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Jet e navi superano la linea mediana, Cina rompe con Usa

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Oltre alle decine di jet e navi da guerra spediti oltre la linea mediana dello Stretto di Taiwan, nel secondo giorno di manovre militari la Cina ha annunciato le sanzioni contro la speaker della Camera americana Nancy Pelosi e la cancellazione con gli Usa della comunicazione tra capi militari, delle riunioni di lavoro tra i ministeri della Difesa e del dialogo sulla sicurezza marittima. La mossa a sorpresa di Pechino e’ maturata con un’impennata dei toni che ha colpito la terza carica istituzionale americana, come mai accaduto in passato nei rapporti bilaterali. Sanzioni non meglio specificate per punire la sua visita a Taipei: di portata simbolica – come il divieto di visto esteso ai familiari in base alle esperienza passate -, ma a rimarcare il deterioramento delle relazioni e la ragionevole reazione in arrivo da parte dell’amministrazione Usa. “Una mossa semplicemente ingiustificata” a carico di Pelosi, ha commentato il portavoce della sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, che ha anche assicurato che non tutti i canali militari di comunicazione fra Stati Uniti e Cina sono stati chiusi. La nota diffusa dal ministero degli Esteri cinese, tuttavia, ha precisato in modo netto il blackout sulla comunicazione militare, destinato a far aumentare i rischi di incidenti e incomprensioni, e la ‘sospensione’ invece del dialogo su settori come rimpatri dei clandestini, assistenza alla giustizia penale e clima. “Fermare il dialogo sul cambiamento climatico e’ irresponsabile”, ha notato Kirby sul punto. La Casa Bianca, intanto, ha convocato l’ambasciatore cinese Qin Gang per condannare l’escalation delle azioni di Pechino contro Taiwan e ribadire che gli Stati Uniti non vogliono una crisi nella regione, Il giorno dopo aver lanciato i missili balisti sull’isola ribelle di 23 milioni di persone, la Cina ha inviato jet e navi da guerra attraverso la linea mediana dello Stretto di Taiwan nella prima incursione di questo tipo da anni. Il ministero delle Difesa di Taipei ha stimato che fino al pomeriggio almeno 68 caccia (di cui 49 oltre la linea mediana) e 13 unita’ navali avevano tenuto attivita’ operative ad aumentare la pressione sull’isola con modalita’ inedite e sempre piu’ assertive. “La Cina deve terminare le sue esercitazioni per far calare la tensione”, ha aggiunto Kirby, ma le modalita’ seguite finora dalla Cina sollevano piu’ di una preoccupazione. L’uso di munizioni da guerra, il lancio di missili vicino a Taiwan e alle sue isole, l’accerchiamento fino alla costa orientale – la piu’ distante dalla terraferma cinese – hanno creato una sorta di blocco aeronavale, come a testare misure e strategie che non necessariamente sono il preludio di un’invasione. Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha definito “clamorosamente provocatoria” la reazione della Cina alla visita di Pelosi, denunciando un tentativo di cambi di status quo. Mentre la presidente di Taiwan Tsai Ing-wen ha giudicato “irresponsabile” il lancio di missili da parte della Cina vicino alle trafficate rotte internazionali di volo e marittime intorno all’isola. Il segretario dell’Onu Antonio Guterres ha lanciato un appello alla moderazione alle due superpotenze: “Non si puo’ immaginare un mondo in armonia senza che vi sia un aperto e sereno dialogo tra Usa e Cina”. Un appello alla calma e’ arrivato anche dall’Ue con Josep Borrell che ha espresso forte “preoccupazione” per i rischi di “tragiche conseguenze”. Ma, di rimando ha replicato Pechino, l’essenza della vicenda di Taiwan “non e’ una questione democratica, ma una questione di principio importante sulla sovranita’ e l’integrita’ territoriale della Cina”, ha rilanciato la risposta della portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying. Le ipotesi dei media ufficiali e’ che nelle esercitazioni possano entrare in campo in modo massiccio cyberattacchi e droni per aggiungere altri tasselli sulle capacita’ di difesa e resistenza. Mentre pende sempre inevasa la risposta alla domanda sui reali sviluppi che il presidente XI Jinping vorra’ dare alle “manovre militari mirate”.

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Trump: la Crimea resterà alla Russia, Zelensky lo sa

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Donald Trump torna a parlare della guerra in Ucraina e lo fa con dichiarazioni destinate a far discutere. In un’intervista rilasciata a Time, il presidente degli Stati Uniti ha affermato che “la Crimea resterà con la Russia”, aggiungendo che anche il presidente ucraino Zelensky ne sarebbe consapevole.

“La Crimea è andata ai russi, fu colpa di Obama”

«La Crimea è stata consegnata alla Russia da Barack Hussein Obama, non da me», ha ribadito Trump, sottolineando come la penisola fosse “con i russi” ben prima del suo arrivo alla Casa Bianca. «Lì ci sono sempre stati i russi, ci sono stati i loro sottomarini per molti anni, la popolazione parla in gran parte russo», ha aggiunto. Secondo l’ex presidente, se lui fosse stato alla guida del Paese, “la Crimea non sarebbe mai stata presa”.

“Questa guerra non doveva accadere”

Trump ha definito il conflitto in Ucraina “la guerra che non sarebbe mai dovuta accadere”, lanciando un messaggio implicito al presidente Joe Biden e alla gestione democratica della politica estera. A suo avviso, con lui alla presidenza, la situazione in Ucraina si sarebbe sviluppata in modo del tutto diverso, senza l’invasione da parte delle truppe russe.

Le dichiarazioni si inseriscono in un contesto internazionale già molto teso, mentre si continua a discutere del futuro della Crimea e dei territori occupati.

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Mosca: generale ucciso in attacco terroristico

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La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha condannato come “un attacco terroristico” l’attentato in cui è morto oggi vicino a Mosca il generale Yaroslav Moskalik, ucciso dall’esplosione di un ordigno posto sulla sua auto. “La questione principale – ha detto Zakharova, citata dall’agenzia Tass – è come fermare la guerra nel cuore dell’Europa e del mondo. Vediamo così tante vittime ogni giorno. Anche oggi, un militare russo è stato ucciso in un attacco terroristico a Mosca”. (

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‘Usa offriranno pacchetto di armi da 100 miliardi a Riad’

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Gli Stati Uniti sono pronti a offrire all’Arabia Saudita un pacchetto di armi del valore di ben oltre 100 miliardi di dollari: lo riferisce la Reuters sul proprio sito citando sei fonti a conoscenza diretta della questione e aggiungendo che la proposta dovrebbe essere annunciata durante la visita di Donald Trump nel regno a maggio. Il pacchetto offerto arriva dopo che l’amministrazione dell’ex presidente Joe Biden ha tentato senza successo di finalizzare un patto di difesa con Riad nell’ambito di un accordo più ampio che prevedeva la normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele.

La proposta di Biden offriva l’accesso ad armamenti statunitensi più avanzati in cambio del blocco degli acquisti di armi cinesi e della limitazione degli investimenti di Pechino nel Paese. La Reuters non è riuscita a stabilire se la proposta dell’amministrazione Trump includa requisiti simili.

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