Collegati con noi

Economia

Italiani sfiduciati e ansiosi, la metà vuole uomo forte

Pubblicato

del

La crisi economica lascia le sue cicatrici dopo essere penetrata non solo nelle abitudini quotidiane degli italiani, ma anche nel loro modo di pensare, di comportarsi e di concepire la vita pubblica. Impoveriti, dominati dall’incertezza sul proprio futuro, presi dall’ansia e “macerati” dalla sfiducia, negli ultimi anni gli italiani hanno accentuato il loro individualismo e fatto ricorso a “stratagemmi individuali” di autodifesa, oggi sfociati in “crescenti pulsioni antidemocratiche” e nell’attesa “messianica dell’uomo forte che tutto risolve”. Di fronte ad una politica che non decide, o che decide “senza produrre effetti”, il 48% del Paese crede che la soluzione a tutti i mali passi dunque per “l’uomo forte al potere”, che non debba preoccuparsi né del Parlamento nè delle elezioni. Il quadro che emerge dall’ultimo rapporto del Censis non e’ piu’ solo di un Paese opportunistico, ma ormai soggiogato da uno “stress esistenziale, logorante perche’ riguarda il rapporto di ciascuno con il proprio futuro”. La relazione con il prossimo e’ entrata in crisi, al punto che il 75% non si fida piu’ degli altri, soprattutto se considerati ‘diversi’. Secondo il Centro studi, ad essere montata nell’ultimo anno e’ una pericolosa deriva verso l’odio, l’intolleranza e il razzismo nei confronti delle minoranze, percepita a livello diffuso. Il 70% degli italiani e’ infatti convinto che siano aumentati gli episodi di intolleranza e razzismo verso gli immigrati, dovuti per poco meno di un quarto della popolazione al fatto che gli extracomunitari sono troppi. E per il 58% e’ aumentato anche l’antisemitismo. A minare la sicurezza e’ stata nel tempo “la rarefazione” della protezione del welfare pubblico, ma anche la rottura dell’ascensore sociale, considerato bloccato dal 69% degli italiani, disamorato anche verso due capisaldi degli investimenti famigliari: i Bot, dai rendimenti ormai infinitesimali, e la casa, andata progressivamente perdendo valore. Il nerbo della crescita, il lavoro, per quanto apparentemente in crescita, si e’ peraltro rivelato incapace di assicurare vero benessere. Il Censis giudica l’aumento dell’occupazione del 2018 e dei primi mesi del 2019 “un bluff”, creato dal boom dei lavori part time (spesso non voluti ma obbligati) o a basso reddito. Il bilancio della recessione, calcola il rapporto, e’ di 867.000 occupati a tempo pieno in meno e 1,2 milioni in piu’ a tempo parziale. Il part time involontario riguarda 2,7 milioni di lavoratori, con una vera e propria impennata tra i giovani (+71,6% dal 2007). Dall’inizio della crisi al 2018, le retribuzioni del lavoro dipendente sono scese di oltre 1.000 euro l’anno. E i lavoratori che guadagnano meno di 9 euro l’ora lordi sono oggi 2,9 milioni. Complicato e’ anche il rapporto con l’Unione europea. Il 62% degli italiani e’ convinto che dall’Ue non si debba uscire, ma il 25%, uno su quattro, e’ invece favorevole all’Italexit. A quasi 18 anni dall’introduzione dell’euro, il 61% dice no al ritorno della lira e il 24% e’ invece favorevole. Inoltre, se il 49% si dice contrario alla riattivazione delle dogane alla frontiere interne della Ue, considerate un ostacolo alla libera circolazione di merci e persone, il 32% sarebbe invece per rimetterle. La nota positiva arriva invece dalla crescere attenzione al clima dei giovani. Il Censis ha intervistato i dirigenti scolastici e il risultato e’ che secondo il 74% dei presidi, l’etica ambientalista negli studenti e’ cresciuta grazie all”effetto Greta”. Il 60,9% ritiene che i propri alunni siano molto sensibili e partecipi delle esperienze che la scuola propone sul tema. Il 17,4% riferisce che sono loro stessi a farsi promotori di una nuova etica ambientale presso le famiglie e per il 12,9% spesso si fanno latori di nuove iniziative presso le scuole.

Advertisement

Economia

Eurostat, in Italia povero il 9% dei lavoratori full time

Pubblicato

del

In Italia sale il rischio di povertà tra le persone che lavorano anche se impegnate a tempo pieno: nel 2024 gli occupati con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale al netto dei trasferimenti sociali sono il 9%, in aumento dall’8,7% registrato nel 2023. Una percentuale più che doppia di quella della Germania (3,7%). E’ quanto emerge dalle tabelle Eurostat appena pubblicate secondo le quali, invece, sono il 10,2% i lavoratori di almeno 18 anni occupati per almeno la metà dell’anno (sia full time che part time) a rischio povertà, anche questi in aumento rispetto al 9,9% del 2023 .

In Spagna la percentuale dei lavoratori impegnati full time poveri è del 9,6% mentre in Finlandia è al 2,2%. Per chi lavora part time la percentuale di chi risulta povero in Italia nel 2024 risulta in calo dal 16,9% al 15,7%. La povertà lavorativa sale in Italia soprattutto per i lavoratori indipendenti, tra i quali il 17,2% ha redditi inferiori al 60% di quello mediano nazionale (era il 15,8% nel 2023) mentre per i dipendenti la quota sale all’,8,4% dall’8,3% precedente. In Germania la quota degli occupati over 18 in una situazione di povertà è diminuita dal 6,6% al 6,5% mentre in Spagna è diminuita dall’11,3% all’11,2%. Soffrono in Italia di questa condizione soprattutto i giovani: tra i 16 e i 29 anni è povero l’11,8% degli occupati mentre tra i 55 e i 64 anni è il 9,3%. Nella povertà lavorativa conta il livello di istruzione.

Tra i lavoratori che hanno fatto la sola scuola dell’obbligo in Italia si registra un 18,2% di occupati poveri (era il 17,7% del 2023) mentre la percentuale crolla tra i lavoratori laureati, tra i quali solo il 4,5% risulta con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale. Ma in questo caso si registra un importante aumento, visto che la percentuale era al 3,6% nel 2023. Si registra invece un lieve calo della povertà tra gli occupati che hanno un diploma con il 9,1% in difficoltà nel 2024 a fronte del 9,2% dell’anno precedente.

Continua a leggere

Economia

Parte l’ops su Bpm, Unicredit cerca dialogo col governo

Pubblicato

del

Da lunedì i soci di Banco Bpm potranno aderire all’offerta di Unicredit ma in questo momento tutti si chiedono se conviene, gli azionisti di Piazza Meda, la Borsa e lo stesso Andrea Orcel, il ceo di Piazza Gae Aulenti. Agli azionisti converrebbe vendere sul mercato. Per ciascuna azione di Bpm consegnata, che nell’ultima seduta di Borsa valeva 9,74 euro consegnata, si ricevono 0,175 azioni UniCredit (che venerdì valevano 50,87 euro), uno sconto che va oltre l’8 per cento. Improbabile un rialzo di prezzo ora che Unicredit deve fare i conti con i paletti imposti dal governo e con l’acquisizione di Anima che senza il Danish Compromise – una normativa europea che consente alle banche di acquisire assicurazioni con un minor assorbimento di capitale – pesa sull’indice patrimoniale di Banco Bpm e la rende meno attraente. L’offerta però resterà aperta fino al 23 giugno e nel frattempo Unicredit cerca un dialogo con il governo.

Le prescrizioni, tra cui il mantenimento del rapporto prestiti/depositi in Italia, le filiali di Banco Bpm in Lombardia e l’uscita dalla Russia entro il gennaio 2026, hanno un impatto che gli analisti di Jp Morgan hanno provato a calcolare: cento milioni di minori sinergie sui ricavi derivanti dalla stabilità del rapporto prestiti/depositi; 47 punti base di impatto CET1 derivante dall’uscita dalla Russia equivalente a 1,4 miliardi di capitale; 300 milioni di minori sinergie sui costi su un totale di 0,9 miliardi di euro. E in caso di inadempimento o violazione delle prescrizioni, secondo indiscrezioni, rischierebbe una multa compresa tra 300 milioni e 20 miliardi di euro. La normativa stabilisce infatti che la sanzione amministrativa possa arrivare fino al doppio del valore dell’operazione, e non sia inferiore all’1% del fatturato cumulato dell’ultimo esercizio approvato. Mentre Orcel si interroga se ne valga la pena, le tecnicalità vengono portate avanti e dopo una lunga istruttoria il 24 aprile è stato notificato alla DG Competition l’operazione di fusione e una risposta è attesa entro il 4 giugno.

“Data la forte complementarietà, presumiamo che non vi sia alcun piano di riduzione degli sportelli di in Lombardia”, sottolineano gli analisti di Jp Morgan, ricordando che Banco Bpm ha una quota di mercato del 13% contro il 6% di Unicredit. Resta in ogni caso sotto la soglia del 25% richiesta dall’Antitrust europeo. Il gruppo combinato avrebbe quote di mercato in eccesso solo in Sicilia (27%); raggiungerebbe il 24% in Val d’Aosta e Molise, il 23% in Piemonte, il 21% in Veneto e Lazio. La via del dialogo va percorsa, anche se il ministro Giancarlo Giorgetti tiene il punto e, a margine dei lavori del Fmi, non mostra segni di ammorbidimento. “Il governo deve valutare l’interesse nazionale, che non sono le competenze della Bce o della dg competition, è l’interesse nazionale. Qui (negli Usa ndr) ho capito che l’interesse nazionale risponde ad un concetto abbastanza virile anche in materia economica. In Italia abbiamo un concetto di interesse nazionale un po’ più lasco. Io li invidio gli americani”, ha chiosato.

Continua a leggere

Economia

Generali, vince la lista Mediobanca: Donnet e Sironi confermati alla guida

Pubblicato

del

Con il 52,38% dei voti, l’assemblea dei soci di Generali ha scelto la lista di Mediobanca, confermando per il prossimo triennio Philippe Donnet (foto Imagoeconomica in evidenza) nel ruolo di amministratore delegato e Andrea Sironi come presidente. Una decisione che riafferma la linea della continuità e della stabilità nella governance della storica compagnia assicurativa triestina.

Affluenza e composizione del voto

L’assemblea, che ha registrato un’affluenza del 68,7%, è tornata in presenza per la prima volta dal 2019, riunendo oltre 450 azionisti presso il Generali Convention Center. A pesare sul risultato finale sono stati in particolare i voti degli istituzionali (circa il 17,5%) e un sorprendente apporto del retail (5%), mai così attivo. Anche la Cassa forense, con il suo 1,2%, ha votato a favore della lista Mediobanca.

Risultato del gruppo Caltagirone e confronto con il 2022

La lista Caltagirone ha ottenuto il 36,8% del capitale votante, confermando il ruolo di minoranza forte, ma non sufficiente a ribaltare gli equilibri. I fondi Assogestioni, con il 3,67%, non superano la soglia del 5% e quindi restano fuori dal consiglio. Il confronto con il 2022 mostra un equilibrio sostanzialmente stabile: allora Mediobanca aveva ottenuto il 56%, Caltagirone il 41%.

Il nuovo consiglio d’amministrazione

Il nuovo board sarà composto da 13 membri, con una struttura molto simile a quella uscente. Oltre a Donnet e Sironi, confermati nomi come Clemente Rebecchini, Luisa Torchia, Lorenzo Pellicioli, Antonella Mei-Pochtler, Alessia Falsarone. Tra le novità, Patricia Estany Puig e Fabrizio Palermo, ex ceo di Cdp e attuale ad di Acea.

Il ruolo di Unicredit, Delfin e gli altri azionisti

A sostenere Caltagirone si è aggiunta Unicredit, con il 6,5% su un portafoglio totale del 6,7%. Al suo fianco anche Delfin(9,9%) e probabilmente la Fondazione Crt (quasi 2%). Assente invece dai voti sulle liste Edizione della famiglia Benetton (4,83%), che ha scelto di astenersi, pur votando su altri punti all’ordine del giorno.

Donnet: «Ha vinto Generali»

«Oggi ha vinto Generali», ha dichiarato Donnet. «Il mercato si è espresso chiaramente: questa era la scelta per il futuro della compagnia come public company indipendente». Il presidente Sironi ha parlato di un consiglio «che ha lavorato con rispetto e responsabilità» e che continuerà a farlo anche nel prossimo mandato.

 

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto