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Economia

Industria, Istat: cala il fatturato e volano i prezzi

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A settembre si stima che il fatturato dell’industria, al netto dei fattori stagionali, diminuisca dell’1,2%, in termini congiunturali, sia per il totale sia per le componenti interna ed estera. Lo rileva l’Istat. Corretto per gli effetti di calendario il fatturato totale cresce invece in termini tendenziali del 18,0%, con aumenti del 17,5% sul mercato interno e del 19,2% su quello estero. I giorni lavorativi sono stati 22 come a settembre 2021. In particolare si registrano incrementi tendenziali marcati per l’energia (+37,1%), più contenuti per i beni strumentali (+19,2%), i beni di consumo (+17,6%) e i beni intermedi (+14,8%).

L’Istat precisa inoltre che nel terzo trimestre l’indice complessivo è cresciuto dell’1,9% rispetto al trimestre precedente (+2,0% sul mercato interno e +1,9% su quello estero). Con riferimento ai raggruppamenti principali di industrie, a settembre gli indici destagionalizzati del fatturato segnano una flessione congiunturale per i beni di consumo (-0,4%), per i beni strumentali (-1,0%), per i beni intermedi (-1,1% ) e per l’energia (-4,5%). E tutti i settori di attività economica mostrano una crescita tendenziale sostenuta. Inoltre, con riferimento al comparto manifatturiero, a settembre si stima che l’indice destagionalizzato del fatturato in volume registri un calo in termini congiunturali (-1,2%). Corretto per gli effetti di calendario, il volume del fatturato per il comparto manifatturiero cresce in termini tendenziali del 4,6%, con un incremento molto più contenuto di quello in valore (+18,0%).

A ottobre 2022 i prezzi alla produzione dell’industria diminuiscono del 3,3% su base mensile e aumentano del 28,0% su base annua (da +41,7% di settembre). Lo rileva l’Istatprecisando che sul mercato interno i prezzi calano del 4,3% rispetto a settembre e crescono del 33,7% su base annua (era +52,9% a settembre). Al netto del comparto energetico, i prezzi mostrano una dinamica congiunturale positiva contenuta (+0,6%) e una crescita tendenziale nettamente meno ampia (+12,9%). Nel trimestre agosto-ottobre 2022, rispetto ai tre mesi precedenti, i prezzi alla produzione crescono del 7,4% (+9,2% mercato interno, +1,2% mercato estero).

L’Istat spiega che la flessione congiunturale – la prima dopo quasi due anni di incrementi consecutivi – e la netta decelerazione della crescita tendenziale dei prezzi alla produzione dell’industria sono soprattutto dovute ai forti ribassi, sul mercato interno, dei prezzi di fornitura di energia elettrica. Contribuisce anche l’ampio calo dei prezzi delle attività estrattive. Sul mercato interno, in un quadro di rallentamenti diffusi a molti settori manifatturieri, i prezzi continuano ad accelerare per industrie alimentari, bevande e tabacco. Sul mercato estero si rileva invece un lieve incremento congiunturale (+0,4%), sintesi di moderati aumenti in entrambe le aree, euro (+0,2%) e non euro (+0,6%). Su base annua, i prezzi crescono dell’11,3% (+10,8% area euro, +11,9% area non euro). A ottobre 2022 si rilevano aumenti tendenziali per tutti i settori manifatturieri; i più marcati riguardano prodotti chimici (+22,9% mercato interno, +23,6% area euro, +27,9% area non euro), industria del legno, della carta e stampa (+18,5% mercato interno, +27,6% area euro, +20,5% area non euro), coke e prodotti petroliferi raffinati, (+20,9% mercato interno, +15,1% area non euro), articoli in gomma e materie plastiche (+20,3% mercato interno, +15,9% area euro, +16,5% area non euro) e industrie alimentari bevande e tabacco (+17,8% mercato interno, +12,9% area euro, +15,1% area non euro).

L’Istat precisa inoltre che per le costruzioni, l’aumento congiunturale dei prezzi è modesto; la crescita su base annua è in lieve accelerazione per edifici, stazionaria per strade. In particolare, i prezzi alla produzione delle costruzioni per “Edifici residenziali e non residenziali” crescono dello 0,1% su base mensile e dell’8,5% su base annua e anche i prezzi di “Strade e Ferrovie” aumentano dello 0,1% su base mensile e registrano un incremento tendenziale dell’8,7%.Nel terzo tr imestre 2022 i prezzi alla produzione dei servizi aumentano dello 0,4% sul trimestre precedente e del 3,7% su base annua. L’incremento tendenziale più elevato riguarda i servizi di trasporto aereo (+29,0%); le uniche flessioni tendenziali interessano i servizi di telecomunicazione (-4,1%) e le altre attività dei servizi di informazione (-1,0%).

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Economia

Mediobanca lancia offerta su Banca Generali: nasce un colosso del Wealth Management

Mediobanca offre la propria partecipazione in Generali per acquisire Banca Generali e rafforzarsi nel Wealth Management con 210 miliardi di attivi in gestione.

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Mediobanca ha ufficialmente lanciato un’offerta pubblica di scambio sul 100% di Banca Generali, proponendo al Leone di Trieste la propria partecipazione azionaria in cambio della controllata specializzata nel settore del risparmio gestito. L’operazione, annunciata attraverso una nota ufficiale, comporta per Mediobanca la cessione della sua quota in Generali e un simultaneo investimento in Banca Generali per un valore complessivo di 6,3 miliardi di euro.

Evoluzione del rapporto tra Mediobanca e Generali

Secondo quanto precisato da Piazzetta Cuccia, questa mossa rappresenta un cambiamento strategico nei rapporti tra Mediobanca e Generali: da un semplice legame finanziario si passa a una “forte partnership industriale”, segnando una nuova fase di collaborazione tra i due gruppi.

Obiettivo: la leadership nel Wealth Management

L’operazione permetterà a Mediobanca di rafforzare notevolmente la propria presenza nel settore del Wealth Management. Una volta completata l’aggregazione, il gruppo potrà contare su attivi in gestione pari a 210 miliardi di euro, ricavi per circa 2 miliardi e una capacità di crescita stimata in oltre 15 miliardi annui. Un passo decisivo che conferma la volontà di Mediobanca di posizionarsi come leader di mercato in un settore strategico e in forte espansione.

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Economia

Eurostat, in Italia povero il 9% dei lavoratori full time

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In Italia sale il rischio di povertà tra le persone che lavorano anche se impegnate a tempo pieno: nel 2024 gli occupati con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale al netto dei trasferimenti sociali sono il 9%, in aumento dall’8,7% registrato nel 2023. Una percentuale più che doppia di quella della Germania (3,7%). E’ quanto emerge dalle tabelle Eurostat appena pubblicate secondo le quali, invece, sono il 10,2% i lavoratori di almeno 18 anni occupati per almeno la metà dell’anno (sia full time che part time) a rischio povertà, anche questi in aumento rispetto al 9,9% del 2023 .

In Spagna la percentuale dei lavoratori impegnati full time poveri è del 9,6% mentre in Finlandia è al 2,2%. Per chi lavora part time la percentuale di chi risulta povero in Italia nel 2024 risulta in calo dal 16,9% al 15,7%. La povertà lavorativa sale in Italia soprattutto per i lavoratori indipendenti, tra i quali il 17,2% ha redditi inferiori al 60% di quello mediano nazionale (era il 15,8% nel 2023) mentre per i dipendenti la quota sale all’,8,4% dall’8,3% precedente. In Germania la quota degli occupati over 18 in una situazione di povertà è diminuita dal 6,6% al 6,5% mentre in Spagna è diminuita dall’11,3% all’11,2%. Soffrono in Italia di questa condizione soprattutto i giovani: tra i 16 e i 29 anni è povero l’11,8% degli occupati mentre tra i 55 e i 64 anni è il 9,3%. Nella povertà lavorativa conta il livello di istruzione.

Tra i lavoratori che hanno fatto la sola scuola dell’obbligo in Italia si registra un 18,2% di occupati poveri (era il 17,7% del 2023) mentre la percentuale crolla tra i lavoratori laureati, tra i quali solo il 4,5% risulta con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale. Ma in questo caso si registra un importante aumento, visto che la percentuale era al 3,6% nel 2023. Si registra invece un lieve calo della povertà tra gli occupati che hanno un diploma con il 9,1% in difficoltà nel 2024 a fronte del 9,2% dell’anno precedente.

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Economia

Parte l’ops su Bpm, Unicredit cerca dialogo col governo

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Da lunedì i soci di Banco Bpm potranno aderire all’offerta di Unicredit ma in questo momento tutti si chiedono se conviene, gli azionisti di Piazza Meda, la Borsa e lo stesso Andrea Orcel, il ceo di Piazza Gae Aulenti. Agli azionisti converrebbe vendere sul mercato. Per ciascuna azione di Bpm consegnata, che nell’ultima seduta di Borsa valeva 9,74 euro consegnata, si ricevono 0,175 azioni UniCredit (che venerdì valevano 50,87 euro), uno sconto che va oltre l’8 per cento. Improbabile un rialzo di prezzo ora che Unicredit deve fare i conti con i paletti imposti dal governo e con l’acquisizione di Anima che senza il Danish Compromise – una normativa europea che consente alle banche di acquisire assicurazioni con un minor assorbimento di capitale – pesa sull’indice patrimoniale di Banco Bpm e la rende meno attraente. L’offerta però resterà aperta fino al 23 giugno e nel frattempo Unicredit cerca un dialogo con il governo.

Le prescrizioni, tra cui il mantenimento del rapporto prestiti/depositi in Italia, le filiali di Banco Bpm in Lombardia e l’uscita dalla Russia entro il gennaio 2026, hanno un impatto che gli analisti di Jp Morgan hanno provato a calcolare: cento milioni di minori sinergie sui ricavi derivanti dalla stabilità del rapporto prestiti/depositi; 47 punti base di impatto CET1 derivante dall’uscita dalla Russia equivalente a 1,4 miliardi di capitale; 300 milioni di minori sinergie sui costi su un totale di 0,9 miliardi di euro. E in caso di inadempimento o violazione delle prescrizioni, secondo indiscrezioni, rischierebbe una multa compresa tra 300 milioni e 20 miliardi di euro. La normativa stabilisce infatti che la sanzione amministrativa possa arrivare fino al doppio del valore dell’operazione, e non sia inferiore all’1% del fatturato cumulato dell’ultimo esercizio approvato. Mentre Orcel si interroga se ne valga la pena, le tecnicalità vengono portate avanti e dopo una lunga istruttoria il 24 aprile è stato notificato alla DG Competition l’operazione di fusione e una risposta è attesa entro il 4 giugno.

“Data la forte complementarietà, presumiamo che non vi sia alcun piano di riduzione degli sportelli di in Lombardia”, sottolineano gli analisti di Jp Morgan, ricordando che Banco Bpm ha una quota di mercato del 13% contro il 6% di Unicredit. Resta in ogni caso sotto la soglia del 25% richiesta dall’Antitrust europeo. Il gruppo combinato avrebbe quote di mercato in eccesso solo in Sicilia (27%); raggiungerebbe il 24% in Val d’Aosta e Molise, il 23% in Piemonte, il 21% in Veneto e Lazio. La via del dialogo va percorsa, anche se il ministro Giancarlo Giorgetti tiene il punto e, a margine dei lavori del Fmi, non mostra segni di ammorbidimento. “Il governo deve valutare l’interesse nazionale, che non sono le competenze della Bce o della dg competition, è l’interesse nazionale. Qui (negli Usa ndr) ho capito che l’interesse nazionale risponde ad un concetto abbastanza virile anche in materia economica. In Italia abbiamo un concetto di interesse nazionale un po’ più lasco. Io li invidio gli americani”, ha chiosato.

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