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Corona Virus

Il distanziamento sociale può rallentare, ma non fermare i progetti dei curatori d’arte

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Vernissage, debutto, apertura, prima è sempre molto interessante partecipare ad una inaugurazione di una mostra d’arte, sia essa classica o moderna, fotografica o performativa, museale o in galleria, collettiva o personale di artista affermato o giovane esordiente. Partecipare ad una inaugurazione è uno di quei riti sacri dell’arte, anche mondani ai quali ci si prepara indagando nella vita dell’artista, ricercando nelle sue opere e nei progettii che si/ci riserva per il futuro. Sempre di fianco al nome dell’artista troviamo quello del curatore, figura fondamentale nella ideazione, progettazione e costruzione della mostra. Il backstage che si muove intorno alle esposizioni e allo sfavillio delle inaugurazioni è sicuramente opera di queste figure professionali che dal primo momento in cui si decide di “mostrarsi” ha ben chiaro il percorso che il progetto dovrà affrontare, dalla stesura dei testi di presentazione delle opere e dell’artista alla cura maniacale dei dettagli che insieme formeranno la personale o la collettiva. Nel frattempo il curatore deve coordinare, coordinarsi e interagire con  il lavoro di tutti gli addetti alla esposizione e se possono sembrarvi pochi o semplici da organizzare, vi elenco alcune professionalità che operano nel backstage di una esposizione: accompagnatori delle opere, esperti restauratori e periti per certificare la condizione delle opere, architetti progettisti allestimento, muratori, imbianchini, trasportatori, montatori, allestitori, elettricisti,  addetti alla sicurezza, guardiania, grafici, stampatori, comunicatori e uffici stampa, hostess e stuard per l’accompagnamento dei visitatori, dirigenti museali e galleristi e ovviamente con gli artisti, instaurando con loro un rapporto simbiotico che scarichi di tutti gli affanni l’autore per trasferirli appunto al curatore. Direte voi, in una situazione di quarantena come quella che stiamo vivendo, i curatori stanno riprendendo un po’ di fiato rilassandosi. Sul divano, ma ovviamente non è cosi, tre fra i più noti professionisti napoletani, ci parleranno dei pensieri che attraversano le loro quarantene, dei progetti e delle incognite che accompagneranno i vernissage alla riapertura delle stagioni dell’arte.

Maria Savarese

Questo tempo lo sto vivendo come una “sospensione attiva”, in cui provo a riappropriarmi del mio corpo in relazione ad uno spazio che è quello della mia casa, vivendola in un modo nuovo, più consapevole, più lento. In una recente intervista, Umberto Galimberti ha dichiarato che questa sospensione ci ha trovato del tutto impreparati, anche perché, paradossalmente, viviamo in un’epoca in cui l’individualismo, il narcisismo, l’egoismo altro non sono che forme di solitudine e dove la socializzazione si è ridotta ad una mera parvenza o sopravvivenza digitale. Ecco mi sembra uno spunto interessante su cui riflettere e provare a vivere questo stato di sospensione come un’opportunità per interiorizzare e guardare dentro se stessi, invertendo la rotta, quindi, da un esterno in cui distrarsi, ad un interno in cui scavare in profondità. Questo vale anche al livello collettivo e rispetto al mio lavoro, che subirà, un inevitabile ripensamento del vivere i luoghi della cultura e del rapporto fra corpi e spazi pubblici, la cui prima funzione è proprio quella dell’accogliere. In questo periodo il mondo dell’arte, del teatro, della contemporaneità culturale in generale si è aperto a modalità alternative di fruizione, sfruttando le possibilità offerte dagli strumenti digitali: contenuti audiovisivi di ogni genere sono condivisi quotidianamente sui siti web e sui canali social delle strutture museali italiane e non solo, con il giusto obiettivo di preservare il prezioso legame del pubblico con il patrimonio culturale nazionale. Ora, in questa fase intermedia che ci traghetterà piano piano verso il ritorno alle precedenti modalità di interazione fra pubblico ed offerte culturali, la prima cosa con cui dovremmo fare i conti è il distanziamento sociale, utilizzando probabilmente ancora le tecnologie digitali o i social media, ma tenendo sempre presente, e citando ancora una volta Galimberti che “per come ha funzionato fino a ora, Internet ha anche isolato i nostri corpi. Il problema, da qui in poi, è di continuare ad avere una relazione sociale secondo natura, in cui un uomo incontra un uomo, e non l’immagine di un uomo in uno schermo”, cosa che vale ancora di più per tutte le forme espressive della cultura.

Antonio Maiorino Marrazzo

Appena la procedura di Stato ha depositato l’atto promulgando il lungo periodo della schiuma dei giorni, nell’attesa che il topo domestico con i baffi neri decidesse di suicidarsi offrendosi ai canini del gatto, mi è subito balenata in mente (è proprio il caso) la proposizione eraclitea: il fulmine governa ogni cosa. Nessuna sospensione, nessuna corda m’appende al soffitto, il cuore ancora batte e il latte è pur sempre tiepido. Però quel fulmine, dirompente e stranamente immobile per settimane, rischiara d’improvviso ogni cosa sebbene m’attendo che presto ritorneremo nell’oscurità. Questo è un momento di svelamento a cui seguirà il nascondimento, come scrive Gadamer, “unità e dualità che s’infiammano nel fulmine”. E coloro che ancora possiedono un senso di gratitudine dovrebbero rendere merito alla natura di tale inaudita illuminazione. C’era tanto buio e ora tutto è così netto, limpido, proprio come quella luce che ossessiona i fotografi. Ancora più grati saranno quei cuori d’artista dove staziona la cosa dell’arte. Ora tutti elaboriamo domande che avevano già le loro risposte ma delle quali non ci avvedevamo, ciechi come talpe, ostinati come criceti nella ruota o, se più v’aggrada, come rane bollite. Ritorneremo ad essere quel che fummo? Come ci occuperemo di curare la cosa d’arte? Cosa produrranno quei santi creatori che ci occupano l’esistenza fino a consumarcela? Le risposte erano già lì, nell’oscurità che finalmente la potente saetta ha rischiarato. Non è affatto consigliabile ritornare ad essere quel che fummo, è una manna questa imposta distanza che sarà anche indice di differenza. Ci ritroviamo, finalmente, davanti a sentieri interrotti. Butteremo – almeno io lo farò –  alle ortiche quel finto irreprensibile contegno espositivo. Ci sarà modo di disfarsi delle fisime del protagonismo e del presenzialismo. Potremo finalmente solo occuparci di costruire recuperando il sacro e dismettendo il profano. Se saremo capaci di ricordare questa luce e essa non sarà vanificata dal fumoso edonismo abbiamo speranza. Non dovremo dunque più cedere e concedere tempo e spazio alla ‘collocazione’ delle cose d’arte. Heidegger ci viene in aiuto: ‘L’esposizione vera e propria è erigere nel senso dell’offrire in voto e del celebrare. Offrire in voto significa consacrare, nel senso che nell’esposizione dell’opera viene aperto il sacro in quanto sacro e viene invocato il Dio nell’aperto suo esser-presente. Essere opera significa esporre un Mondo.’ Quel che ora appare un sentiero chiuso è invece una possibilità d’esplorazione, un confine che necessita di essere travalicato con tutti i mezzi della conoscenza che disponiamo, nessuno escluso. Con la possibilità di smarrirsi ma pur sempre avanzando. Sarà forse anche ora di smetterla di mendicare, di credere fino in fondo al proprio ruolo di motore che porta un frammento di verità, sarà ora di cominciare nuovamente e seriamente a studiare.

Valentina Rippa

E’ come se un sipario fosse calato sul palcoscenico delle nostre vite febbrili e avesse interrotto improvvisamente lo show; noi spettatori attoniti, inizialmente un po’ fatalisti siamo rimasti in attesa di ripartire a breve, ma, a distanza di circa due mesi, permane l’incertezza sul nostro futuro e non ci resta che vivere questa dimensione come un’opportunità per valorizzare il nostro tempo, le nostre priorità, il nostro sentire. Non so dire se ne usciremo migliori o peggiori, spero almeno più consapevoli e solidali. Smarrimento, tristezza, forza, commozione, calma, propositi, dubbi, amore, gratitudine sono gli stati d’animo che abitano il mio quotidiano. Provo ad essere fiduciosa nel domani a concentrarmi sugli aspetti positivi, sul silenzio assordante che riempie le città e che da più spazio alle idee, mi dedico a cose semplici, alle mie passioni, ad Andrea, mio figlio che sprigiona le sue risorse migliori nei momenti più inaspettati. Abbiamo superato momenti difficili, certamente diversi da questo che viviamo, ma ce la faremo è il nostro mantra. Non mi sento sola. Condivido con cari amici\artisti le mie sensazioni e mi accorgo di quanto le nostre vite siano simili, ci sentiamo vicini e uniti. Anche le emozioni e le passioni sono “pandemiche” si diffondono senza limiti e confini. A Napoli, Londra, Roma, New York, Parigi, Los Angeles, Torino, Milano, Berlino si respira la stessa aria, lo stesso silenzio. Da qui è nata un’idea in punta di piedi, senza clamore, un gioco che consiste nel comporre un collage di immagini, versi, disegni sull’idea del silenzio che scandisce le nostre quarantene in giro per il mondo; una pagina instagram che fermi un ricordo poetico di questo momento. #silentglobalgame. Restano sospesi due progetti artistici a cui ho lavorato, a cui tengo moltissimo e spero di concretizzarli appena possibile, in luoghi fisici o metafisici, proverò ad inventarmi qualcosa, focalizzando la mia attenzione sulle utopie piuttosto che sullo spazio. Per finire… c’ è un film che ho rivisto di recente che esplora con ironia, leggerezza e profondità, il paradosso del mondo dell’arte contemporanea: “L’artista” di Mariano Cohn e Gaston Duprat. Lo consiglio agli addetti ai lavori, ne viene fuori un mondo astratto, inafferrabile, indefinibile, divertente…mi ha fatto un po’ sorridere.

Amo immensamente l’arte ma in questo momento non ho voglia di fare programmi, sono semplicemente in ascolto e l’unica urgenza che ho è abbracciare molte persone.

le foto della gallery sono di Mario Laporta/KONTROLAB e sono riprese di alcune importanti mostre del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, del Museo MADRE di Napoli, del Museo PAN, del Museo del Parco Archeologico di Paestum, del Museo della Castiglia di Saluzzo, del Museo di Palazzo Zevallos-Stigliano, del Palazzo Reale di Napoli e delle gallerie Mediterranea e Casa Madre

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Fotogiornalista da 35 anni, collabora con i maggiori quotidiani e periodici italiani. Ha raccontato con le immagini la caduta del muro di Berlino, Albania, Nicaragua, Palestina, Iraq, Libano, Israele, Afghanistan e Kosovo e tutti i maggiori eventi sul suolo nazionale lavorando per agenzie prestigiose come la Reuters e l’ Agence France Presse, Fondatore nel 1991 della agenzia Controluce, oggi è socio fondatore di KONTROLAB Service, una delle piu’ accreditate associazioni fotografi professionisti del panorama editoriale nazionale e internazionale, attiva in tutto il Sud Italia e presente sulla piattaforma GETTY IMAGES. Docente a contratto presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli., ha corsi anche presso la Scuola di Giornalismo dell’ Università Suor Orsola Benincasa e presso l’Istituto ILAS di Napoli. Attualmente oltre alle curatele di mostre fotografiche e l’organizzazione di convegni sulla fotografia è attivo nelle riprese fotografiche inerenti i backstage di importanti mostre d’arte tra le quali gli “Ospiti illustri” di Gallerie d’Italia/Palazzo Zevallos, Leonardo, Picasso, Antonello da Messina, Robert Mapplethorpe “Coreografia per una mostra” al Museo Madre di Napoli, Diario Persiano e Evidence, documentate per l’Istituto Garuzzo per le Arti Visive, rispettivamente alla Castiglia di Saluzzo e Castel Sant’Elmo a Napoli. Cura le rubriche Galleria e Pixel del quotidiano on-line Juorno.it E’ stato tra i vincitori del Nikon Photo Contest International. Ha pubblicato su tutti i maggiori quotidiani e magazines del mondo, ha all’attivo diverse pubblicazioni editoriali collettive e due libri personali, “Chetor Asti? “, dove racconta il desiderio di normalità delle popolazioni afghane in balia delle guerre e “IMMAGINI RITUALI. Penitenza e Passioni: scorci del sud Italia” che esplora le tradizioni della settimana Santa, primo volume di una ricerca sui riti tradizionali dell’Italia meridionale e insulare.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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