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Economia

Il Pil accelera a +0,3%. Giorgetti: noi meglio di altri

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L’economia italiana cammina. Non ancora a passo svelto, ma con un movimento che c’è e si vede, tanto da sorpassare anche i principali partner economici europei. Nei primi tre mesi dell’anno, ancora immuni dall’effetto panico scatenato dai dazi a livello globale all’inizio di aprile, il Pil è cresciuto dello 0,3%. Un buon inizio, considerando gli abituali ritmi di crescita italiani. L’accelerazione del primo trimestre 2025 rispetto al +0,2% di fine 2024 ha permesso all’Italia di superare la crescita più modesta di Germania e Francia, rispettivamente +0,2% e +0,1%, e di piazzarsi appena sotto la media dell’Eurozona, che nello stesso periodo ha messo a segno un +0,4%.

La Spagna continua a registrare percentuali invidiabili (+0,6% trimestre su trimestre), ma aver scavalcato Berlino e Parigi non ha lasciato indifferenti gli esponenti del governo. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, è stato il primo a rivendicare il risultato, sottolineando “la crescita migliore rispetto ad altri paesi europei”, oltre che “la correttezza delle previsioni e l’efficacia delle politiche economiche del governo”. Il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, lo ha seguito a ruota evidenziando la crescita dei comparti produttivi, ovvero industria e agricoltura. La maggioranza ha poi fatto eco, parlando di dati incoraggianti e di successo del governo Meloni. Ma per l’opposizione la chiave di lettura è ribaltata: il M5S definisce la crescita “misera”, mentre il Pd torna a puntare il dito sui bassi salari.

A soffiare sul fuoco arrivano infatti i dati dell’Ocse sul cuneo fiscale: per i single senza figli ha raggiunto in Italia il 47,1% del costo del lavoro, confermandosi largamente sopra la media del 34,9%. Rispetto al 2023, il 2024 ha registrato un aumento di 1,61 punti, il più significativo tra i Paesi aderenti all’organizzazione. I salari italiani, al centro proprio in questi giorni dell’attenzione anche di Sergio Mattarella, devono peraltro fare i conti anche con un’inflazione che torna a farsi sentire. La prima fotografia dell’Istat sul mese di aprile vede infatti un rialzo dell’indice generale dall’1,9% al 2% e un ancora più marcato aumento del cosidetto carrello della spesa dal 2,1% al 2,6%, trascinato dai prezzi degli alimentari. Sul piano macro, l’inflazione potrebbe in realtà aiutare la riduzione del debito ma più di tutto, per tenere sotto controllo i conti, è la crescita che serve.

Grazie alla mini-spinta del 2024 e al risultato del primo trimestre, il Pil acquisito per il 2025 si attesta allo 0,4%, percentuale poco al di sotto il +0,6% delle previsioni del Documento di finanza pubblica presentato dall’esecutivo a metà aprile. Mantenendo la via ufficiale della prudenza, d’obbligo considerata l’incertezza geopolitica, commerciale e finanziaria a livello internazionale, Giorgetti ha aperto pochi giorni fa uno spiraglio di fiducia, non escludendo la possibilità di una revisione addirittura al rialzo delle stime. Ma le incognite restano, a partire dall’effetto dazi, che per ora risulta evidente solo sull’economia americana, e dalle spese per la difesa. Il governo italiano ha chiarito più volte che per il momento non intende attivare la clausola di salvaguardia Ue per aumentare la spesa in armamenti.

Ma la Bce già avverte sui potenziali rischi. Nei Paesi Ue ad alto debito, fra cui l’Italia, in caso di attivazione di una maggiore flessibilità, il calo del rapporto fra debito e Pil, previsto a partire dal 2027-2028 in base alle stime della Commissione europea, slitterebbe di quattro anni al 2031. Complessivamente, secondo la Banca centrale “la messa in pratica della nuova governance economica è circondata da significativa incertezza”, che rende “fondamentale” una piena realizzazione degli impegni presi nei Psb nazionali e in particolare “l’effettiva implementazione delle riforme e degli investimenti” previsti per rilanciare la crescita.

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Economia

Effetto Trump, bruciati in Borsa 6.500 miliardi in 100 giorni

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Nei primi cento giorni di presidenza Trump ci sono stati 70 giorni di scambi a singhiozzo sui mercati finanziari e 32 giorni di perdite, con oltre 6.500 miliardi di dollari cancellati dal valore delle società quotate. Lo scrive il New York Times, secondo cui per i mercati finanziari il calo del 7% dell’indice S&P 500 rappresenta il peggior inizio di mandato presidenziale da quando Gerald R. Ford subentrò a Richard M. Nixon nell’agosto del 1974, dopo lo scandalo Watergate. La crisi, sottolinea il quotidiano, è persino peggiore di quando scoppiò la bolla tecnologica all’inizio del secolo, e George W. Bush ereditò un mercato già in caduta libera. Al contrario, Trump ha ereditato un’economia solida e un mercato azionario in ascesa da un massimo storico all’altro. La situazione è cambiata rapidamente quando Trump ha annunciato i suoi dazi il 2 aprile, facendo esplodere la volatilita’ nei mercati finanziari.

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Economia

Oxfam, compensi ad cresciuti del 50% per lavoratori solo +0,8%

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A livello globale, negli ultimi 5 anni, la retribuzione mediana degli amministratori delegati d’impresa è cresciuta del 50%, in termini reali, passando da 2,9 milioni di dollari nel 2019 a 4,3 milioni nel 2024. Un aumento che supera di ben 56 volte la modesta crescita del salario medio reale (+0,9%), registrata nello stesso periodo nei Paesi per cui sono pubblicamente disponibili le informazioni sui compensi degli ad.

E’ quanto riporta un’analisi di Oxfam diffusa in occasione del Primo maggio. Nel dettaglio, tra i Paesi in cui il campione di imprese analizzate è sufficientemente ampio, emerge che: Irlanda e Germania vantano alcuni tra gli ad più pagati con una retribuzione annua mediana rispettivamente di 6,7 milioni e 4,7 milioni di dollari nel 2024; in Sudafrica il compenso annuo mediano degli AD era di 1,6 milioni di dollari nel 2024, mentre in India ha raggiunto i 2 milioni di dollari.

“Anno dopo anno assistiamo allo stesso spettacolo a dir poco grottesco: i compensi degli ad crescono vertiginosamente, mentre i salari dei lavoratori in molti Paesi restano fermi o salgono di pochi decimali”, spiega Mikhail Maslennikov, policy advisor su giustizia economica di Oxfam Italia. L’analisi di Oxfam si è concentrata inoltre sui divari salariali di genere a livello d’impresa. Esaminando 11.366 imprese di 82 Paesi, che pubblicano informazioni sul gender pay gap aziendale, si evince che il divario retributivo di genere a livello di impresa si sia, in media, ridotto tra il 2022 e il 2023, passando dal 27% al 22%. Ma tra le 45.501 imprese di 168 Paesi con un fatturato annuo superiore a 10 milioni di dollari e che riportano il genere del proprio ad, meno del 7% aveva una donna nella posizione apicale dell’organigramma aziendale.

Per quanto riguarda la dinamica dei salari reali in Italia, secondo Oxfam se, anziché ricorrere agli indici generali dell’inflazione, si facesse riferimento alla variazione dei prezzi del carrello della spesa (come approssimazione dei beni maggiormente consumati dai lavoratori con basse retribuzioni), il salario lordo nazionale registrerebbe, in media, una perdita cumulata di circa il 15% nel solo quadriennio 2019-2023 e la dinamica positiva del 2024 non rappresenterebbe che un placebo per i lavoratori con le retribuzioni più basse.

“Fino ad oggi, nell’azione del Governo è del tutto assente una chiara politica industriale, orientata alla creazione di posti di lavoro di qualità, che scommetta su innovazione, transizione verde e formazione, senza lasciare indietro nessuno. – conclude Maslennikov – Il Governo stenta a intervenire sul rafforzamento della contrattazione collettiva e sulla revisione del sistema di fissazione dei salari e ha affossato il salario minimo legale che rappresenta una tutela essenziale per i lavoratori più fragili”.

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Wsj, cda di Tesla cerca un nuovo ceo per sostituire Musk

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Il consiglio di amministrazione di Tesla ha iniziato a cercare un nuovo CEO per sostituire il fondatore Elon Musk. Lo riporta il Wall Street Journal. Secondo il quotidiano la decisione è stata presa dopo il crollo delle azioni e degli utili di Tesla. Alcuni investitori ritengono che Musk sia troppo impegnato con il suo lavoro di capo del Dipartimento per l’Efficienza Pubblica (DOGE), che pure sembra volgere al termine. Non è stato reso noto se Musk sia stato informato della decisione.

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