Alla Zhongnanhai, la roccaforte blindata della leadership comunista di Pechino, l’allerta è salita ai massimi livelli per il caos in Russia. Pechino è rimasta silente per tutto il giorno sulla sfida del gruppo militare privato Wagner di Evgeny Prigozhin al presidente Vladimir Putin, amico “senza limiti” di Xi Jinping: di commenti ufficiali non ce ne sono stati e non solo per la complicità della lunga festività del Dragon Boat. I leader cinesi – il cui incubo è l’instabilità interna – hanno finora osservato attentamente la Russia e le mosse contro l’Ucraina pensando all’isola ribelle di Taiwan, così come avevano fatto tesoro del crollo dell’Urss per evitare un collasso del sistema interno. Mentre i media statali hanno proseguito la narrativa filo-Mosca. E su Weibo, il Twitter in mandarino, la pioggia di commenti ha trasformato il caos russo in un trend virale: milioni di giudizi e di post, con la lettura prevalente che accusa gli Usa di manovrare Wagner contro Putin.
In piena notte, come “opinione personale”, Hu Xijing, ex direttore del tabloid nazionalista Global Times, ha aperto uno squarcio sulla cortina di silenzio ufficiale. “1. L’esito finale di Prigozhin sarà tragico. 2. La sua ribellione armata ha fatto superare il punto critico alla situazione politica russa. Indipendentemente dal suo esito, la Russia non può più tornare nel Paese che era prima della ribellione”, ha scritto Hu su Twitter. Putin, che aveva ordinato di reprimere l’ammutinamento di Wagner prima della retromarcia di Prigozhin paragonandolo alla rivoluzione del 1917 che distrusse l’Impero russo, ha avuto colloqui con alleati o partner di lunga data alla ricerca di sostegno. Ha parlato con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan che gli ha espresso “pieno sostegno” sulla situazione nel Paese, secondo il Cremlino.
Ha chiamato il bielorusso Alexander Lukashenko per informarlo sugli “eventi in Russia” (ha riferito la presidenza di Minsk, che si è poi intestata la mediazione riuscita con Prigozhin) e il presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev, che – per i media locali – avrebbe invece derubricato la sfida di Wagner a questione interna. Resta da capire se ci sia stata anche una telefonata di Putin a Xi. L’ultimo colloquio pubblico tra i due leader è quello di commiato strappato lo scorso marzo dalle telecamere, dopo la visita di Stato del leader cinese. “Sta arrivando un cambiamento che non è successo in 100 anni e stiamo guidando questo cambiamento insieme”, disse Xi, faccia a faccia con Putin prima di lasciare il Cremlino, rilanciando una formula basata sulla convinzione di un Occidente in declino, indebolito e allo sbando. “Sono d’accordo”, gli replicò l’interlocutore sorridendo e salutandolo. Putin avrà anche concordato su un’altra lezione del leader cinese: la convinzione di valutare il crollo dell’Unione Sovietica come un monito, causato principalmente dalla mancanza di “uomini veri” disposti a difendere il sistema sovietico, secondo i giudizi di Xi riportati dalla scrittrice cinese Gao Yu nel 2013, basati su un incontro riservato del Partito comunista.