Vladimir Putin ha celebrato la vittoria del filorusso Badra Gunba alle elezioni presidenziali dell’Abkhazia, un territorio che la Russia ha de facto annesso, strappandolo alla sovranità della Georgia. Con un messaggio ufficiale, il presidente russo ha parlato di “libera volontà popolare”, ignorando il carattere controverso di un’elezione avvenuta in un contesto di totale subordinazione a Mosca.
La consultazione, giunta al secondo turno dopo che nessun candidato aveva ottenuto la maggioranza al primo turno del 15 febbraio, è stata segnata da episodi di violenza: uomini a volto coperto hanno fatto irruzione in un seggio nel nord-ovest della regione, minacciando i funzionari elettorali. Un episodio che evidenzia l’instabilità e la fragilità di questo regime separatista, nato dalla guerra e sostenuto dall’imperialismo russo.
L’ombra di Mosca: un regime fantoccio
L’Abkhazia rappresenta un esempio concreto della politica espansionistica di Putin, che ha ripreso e modernizzato le pratiche dell’imperialismo sovietico. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, la Russia ha sostenuto militarmente i separatisti abkhazi, che negli anni ’90 hanno espulso decine di migliaia di georgiani dal territorio, portando a una crisi umanitaria senza precedenti.
Nel 2008, con la guerra russo-georgiana, Mosca ha riconosciuto unilateralmente l’indipendenza dell’Abkhazia, insediando un governo completamente dipendente dal Cremlino e sottraendo di fatto alla Georgia un pezzo del suo territorio sovrano.
La recente elezione di Gunba, salutata con entusiasmo da Putin, conferma il controllo totale che la Russia esercita sulla regione, con un governo fantoccio che risponde direttamente agli interessi di Mosca e non a quelli della popolazione locale.
La reazione della Georgia e l’uso della forza russa
Tbilisi ha immediatamente denunciato l’elezione come una palese violazione della propria sovranità nazionale, ribadendo che l’Abkhazia resta a tutti gli effetti un territorio georgiano occupato illegalmente.
La Russia, dal canto suo, continua a presentarsi come il garante della “sicurezza” della regione, tanto che il Comitato investigativo russo ha annunciato un’indagine sugli “attacchi ai cittadini russi” avvenuti durante il voto. Un pretesto che ricorda le strategie già viste in Ucraina e in altre aree di influenza russa: creare crisi controllate per giustificare un intervento sempre più radicato e legittimare la presenza militare sul territorio.
Un modello per altre regioni contese?
Il caso abkhazo si inserisce in un disegno più ampio di Putin, che mira a ricreare un’area di influenza post-sovietica sotto il dominio russo, imponendo governi fantoccio in territori strappati agli stati sovrani vicini.
Lo stesso copione è stato visto in Donetsk, Lugansk, Crimea e Transnistria, dove la Russia ha sfruttato conflitti locali per instaurare regimi filo-Mosca e consolidare la sua presenza militare.
La comunità internazionale, pur condannando formalmente queste violazioni, fatica a contrastare il disegno espansionistico del Cremlino. Intanto, la Georgia vede ridursi ulteriormente le proprie possibilità di riottenere il controllo sull’Abkhazia, mentre Mosca stringe sempre più la presa su un territorio che considera ormai parte del proprio dominio imperiale.