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In centomila sfilano per la pace e chiedono il “cessate il fuoco subito”

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In Italia sfila il popolo della pace. Da Roma a Milano, da Torino a Napoli: le piazze arcobaleno, le bandiere con la colomba bianca stilizzata, per chiedere “un cessate il fuoco immediato” del conflitto in Ucraina. Stop alle armi ma con dei distinguo. Nella Capitale in più di centomila, secondo gli organizzatori (mentre la questura parla di 40mila presenze) hanno aderito alla manifestazione Europe for Peace indetta da sigle sindacali e oltre 500 associazioni. La piazza chiede lo stop alle armi e chiede che l’Italia, l’Unione Europea e gli stati membri, le Nazioni Unite “si assumano le responsabilità di un negoziato”. A Milano si ritrovano in cinquemila all’evento indetto dal Terzo Polo. Una piazza, spiegano gli organizzatori, ‘non politicizzata’ con pochissime bandiere della pace ma tanti vessilli dell’Ucraina e dell’Unione europea e tanti striscioni “contro l’aggressione russa” e a favore delle sanzioni europee. A Roma nutritissima la componente cattolica, boy scout e comunità di Sant’Egidio erano in testa al corteo, ma massiccia anche la presenza dei sindacati, Rete per il Disarmo, Arci e Anpi. All’evento romano anche leader di partito con Pd, M5S e Alleanza Verdi Sinistra Italia, con Roberto Giachetti rappresentante del Terzo Polo. “Oggi qui non ci sono bandiere ma cittadini – ha detto il presidente dei Pentastellati, Giuseppe Conte – che dicono al governo che vogliamo il negoziato di pace, che la strategia finora seguita non funziona: qui c’è la maggioranza silenziosa del paese”. L’ex premier, in tema di invio di armi, ha poi ammonito il ministro della Difesa: “A Crosetto dico che visto che è stata votata una risoluzione in Parlamento, non si azzardi a decidere un nuovo invio armi senza un confronto in Parlamento”. Parole a cui il capo del Dicastero ha risposto affermando che “Conte può stare sereno, il Ministero, non il Ministro (che non dispone delle istituzioni ne’ delle organizzazioni, ma le rappresenta e le serve) seguirà le leggi come ha sempre fatto dalla sua istituzione in età Repubblicana”. Al corteo che ha attraversato Roma anche il segretario del Partito Democratico, Enrico Letta che è stato oggetto anche di una mini contestazione da parte di alcuni manifestanti che lo hanno accusato di essere un “guerrafondaio”. “La pace è la cosa più importante di tutte – ha affermato Letta -. Siamo qui per dire la nostra, in silenzio, marciando, come credo sia giusto fare in questo momento per la pace per l’Ucraina, perché finisca questa guerra e perché finisca l’invasione della Russia”. E per Nicola Fratoianni (Avs) “occorre investire sulla costruzione faticosa di una via d’uscita diplomatica” a tutela dei civili. Dal palco in piazza San Giovanni, dove erano presenti anche ragazzi e ragazze iraniani che hanno esposto uno striscione con su scritto “Donna, vita e libertà”, il grido “pace” declinato da figure solo apparentemente distanti. Don Luigi Ciotti ha detto di “diffidare dai neutrali” e che la strada dello stop al conflitto “è possibile”. Andrea Riccardi, fondatore di Sant’Egidio, ha chiesto al presidente della Federazione russa, facendo sue le parole del Papa, di “fare uscire il suo popolo dalla spirale della guerra, e al presidente dell’Ucraina perché sia aperto a serie proposte di pace”. Per il segretario della Cgil, Maurizio Landini, non ci si può “rassegnare alla guerra, perché il rischio di un conflitto nucleare è concreto”. L’evento si è chiuso con “Bella Ciao” cantata dalla piazza. Stessa scelta fatta dagli organizzatori di Milano dove Calenda ha sostenuto che “tutti vogliamo la pace, ma da dove deriva la pace? Dalla libertà o dall’asservimento? Voglio sapere cosa vuol dire l’ideale della pace, perché se l’ideale della Pace è disarmare gli ucraini è l’ideale della sottomissione”. All’Arco della Pace anche alcuni cittadini ucraini arrivati da Roma. “Ci siamo sentiti molto più vicini a voi e siamo venuti con il pullman”, ha detto Oles Horodetskyy, presidente dell’associazione. Sul palco anche Letizia Moratti, ex vicepresidente della Regione Lombardia, che ha concluso il suo intervento dicendo che “ci sono momenti in cui bisogna scegliere da che parte stare e io sono qui per questo”. In piazza a Napoli erano, invece, più di diecimila per l’evento ribattezzato “Insorgiamo”. Studenti e sigle della galassia antagonista sono arrivati nel capoluogo partenopeo da tutta Italia. Un corteo durante il quale non sono mancati momenti di tensione quando sono stati lanciati bengala e petardi contro una banca e il palazzo municipale. Infine a Torino presidio “contro l’invasione russa” organizzato, tra gli altri, dai Radicali e +Europa.

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Chico Forti in Italia: tra buona condotta e benefici, ipotesi libertà vigilata

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In Italia Chico Forti potrebbe ottenere la libertà condizionale. Lo conferma l’avvocato Alexandro Tirelli, già consulente dello zio di Forti e presidente delle Camere penali internazionali. Un beneficio che si può concedere “dopo 26 anni dall’applicazione dell’ergastolo e se il condannato resipiscente ha dimostrato condotta irreprensibile”. L’ordinamento italiano, spiega Tirelli, “non prevede il ‘fine pena mai’ per un omicidio volontario, ovvero l’ergastolo ostativo e Forti negli Stati Uniti è stato condannato al ‘lifetime without parole’, corrispondente appunto al fine pena mai.

Lì ha già scontato tra i 24 e i 25 anni di detenzione, quindi allo scadere del 26/o anno di prigionia (ergastolo nominale, ndr) potrebbe chiedere di essere liberato e ottenere la libertà vigilata”. Dunque, “potrebbe uscire dal carcere e cominciare il periodo di cinque anni di libertà vigilata al termine del quale, se non avrà commesso ulteriori reati, potrà ottenere la piena libertà, cioè il fine pena”. Il surfista e produttore televisivo trentino, fu condannato nel 2000 all’ergastolo “lifetime without parole” da un tribunale della Florida per l’omicidio premeditato di un imprenditore australiano, quindi, “avendo già scontato ormai 24 anni, ritengo che il Tribunale di sorveglianza debba riconoscergli i benefici di legge: uno sconto di pena di tre mesi per ogni anno di pena sofferta in prigione”, spiega il legale.

E ricorda che “se l’amministrazione Trump, come quella di Biden, sono sempre state favorevoli, per quanto riguarda il caso Forti, all’applicazione del trattato tra i due Paesi in base al quale una persona condannata in Italia o negli Stati Uniti può scontare una parte residuale della pena in patria, Ron DeSantis, governatore della Florida, è sempre stato contrario”. In punta di dottrina, Forti non è stato estradato, gli è soltanto stato concesso di venire in Italia per scontare il residuo della pena. “Gli americani quando decisero di consegnarlo all’Italia – spiega Tirelli – imposero la condizione che venisse rispettata la sentenza americana. Condizione, come dicevo, dal mio punto di vista irrealizzabile: non si può irrogare una pena non prevista dal codice. In Italia l’ergastolo ostativo è inflitto solo per omicidi di mafia o fatti internazionali”.

C’è un’altra eventualità: in caso di “problemi di salute potrebbe anche arrivare un provvedimento clemenziale”. Il legale è convinto che uno degli ostacoli superati nelle trattative per il rilascio, sia stato che Forti accettasse il verdetto della giustizia americana e “non diffamasse il sistema di giustizia americano”. Condizione quest’ultima da rispettare anche una volta giunto in Italia. “Credo questa sia stata la chiave di volta ed infatti Forti, che fino a dicembre si dichiarava innocente, ha poi accettato il verdetto della giustizia americana. Oggi è finalmente in Italia”, conclude il legale.

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Atti di bullismo su una carabiniera, la denuncia alla procura militare

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Un presunto atto di bullismo in caserma a Modena, ai danni di una giovane carabiniera, è stato segnalato dal sindacato Nsc. “Auspichiamo una ferma indagine della Procura ordinaria e militare”, dice il segretario generale dell’Emilia-Romagna Giovanni Morgese su Facebook. Il sindacato Nsc non fornisce dettagli su quanto avvenuto, parla di “gesto intollerabile” e dice già che valuterà la costituzione di parte civile.

L’episodio oggetto della segnalazione, secondo quanto si è potuto apprendere, sarebbe avvenuto nei giorni scorsi, all’ingresso di una caserma, quando un superiore avrebbe apposto dei tratti di penna con un “visto”, sulla fronte della carabiniera. Un gesto che sarebbe emerso in un contesto ancora da definire, ma sarebbe circolato con foto in chat e che è stato oggetto di una relazione all’Autorità da chi l’ha saputo.

La Procura Militare, informata nell’immediatezza dall’Arma, avrebbe nei giorni scorsi disposto gli indispensabili approfondimenti investigativi per comprendere le esatte circostanze e le motivazioni del riferito gesto mentre l’Arma ha già avviato le procedure interne per la valutazione disciplinare del personale coinvolto nella vicenda e il suo trasferimento in altre sedi. Anche la Procura ordinaria di Modena si sarebbe attivata, aprendo un fascicolo e disponendo indagini.

Anche il sindacato Unarma è intervenuto, con il segretario provinciale Antonio Loparco: “Pensavamo subito ad uno scherzo, oppure ad una scena di un film comico. Pensiamo che la cosa, come riportata, sia davvero molto grave. Da genitori e coniugi, non immaginiamo l’effetto che può provocare ai familiari della carabiniera appena hanno appreso la notizia. Una cosa inaudita senza precedenti. Che provoca un discredito irreparabile all’Arma dei Carabinieri”.

L’avvocato Luca Camaggi, difensore dell’ufficiale in questione, in una nota ha detto che pur non volendo entrare nel merito, il suo assistito “intende precisare che la narrazione che degli stessi è stata data è quanto di più distante dai principi e dai valori che hanno sempre guidato il suo agire. Siamo certi che nelle sedi opportune ci sarà modo di offrire una ricostruzione veritiera dell’episodio, da non potersi certo ricondurre a gesti ridicolizzanti o offensivi della collega del comandante”. Sempre a Modena, è di ieri la notizia della richiesta di rinvio a giudizio per il tenente colonnello Giampaolo Cati, accusato di stalking ai danni di 11 sottoposti al centro ippico dell’Accademia militare, con condotte sessiste e umilianti. A marzo, ancora nella città emiliana, due ufficiali dell’Arma sono stati trasferiti dopo il caso dei video del brigadiere che picchiava persone fermate.

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Ucciso a 5 mesi dal pitbull, procura apre un’inchiesta

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Per il neonato ucciso ieri dal cane di casa, un pitbull, la procura di Vercelli ha aperto un fascicolo per appurare eventuali responsabilità. Il piccolo Michele, 5 mesi, era stato azzannato dall’animale nel tardo pomeriggio, mentre era nel cortile di casa a Palazzolo (Vercelli) con la nonna che lo accudiva, mentre i genitori si erano allontanati come accadeva ogni tanto, per la spesa o per seguire dei lavori di risistemazione di un’altra casa. La nonna ora è in ospedale a Vercelli, per lievi ferite riportate durante l’aggressione avvenuta da parte del cane, ma soprattutto perché sotto shock per l’accaduto.

Il bambino era stato improvvisamente assalito dal cane di proprietà dei genitori: l’animale aveva puntato più volte alla parte posteriore del collo e al cranio. Titolare dell’indagine è il sostituto procuratore Michele Paternò e al momento è stato disposto il sequestro del cane, Nerone, un pitbull di otto anni, per motivi di sicurezza e per verificare un’eventuale indole pericolosa. L’animale ora si trova quindi in un canile della zona. L’inchiesta è indirizzata anche all’accertamento di eventuali negligenze da parte dei proprietari del cane e ieri sera sarebbero stati portati via dall’abitazione dove la coppia viveva con bebè e nonna, altri due cani di proprietà della famiglia.

Erano stati gli stessi genitori, una volta rientrati in casa, a lanciare l’allarme e a portare il figlio in fin di vita verso l’elisoccorso, atterrato nel campo sportivo del paese per un tentativo estremo di salvarlo. Animalisti e associazioni dei consumatori hanno reagito chiedendo nuovamente di regolamentare “con urgenza la detenzione di determinate razze o simil-razze” come sottolinea ad esempio l’Oipa. I casi simili infatti si ripetono, dal bambino di un anno morto a Eboli, ad altre due aggressioni finite senza conseguenze estreme nel Foggiano, ai danni di una bimba e di un’adolescente, di cui era stata data notizia proprio ieri.

Viene inoltre evidenziato dal Codacons come “l’aver eliminato la lista delle 17 razze di cani a rischio introdotta dall’ ex ministro Sirchia ha di fatto cancellato qualsiasi obbligo per i loro proprietari, con conseguenze negative sul fronte della sicurezza”, chiedendo un “patentino per i cani potenzialmente pericolosi”. Dall’Aidaa, che esprime vicinanza alla famiglia, arriva intanto un appello anche per il pitbull: “Annunciamo fin da ora che faremo tutto il possibile per garantire salva la vita di quel cane, che in fondo si è solo comportato come il suo istinto gli ha suggerito”.

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