Nel mirino di Varsavia e dei Baltici, oltre che del più numeroso gruppo all’Europarlamento, il Ppe. Il discorso di Emmanuel Macron sulla necessaria equidistanza tra Stati Uniti e Cina continua a generare polemiche nelle cancellerie del Vecchio continente e, almeno per ora, ha sortito l’effetto che forse l’Eliseo avrebbe meno auspicato: dividere l’Europa. Il rischio, in realtà, era dietro l’angolo perché le parole del presidente francese hanno aperto un vaso di Pandora che, sinora, solo la guerra in Ucraina aveva tenuto ermeticamente chiuso. Ma se sul sostegno a Kiev nessuno ha dubbi nell’Ue, il campo delle relazioni con Pechino resta altamente sensibile e vede intrecciarsi interessi economici, strategie geopolitiche e posizionamenti storicamente consolidati. Gli ultimi a salire sul carro degli anti-Macron sono stati Manfred Weber e Mateusz Morawiecki.
Il primo, presidente e capogruppo dei Popolari, ha chiesto ed ottenuto che alla Plenaria dell’Eurocamera si tenga un dibattito dal titolo ‘La necessità di una strategia coerente per le relazioni Ue-Cina’. Avrà luogo martedì e potrebbe vedere in Aula la presenza di Ursula von der Leyen e Charles Michel. “Le dichiarazioni di Macron hanno diviso l’Occidente e rafforzato i nostri concorrenti autocratici. È stata una falsa partenza”, ha sottolineato Weber. Ancora più nette le parole del premier polacco. Da Washington, dove è in visita ufficiale, Morawiecki non solo ha riproposto Varsavia nel ruolo di fedele alleato di Gran Bretagna e Usa ma, parlando di Macron, ha sentenziato: “Sulla Cina l’Europa è miope”.
“Invece di costruire un’autonomia strategica dagli Stati Uniti, propongo un partenariato strategico con gli Stati Uniti”, è stata la linea tracciata da Morawiecki. In Germania le parole di Macron avevano già prodotto più di una perplessità. Certo, prima del presidente francese e dello spagnolo Pedro Sanchez, in Cina – lo scorso novembre – c’è stato Olaf Scholz. E i legami commerciali tra Berlino e Pechino sono solidi e molteplici. Ma ciò non ha impedito al ministro della Difesa teutonico, Boris Pistorius, di definire “infelice” l’uscita di Macron sulla possibilità che l’Ue diventi un vassallo degli Usa. “Sulla Cina e su Taiwan l’Europa ha una posizione comune”, ha provato a conciliare la ministra degli Esteri Annalena Baerbock, da oggi in missione proprio in Cina. Il punto è che se sul dossier taiwanese Macron ha corretto il tiro rispetto ad una posizione considerata eccessivamente filo-cinese, sulla necessità di una maggiore autonomia strategica europea il numero uno dell’Eliseo non farà passi indietro.
Trovando probabilmente al suo fianco i Paesi del Benelux, la Spagna e il Portogallo ma non certo il fronte nord-orientale dell’Ue, fermamente convinto – come ribadito dalla Lettonia – che i legami euroatlantici vadano anzi “rafforzati”. La tempesta difficilmente si placherà. Il dossier cinese potrebbe anche finire sul tavolo del vertice dei 27 di fine giugno e si va delineando, per la presidente della commissione Ue Ursula von der Leyen, come un vero e proprio grattacapo. La sua strategia sul ‘de-risking’ rispetto alla Cina, con il piano messo in campo per ridurre la dipendenza di Bruxelles dal Dragone in settori come le materie critiche, è stata travolta dal caso Macron. Un caso sul quale, finora, il governo italiano guidato da Giorgia Meloni non si è ancora espresso.