della giustizia americana e “non diffamasse il sistema di giustizia americano”. Condizione quest’ultima da rispettare anche una volta giunto in Italia. “Credo questa sia stata la chiave di volta ed infatti Forti, che fino a dicembre si dichiarava innocente, ha poi accettato il verdetto della giustizia americana. Oggi è finalmente in Italia”, conclude il legale.

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Atti di bullismo su una carabiniera, la denuncia alla procura militare

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Un presunto atto di bullismo in caserma a Modena, ai danni di una giovane carabiniera, è stato segnalato dal sindacato Nsc. “Auspichiamo una ferma indagine della Procura ordinaria e militare”, dice il segretario generale dell’Emilia-Romagna Giovanni Morgese su Facebook. Il sindacato Nsc non fornisce dettagli su quanto avvenuto, parla di “gesto intollerabile” e dice già che valuterà la costituzione di parte civile.

L’episodio oggetto della segnalazione, secondo quanto si è potuto apprendere, sarebbe avvenuto nei giorni scorsi, all’ingresso di una caserma, quando un superiore avrebbe apposto dei tratti di penna con un “visto”, sulla fronte della carabiniera. Un gesto che sarebbe emerso in un contesto ancora da definire, ma sarebbe circolato con foto in chat e che è stato oggetto di una relazione all’Autorità da chi l’ha saputo.

La Procura Militare, informata nell’immediatezza dall’Arma, avrebbe nei giorni scorsi disposto gli indispensabili approfondimenti investigativi per comprendere le esatte circostanze e le motivazioni del riferito gesto mentre l’Arma ha già avviato le procedure interne per la valutazione disciplinare del personale coinvolto nella vicenda e il suo trasferimento in altre sedi. Anche la Procura ordinaria di Modena si sarebbe attivata, aprendo un fascicolo e disponendo indagini.

Anche il sindacato Unarma è intervenuto, con il segretario provinciale Antonio Loparco: “Pensavamo subito ad uno scherzo, oppure ad una scena di un film comico. Pensiamo che la cosa, come riportata, sia davvero molto grave. Da genitori e coniugi, non immaginiamo l’effetto che può provocare ai familiari della carabiniera appena hanno appreso la notizia. Una cosa inaudita senza precedenti. Che provoca un discredito irreparabile all’Arma dei Carabinieri”.

L’avvocato Luca Camaggi, difensore dell’ufficiale in questione, in una nota ha detto che pur non volendo entrare nel merito, il suo assistito “intende precisare che la narrazione che degli stessi è stata data è quanto di più distante dai principi e dai valori che hanno sempre guidato il suo agire. Siamo certi che nelle sedi opportune ci sarà modo di offrire una ricostruzione veritiera dell’episodio, da non potersi certo ricondurre a gesti ridicolizzanti o offensivi della collega del comandante”. Sempre a Modena, è di ieri la notizia della richiesta di rinvio a giudizio per il tenente colonnello Giampaolo Cati, accusato di stalking ai danni di 11 sottoposti al centro ippico dell’Accademia militare, con condotte sessiste e umilianti. A marzo, ancora nella città emiliana, due ufficiali dell’Arma sono stati trasferiti dopo il caso dei video del brigadiere che picchiava persone fermate.

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Ucciso a 5 mesi dal pitbull, procura apre un’inchiesta

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Per il neonato ucciso ieri dal cane di casa, un pitbull, la procura di Vercelli ha aperto un fascicolo per appurare eventuali responsabilità. Il piccolo Michele, 5 mesi, era stato azzannato dall’animale nel tardo pomeriggio, mentre era nel cortile di casa a Palazzolo (Vercelli) con la nonna che lo accudiva, mentre i genitori si erano allontanati come accadeva ogni tanto, per la spesa o per seguire dei lavori di risistemazione di un’altra casa. La nonna ora è in ospedale a Vercelli, per lievi ferite riportate durante l’aggressione avvenuta da parte del cane, ma soprattutto perché sotto shock per l’accaduto.

Il bambino era stato improvvisamente assalito dal cane di proprietà dei genitori: l’animale aveva puntato più volte alla parte posteriore del collo e al cranio. Titolare dell’indagine è il sostituto procuratore Michele Paternò e al momento è stato disposto il sequestro del cane, Nerone, un pitbull di otto anni, per motivi di sicurezza e per verificare un’eventuale indole pericolosa. L’animale ora si trova quindi in un canile della zona. L’inchiesta è indirizzata anche all’accertamento di eventuali negligenze da parte dei proprietari del cane e ieri sera sarebbero stati portati via dall’abitazione dove la coppia viveva con bebè e nonna, altri due cani di proprietà della famiglia.

Erano stati gli stessi genitori, una volta rientrati in casa, a lanciare l’allarme e a portare il figlio in fin di vita verso l’elisoccorso, atterrato nel campo sportivo del paese per un tentativo estremo di salvarlo. Animalisti e associazioni dei consumatori hanno reagito chiedendo nuovamente di regolamentare “con urgenza la detenzione di determinate razze o simil-razze” come sottolinea ad esempio l’Oipa. I casi simili infatti si ripetono, dal bambino di un anno morto a Eboli, ad altre due aggressioni finite senza conseguenze estreme nel Foggiano, ai danni di una bimba e di un’adolescente, di cui era stata data notizia proprio ieri.

Viene inoltre evidenziato dal Codacons come “l’aver eliminato la lista delle 17 razze di cani a rischio introdotta dall’ ex ministro Sirchia ha di fatto cancellato qualsiasi obbligo per i loro proprietari, con conseguenze negative sul fronte della sicurezza”, chiedendo un “patentino per i cani potenzialmente pericolosi”. Dall’Aidaa, che esprime vicinanza alla famiglia, arriva intanto un appello anche per il pitbull: “Annunciamo fin da ora che faremo tutto il possibile per garantire salva la vita di quel cane, che in fondo si è solo comportato come il suo istinto gli ha suggerito”.

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