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Il Parlamento Ue condanna Orban, Lega-Fdi votano contro

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Da oggi e’ ufficiale. Un’istituzione europea, il Parlamento, non ritiene piu’ un suo Paese membro, l’Ungheria, “una democrazia”. E sarebbe gia’ grave cosi’. Invece il rapporto approvato a larga maggioranza dalla plenaria di Strasburgo – 433 voti a favore e 123 contrari – va oltre e bolla Budapest come una “minaccia sistemica” per i valori fondanti dell’Ue in virtu’ di quel “regime ibrido di autocrazia elettorale” costruito da Viktor Orban. Ogni ulteriore tentennamento, sostengono gli eurodeputati, sarebbe connivenza e dunque si esorta il Consiglio ad intervenire per evitare, da parte sua, possibili “violazioni del principio dello Stato di diritto”. Il rapporto ha suscitato lo sdegno (nonche’ il blocco compatto alle votazioni) di Budapest oltre che dei gruppi piu’ a destra dell’emiciclo: Identita’ e Democrazia (ID) e i Conservatori-Riformisti Europei (ECR). Dove militano i rappresentanti di Lega e Fratelli d’Italia. “Riteniamo che un prerequisito di questo rapporto dovrebbe essere l’obiettivita’, l’uso di criteri chiari e la stretta aderenza ai fatti, ma cio’ ancora una volta non e’ accaduto”, ha precisato una nota della delegazione di Fratelli d’Italia al Parlamento Europeo. “Si tratta – si legge ancora – dell’ennesimo attacco politico nei confronti del legittimo governo ungherese, in una fase difficile per l’Europa nella quale a tutti i livelli si dovrebbe perseguire la strada dell’unita’ e non quella della polarizzazione per motivi ideologici”. La querelle in realta’ arriva da lontano perche’ gia’ nel 2018 – dunque nella precedente legislatura – l’Eurocamera aveva approvato la richiesta di attivare il meccanismo di condizionalita’ (previsto dai trattati proprio per eventuali violazioni ai valori fondamentali dell’Ue, come democrazia e Stato di diritto). La relazione indicava 12 aree su cui tenere gli occhi aperti. Ebbene. In quattro anni non solo le cose non sono migliorate, sarebbero persino peggiorate. La Commissione ha aperto delle negoziazioni con Budapest ma, stando a quanto riferito in aula dal titolare della Giustizia, Didier Reynders, non vi sono “sviluppi positivi da segnalare”. Cosi’, a quanto si vocifera, l’esecutivo Ue sarebbe pronto a raccomandare “la sospensione fino al 70% dei 22,5 miliardi di euro di fondi di coesione stanziati per il periodo 2021-27” all’Ungheria. Bene ma non benissimo, per l’Eurocamera. “La mancanza di un’azione decisiva da parte dell’Ue”, recita il rapporto, ha infatti contribuito alla creazione del regime ibrido ungherese, ovvero “un sistema costituzionale in cui si svolgono le elezioni ma manca il rispetto di norme e standard democratici”. Praticamente una piccola Russia all’interno dei confini dell’Ue – e forse non a caso Budapest, spesso e volentieri, ostacola l’azione degli altri 26 Paesi membri contro Mosca. Una comunita’ d’intenti ritenuta da molti sospetta e che a volte colpisce pure i gruppi politici piu’ filorussi del Parlamento Europeo. Tanto per restare ad oggi, ID ed ECR hanno votato contro la proposta della Commissione sugli Statuti e i finanziamenti europei ai partiti (che punta a schermarli da influenze esterne). A onor di cronaca, la delegazione della Lega in questo caso si e’ astenuta mentre gli eurodeputati di Fdi presenti in aula si sono invece divisi: Sergio Berlato e Carlo Fidanza astenuti, Pietro Fiocchi e Raffaele Stancanelli favorevoli. E dunque? Gli eurodeputati ora chiedono che il Consiglio la pianti con la melina e attivi in toto l’articolo 7 dei trattati, che prevede la possibilita’ d’imporre sanzioni al Pese membro in deficit democratico sino alla “sospensione dei diritti di voto”. Procedura che, sottolineano, richiede solo “la maggioranza qualificata”. Intanto pare che il governo ungherese – che ha bollato come “un insulto” il voto di oggi – gia’ lunedi’ prossimo presentera’ un pacchetto di riforme considerate necessarie per convincere Bruxelles a non colpire duro e anzi approvare il suo Recovery, ancora parcheggiato nel limbo. “Misure cosmetiche” per avere “i soldi”, giurano in tanti a Strasburgo. Ora serve fare sul serio.

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Politica

Meloni, con morte di Ramelli tutti devono fare i conti

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I cinquant’anni dalla morte di Sergio Ramelli, militante del Fronte della gioventù ucciso a diciotto anni per una aggressione di Avanguardia operaia a Milano, sono l’occasione per invocare una memoria condivisa delle vittime degli anni di piombo. Memoria condivisa “nel tentativo di ricucire una ferita profonda che deve accomunare tutte le vittime innocenti dell’odio e della violenza politica” ha sottolineato la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio all’evento ‘Le idee hanno bisogno di coraggio’ a lui dedicato nell’auditorium di Regione Lombardia. La sua vicenda, la sua morte “tanto brutale quanto assurda” che “forse, proprio per questo, divenuta un simbolo per generazioni di militanti di destra di tutta Italia”, è “un pezzo di storia con cui tutti a destra e sinistra devono fare i conti” ha ammonito.

“Ancora oggi, a cinquant’anni dalla morte – ha aggiunto Meloni – c’è una minoranza rumorosa che crede che l’odio, la sopraffazione e la violenza siano strumenti legittimi attraverso cui affermare le proprie idee. Ai ragazzi che oggi hanno l’età in cui Sergio morì, che hanno spalancata davanti a sé la strada della propria vita, che vogliono dedicarla a ciò in cui credono, voglio dire: non fatevi ingannare da falsi profeti e da cattivi maestri”. Anche il presidente del Senato Ignazio La Russa ha parlato del bisogno di una memoria condivisa. E come aveva già fatto ha paragonato Ramelli a Fausto e Iaio, ovvero Fausto Pinelli e Lorenzo Iaio Iannucci, esponenti del centro sociale Leoncavallo uccisi nel 1978. “Sono tra i pochi per i quali ancora non è stata fatta giustizia, non è stato scoperto chi li ha uccisi” ha ricordato.

“Questa memoria condivisa di giovani che hanno perso la vita solo perché credevano in delle idee, non importa se di destra o di sinistra, sia un insegnamento che credo debba restare forte in questa fase storica in cui vedo riaffacciarsi nei fuocherelli che non mi piacciono”. Se la memoria si fa più condivisa, resta comunque uno strascico di polemiche. Sono 38 le città che a Ramelli hanno dedicato una strada, una via o comunque un luogo. Oggi è successo anche a Sesto San Giovanni, un tempo Stalingrado d’Italia, che a Ramelli e Enrico Pedenovi, consigliere provinciale dell’Msi ucciso l’anno dopo, ha dedicato uno slargo. Inaugurazione a cui ha fatto seguito una manifestazione a cui hanno preso parte fra gli altri Anpi, Sinistra Italiana e Pd con l’idea che “è doveroso ricordare ragazzi ammazzati innocenti” ma “non può essere la scusa per riscrivere la storia e riabilitare valori neofascisti”.

Una critica alle manifestazioni con il ‘presente’ e il saluto romano (domani è in programma il tradizionale corteo per Ramelli, Pedenovi e Carlo Borsani che si conclude proprio con il ‘presente’ davanti al murale di Ramelli) è arrivata dalla ministra del Turismo Daniela Santanchè: “non appartengono a Fratelli d’Italia, non è certo il nostro elemento distintivo, niente di tutto questo può essere riconducibile a noi” ha detto aggiungendo che “sbagliano e non aiutano a pacificare”. Domani la cerimonia ufficiale per Ramelli sarà comunque ai giardini a lui dedicati in un appuntamento a cui parteciperà come sempre il sindaco di Milano Giuseppe Sala. Non però, come vorrebbe La Russa, con la fascia tricolore.

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Mercoledì Consiglio dei ministri, si pensa a un decreto su post alluvione e Campi Flegrei

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Potrebbe approdare mercoledì in Consiglio dei ministri un decreto con ulteriori disposizioni urgenti per affrontare gli straordinari eventi alluvionali verificatisi nei territori di Emilia Romagna, Toscana e Marche, nonché gli effetti del fenomeno bradisismico nell’area dei Campi Flegrei. Il provvedimento, a quanto si apprende, è all’ordine del giorno della riunione tecnica preparatoria convocata per domani. Il governatore dell’Emilia Romagna, Michele de Pascale, in questi giorni ha scritto alla premier Giorgia Meloni, al ministro per la Protezione civile, Nello Musumeci, e al capo Dipartimento della Protezione civile, Fabio Ciciliano (nella foto in evidenza), per chiedere la proroga di un anno dello stato di emergenza nazionale, in scadenza il 4 maggio, per le ondate di maltempo di settembre e ottobre 2024.

In esame anche un disegno di legge in materia di tutela del personale scolastico, e l’esame preliminare di due schemi di decreto del presidente della Repubblica, uno con modifiche in materia di valutazione degli studenti del secondo ciclo di istruzione, e l’altro che modifica e integra lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria. All’ordine del giorno, poi, un altro disegno di legge proposto dal ministero dell’Istruzione, in materia di consenso informato. In esame preliminare, inoltre, un decreto legislativo sulle politiche in favore degli anziani, in attuazione della delega. All’ordine del giorno c’è anche un disegno di legge di ratifica dell’accordo sulle misure di solidarietà volte a garantire la sicurezza approvvigionamento di gas tra Germania, Svizzera e Italia, fatto a Berlino il 19 marzo 2024.

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San Giacomo Vercellese, nove liste per meno di trecento abitanti: un paradosso vergognoso

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San Giacomo Vercellese, minuscolo paese piemontese incastonato tra le risaie della provincia di Vercelli, finirà suo malgrado sotto i riflettori nazionali. Il motivo? Alle prossime elezioni del 25 e 26 maggio, si presenteranno addirittura nove liste per scegliere il nuovo sindaco, nonostante i residenti siano meno di trecento.

Un numero che sfida ogni logica democratica e che solleva più di una perplessità sulla serietà e sulla trasparenza del voto in piccoli centri come questo.

Dopo la scomparsa del sindaco Massimo Camandona, morto a febbraio e ricordato come un amministratore radicato nel territorio, si sarebbero potute immaginare elezioni sobrie, nel rispetto della comunità. Invece, alla fine della fase di presentazione delle liste, si sono contati candidati provenienti da Napoli, Roma, Siracusa e Salerno.

Solo due liste fanno riferimento ad esponenti locali, già attivi nell’attuale Consiglio comunale. Tutte le altre sette sono spuntate in extremis, registrate da persone senza alcun legame con il territorio.

La presenza di un numero così spropositato di liste in un comune minuscolo non è un segnale di vitalità democratica, ma l’ennesima prova di come meccanismi elettorali poco vigilati possano essere strumentalizzati.

Dietro queste candidature improvvisate spesso si celano interessi diversi: tentativi di ottenere visibilità, raccolta firme utile per future candidature, o peggio, accesso a rimborsi elettorali.

È un fenomeno che mortifica i cittadini di San Giacomo Vercellese, riducendo la politica a un teatrino grottesco e offendendo chi, invece, si batte quotidianamente per rappresentare davvero il proprio territorio.

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