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Ambiente

Ilva di Taranto, l’accordo tra Arcelor e sindacati è un succeso anche per Di Maio: nessun licenziamento e più risorse per le bonifiche

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C’è l’accordo per far ripartire una nuova Ilva a Taranto. Governo e Arcelor Mittal, la nuova proprietà hanno trovato una intesa. I sindacati sono soddisfatti. Tocca capire ora cosa diranno comune di Taranto e Regione Puglia. Ieri però c’è stata la firma sull’accordo finale, dopo giorni e giorni di trattative a volte sfibranti. Il via libera  al ministero dello Sviluppo economico è stato salutato con un applauso liberatorio delle varie delegazioni. E c’è stato quando il colosso industriale ha deciso di accontentare tutte le richieste dei sindacati. Soprattutto sul piano occupazionale. I futuri proprietari delle acciaierie assumeranno subito 10.700 dei 13.522 lavoratori oggi alle dipendenze dell’Ilva.

 


Gli altri 2.822 resteranno nella società in amministrazione straordinaria e saranno impiegati nelle bonifiche fino alla fine del piano industriale. Chi vorrà potrà decidere di andare. Potrà accettare un incentivo per licenziarsi volontariamente o aspettare la riassunzione che Arcelor Mittal garantisce entro il 2025. Per gli operai entrati in servizio prima del Jobs Act resta l’articolo 18. Per i sindacati è un bel colpo. Ora, come da prassi consolidata, chiederanno agli iscritti di esprimersi con un referendum entro il 13 settembre. Col Sì dei lavoratori, ci sarà il passaggio dell’Ilva nelle mani della multinazionale indiana. Alla luce di questo accordo, il ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio ha detto di non voler più annullare la gara, pur ritenuta illegittima dopo i pareri dell’Anac e dell’Avvocatura dello Stato. Il Governo ritiene di non intervenire grazie alle migliori condizioni ottenute con il negoziato sul piano ambientale (ci saranno più fondi e più progetti di bonifica e riconversione di apparati industriali obsoleti) e occupazionale (non ci sarà nessun licenziamento). Che cosa ha fatto cambiare idea ai sindacati e al neo ministro Di Maio? A ottobre 2017, l’accordo raggiunto tra l’ex ministro Carlo Calenda e Arcelor Mittal – azienda vincitrice di una gara non cristallina, prevedeva di assumere 10 mila lavoratori su 13522, senza diritti acquisiti né articolo 18.
Da lì è partita la trattativa con i sindacati che volevano garanzie per tutti i 13.522 dipendenti. A maggio l’allora ministro Carlo Calenda ha suggerito un accordo: la multinazionale avrebbe preso i 10 mila addetti riconoscendo l’anzianità maturata (ma non l’articolo 18), gli altri sarebbero entrati in una società – creata con Invitalia – impegnata nelle bonifiche durante il piano fino al 2024. Nel frattempo sarebbe proseguita la cassa integrazione e sarebbe partito un programma di incentivi all’esodo. Per quelli eventualmente ancora rimasti dentro a fine piano industriale, nel 2024, Invitalia avrebbe individuato “le soluzioni in grado di dare prospettive occupazionali stabili”. Impegni troppo generici per Fiom, Uilm e Usb, che hanno rigettato l’intesa (Fim Cisl era invece d’accordo). A quel punto sono partite trattative informali, anche queste arenate per la distanza tra sindacati e azienda.
Venerdì 31 agosto, in piena tempesta scatenata dall’ipotesi di annullamento della gara, i sindacati hanno proclamato lo sciopero per l’11 settembre; il ministero dello Sviluppo economico ha allora convocato il tavolo per mercoledì 5. Nel frattempo, Arcelor Mittal ha redatto, con i commissari dell’Ilva, una nuova proposta: il testo è stato portato alla riunione iniziata l’altroieri e consegnato dopo l’avvio dei lavori. Prevedeva l’assunzione di 10.100 lavoratori subito e altri 200 entro il 31 dicembre 2020. Ancora una volta, senza articolo 18. Per tutti gli altri cassa integrazione, 250 milioni di euro per gli incentivi alle dimissioni e promessa di riassumere quelli non disposti a licenziarsi.
Questo riassorbimento, però, sarebbe avvenuto alla fine dell’amministrazione straordinaria (non prima del 23 agosto 2023) e a costi invariati, quindi avrebbe portato a una riduzione dell’ orario di lavoro e degli stipendi.
Condizioni ancora insoddisfacenti per i sindacati, che hanno preteso diverse modifiche: 10.700 assunti iniziali, una data precisa per il rientro in organico degli altri da attuare senza tagli in busta paga.
Una breve pausa alle sette di sera di mercoledì, poi alla ripresa, due ore dopo, la domanda delle sigle: “Siete in grado di migliorare la proposta?”. La risposta di Arcelor Mittal è stata positiva e nel cuore della notte ha illustrato il nuovo schema: 10.500 assunzioni immediate, articolo 18 per gli assunti prima del 7 marzo 2015 (Jobs Act) e impegno a riassumere chi non accetta l’incentivo all’esodo “non prima del 23 agosto 2023” ma “non oltre il 30 settembre 2025”, senza la clausola sui costi invariati. A quel punto, governo e sindacati hanno chiesto l’ultimo sforzo, insistendo su 10.700 assunti immediati. Ieri mattina presto, la multinazionale ha ceduto e dopo alcune ore passate a limare gli ultimi dettagli sono arrivate le firme su un documento destinato a restare nella storia industriale di questo Paese.

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Istituito dal ministro Gilberto Pichetto il 25/o Parco nazionale, è quello del Matese

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Nasce il 25/o parco nazionale italiano, è quello del Matese, area protetta tra Campania e Molise per 87.897,7 ettari. Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, ha firmato il decreto che individua “la perimetrazione, la zonizzazione e le misure di salvaguardia del Parco Nazionale del Matese”. Lo rende noto un comunicato del Mase. Il provvedimento, in ottemperanza alla pronuncia del Tar del Lazio dell’ottobre 2024, spiega la nota, “è il frutto del lavoro e della concertazione che ha coinvolto, oltre il Mase, l’Ispra e numerosi enti territoriali interessati: 52 amministrazioni comunali, quattro province e due Regioni. Viene così ampliato il vecchio Parco Regionale, entrato in funzione solamente nel 2002, a causa della mancata approvazione delle norme attuative della legge regionale, e che si estendeva su una superficie di oltre 33mila ettari”.
“La firma di oggi, nella Giornata della Terra – ha dichiarato il ministro Gilberto Pichetto – afferma in concreto il valore della biodiversità del nostro Paese: il Matese è uno scrigno di natura e cultura, che entra formalmente nella lista dei Parchi nazionali, aprendosi a una visione di sviluppo nuova che vogliamo costruire con la forte condivisione di istituzioni e comunità locali”. “Da oggi il territorio acquisirà – ha aggiunto il sottosegretario Claudio Barbaro a cui il Mase ha attribuito la delega alle aree protette – una visibilità nazionale e il trasferimento di notevoli risorse, al fine di rendere il Parco anche un’occasione, tra le altre cose, di rilancio turistico.
Il Mase, con il nuovo Governo, ha costituito l’Area marina protetta di Capospartivento, il Parco Ambientale di Orbetello e adesso il Parco Nazionale del Matese, a dimostrazione che esiste una strategia e una visione precisa sullo sviluppo delle aree da tutelare, pur nel convincimento che fra l’uomo e il territorio occorra consolidare un equilibrio che sappia preservare sia la natura che lo sviluppo” ha rilevato Barbaro. L’ultimo Parco nazionale istituito in Italia è stato quello dell’Isola di Pantelleria, nel 2016.

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Efficienza energetica e valore degli immobili: in Italia cresce la consapevolezza, ma resta indietro il 75% del patrimonio edilizio

Ristrutturare conviene: +43% di valore per gli immobili efficienti. Risparmi per le famiglie fino a 19 miliardi l’anno.

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In Italia, tre edifici su quattro restano in classi energetiche basse, nonostante il miglioramento registrato tra il 2018 e il 2023, con un aumento degli immobili in classe A dal 8% al 15%. Lo rivela l’ultima analisi della Community Smart Building di Teha Group, che mette in luce le gravi conseguenze in termini economici, ambientali e sociali legate al ritardo del Paese nell’efficientamento del parco immobiliare.

Gli immobili efficienti conquistano il mercato

Il mercato immobiliare premia sempre di più l’efficienza energetica. Le compravendite di edifici nuovi in classe A o B sono passate dal 49% al 70% in dieci anni, mentre quelle di immobili ristrutturati ad alta efficienza sono salite dal 7% al 38%. Di conseguenza, anche il valore medio di mercato cresce:

  • 2.316 euro/m² per edifici ristrutturati

  • 1.615 euro/m² per edifici abitabili

  • 1.290 euro/m² per edifici da ristrutturare

Un divario che evidenzia la valorizzazione degli immobili smart e sostenibili, capaci di coniugare risparmio energetico e riduzione dell’impatto ambientale.

Povertà energetica: 5,3 milioni di italiani in difficoltà

Nonostante gli sforzi, l’Italia resta tra i Paesi UE più colpiti dalla povertà energetica, con l’8,8% delle famiglie che non riesce a riscaldare adeguatamente la propria abitazione. Un dato preoccupante, legato all’elevata percentuale di edifici inefficienti e ai costi energetici crescenti, aggravati da redditi insufficienti.

L’efficienza come opportunità economica

Secondo l’analisi del Teha Group, l’efficientamento energetico degli edifici può ridurre i consumi energetici fino al 29% e quelli idrici fino al 5%, generando un risparmio netto stimato tra i 17 e i 19 miliardi di euro annui per famiglie e sistema economico.

Benedetta Brioschi, responsabile della Community Smart Building, sottolinea:
“Il rinnovamento green e smart degli edifici è una necessità, ma anche una grande opportunità. Il Real Estate si sta già muovendo, ma servono ulteriori investimenti pubblici e privati per accelerare il cambiamento”.

Serve un’azione condivisa tra istituzioni, imprese e cittadini

Il report invita a superare il modello del solo pensiero (“think tank”) e diventare un “act tank”, in grado di influenzare concretamente le scelte dei policy maker. La collaborazione tra governo, aziende e cittadini è essenziale per trasformare il patrimonio immobiliare italiano in una leva di sostenibilità e benessere diffuso.

(La foto in evidenza è stata realizzata con sistemi di intelligenza artificiale)

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Primo filmato di un calamaro colossale negli abissi, è cucciolo

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Filmato per la prima volta uno dei più elusivi e misteriosi abitanti degli abissi: si tratta del calamaro colossale Mesonychoteuthis hamiltoni, l’invertebrato più pesante al mondo, che può raggiungere i 7 metri di lunghezza e i 500 chili di peso. La sua esistenza era nota da un secolo, ma finora nessun esemplare vivo era mai stato visto nuotare nel suo habitat naturale. La svolta è arrivata lo scorso 9 marzo, quando un cucciolo lungo appena 30 centimetri è stato ripreso a 600 metri di profondità nell’Oceano Atlantico meridionale dal robot subacqueo SuBastian dello Schmidt Ocean Institute.

L’inaspettato incontro è avvenuto mentre i ricercatori a bordo della nave ‘Falkor (too)’ stavano conducendo una spedizione di 35 giorni vicino alle Isole Sandwich Australi per censire nuove forme di vita marina. Il video ottenuto grazie al robot sottomarino rappresenta la prima testimonianza dell’esistenza in vita di questo animale (più grosso del celebre calamaro gigante), che fino a oggi era stato documentato solo attraverso esemplari morti o osservazioni indirette.

“È emozionante vedere il primo filmato in situ di un giovane esemplare di calamaro colossale: per cento anni li abbiamo incontrati principalmente come prede rimaste negli stomaci di balene e uccelli marini e come predatori di merluzzi catturati”, spiega la biologa marina Kat Bolstad dell’Università di Tecnologia di Auckland, una degli esperti indipendenti consultati dal team della spedizione scientifica per verificare il filmato. Una delle caratteristiche distintive del calamaro colossale è la presenza di uncini al centro delle sue otto braccia. I cuccioli hanno corpi trasparenti e uncini affilati all’estremità dei due tentacoli più lunghi, ma crescendo perdono il loro aspetto trasparente. Nel video si può notare l’iridescenza dei bulbi oculari che spiccano nel buio dell’oceano.

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