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Haiti nel caos per le manifestazioni contro il presidente Jovenel Moise, la polizia spara: due morti e decine di feriti

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Decine di migliaia di persone sono scese in piazza oggi in varie citta’ di Haiti per protestare contro il carovita e la corruzione, e chiedere le dimissioni del presidente Jovenel Moise, in manifestazioni che hanno avuto un bilancio provvisorio di due morti e decine di feriti. Lo riferisce il quotidiano Le National. Nella sua pagina online il giornale ha ricordato che ieri era il secondo anniversario dell’insediamento al potere di Moise e il 33/o del ritorno alla democrazia dopo la fine della dittatura della famiglia Duvalier. Il clima politico e sociale e’ estremamente turbolento, al punto che il 5 febbraio il Consiglio dei ministri, di fronte alle crescenti proteste della popolazione che non riesce piu’ ad affrontare il rincaro dei beni di prima necessita’ ha decretato l’emergenza economica su tutto il territorio nazionale, introducendo contemporaneamente misure di austerita’ anche per i ministeri haitiani. Dimostranti e polizia si sono scontrati a Port au Prince e nelle altre principali citta’ del Paese, erigendo anche numerose barricate con tronchi d’albero e pneumatici incendiati, in incidenti che hanno causato la morte di due giovani a Mirebalais e nella capitale. Come gia’ in passato, anche questa volta gli slogan della piazza erano tutti contro il presidente Moise, considerato incapace e debole di fronte alla gravita’ della crisi.

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Maduro: con le elezioni ci riprendiamo l’Essequibo

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ìIn vista del voto di domenica per la scelta di parlamentari e governatori, il presidente Nicolás Maduro ha affermato che il Venezuela “si riprenderà l’Essequibo”, grazie all’elezione di un governatore e 8 parlamentari per la regione ricca di petrolio, che fa parte del territorio del vicino Stato della Guyana, e che Caracas rivendica nell’ambito di una disputa secolare. In un infuocato discorso Maduro ha affermato che il presidente della Guyana Irfaan Ali e il suo governo sono “schiavi della Exxon Mobil”, a cui attribuisce la politica estera del Paese. “La nostra volontà di recuperare i diritti storici, territoriali e della Guyana Essequiba è incrollabile”, ha affermato il capo di Stato durante il comizio elettorale trasmesso dai media ufficiali. Nel frattempo, il presidente della Guyana ha ribadito che non cederà “nemmeno un centimetro” del suo territorio a Caracas.

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Omicidio a Madrid: ucciso Andriy Portnov, ex consigliere di Yanukovich. Un delitto da guerra segreta

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Sembra la scena d’apertura di un film di spionaggio, ma è tutto reale. Andriy Portnov, avvocato ed ex politico ucraino, figura centrale nella stagione presidenziale di Viktor Yanukovich, è stato ucciso a colpi di pistola ieri mattina a Pozuelo de Alarcon, ricco sobborgo alle porte di Madrid. Un’esecuzione in piena regola, avvenuta davanti alla scuola americana, dove Portnov aveva appena accompagnato i figli.

Secondo le prime ricostruzioni, un killer lo attendeva nascosto, spalleggiato da un complice. Almeno cinque colpi d’arma da fuoco, tre dei quali lo hanno raggiunto, incluso uno mortale alla testa. I due sicari sono poi fuggiti. Sul posto sono giunti rapidamente polizia e servizi di emergenza, ma per Portnov non c’è stato nulla da fare.

Un personaggio scomodo, tra Kiev e Mosca

Nato a Lugansk, in passato vicino anche a Yulia Tymoshenko, Portnov era stato una figura controversa nella politica ucraina. Dopo il 2010 fu uno dei più influenti collaboratori di Yanukovich, diventando sostenitore delle “leggi dittatoriali” che tentarono di reprimere il movimento di Euromaidan nel 2014. Era considerato vicino alle forze speciali Berkut, responsabili della repressione violenta delle proteste.

Dopo la fuga di Yanukovich, Portnov lasciò l’Ucraina, rientrando solo nel 2019 per poi fuggire di nuovo nel 2022, dopo l’invasione russa. È stato iscritto nelle liste nere dell’Unione Europea e degli Stati Uniti per uso improprio di fondi pubblici e presunte manovre sul sistema giudiziario ucraino. Per i filorussi era un “paladino”, per molti ucraini un collaborazionista fuggitivo.

Secondo Radio Svoboda, la sua famiglia possedeva immobili in Russia insieme a persone vicine al ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. Intrecci che gettano ulteriori ombre sul movente dell’omicidio.

Una lunga scia di sangue in Spagna

L’omicidio di Portnov non è un caso isolato. La Spagna, dove la presenza di cittadini russi e ucraini è significativa, è diventata negli ultimi anni terreno d’azione di operazioni sospette.

Nel 2022, sei lettere bomba furono inviate a obiettivi istituzionali e ambasciate, inclusa quella ucraina. Poco dopo, un funzionario spagnolo simpatizzante della Russia venne arrestato. Nello stesso anno, un uomo d’affari legato alla Novatek fu trovato morto con la moglie e la figlia, in circostanze mai del tutto chiarite.

Ancora più clamorosa la vicenda del pilota russo disertore, fuggito con il suo elicottero in Ucraina e poi ucciso a colpi di pistola in un parcheggio ad Alicante. Un’azione che ha portato molti a parlare di vendetta dei servizi segreti russi.

Un delitto da guerra invisibile

L’assassinio di Portnov porta tutte le caratteristiche di un omicidio mirato, inserito nel quadro della “guerra segreta” tra Mosca e Kiev. Un conflitto parallelo che non conosce confini e che viene combattuto anche a migliaia di chilometri dal fronte, a colpi di dossier, esecuzioni e vendette trasversali.

La polizia spagnola e i servizi di intelligence sono ora al lavoro per capire chi ha armato la mano del killer e quali siano gli interessi nascosti dietro questo omicidio che, ancora una volta, trasforma l’Europa occidentale in teatro silenzioso di una guerra senza volto.

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Russia e Ucraina: storia (immutabile) di una trattativa impossibile

Dalla “operazione militare speciale” alla proposta di pace del 2024, le richieste russe restano sempre le stesse: denazificazione, demilitarizzazione e… tutto il resto.

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Russia e Ucraina: storia (immutabile) di una trattativa impossibile

Dalla “operazione militare speciale” alla proposta di pace del 2024, le richieste russe restano sempre le stesse: denazificazione, demilitarizzazione e… tutto il resto

Non è cambiato quasi nulla, se non i dettagli sul calendario. Le richieste della Russia all’Ucraina, sin dalle prime ore dell’invasione del 24 febbraio 2022, sono sempre rimaste le stesse: una Ucraina neutrale, disarmata, denazificata e, se possibile, amputata. Un copione rigido, monolitico, dove ogni nuova dichiarazione del Cremlino non è che una variazione sul tema, con qualche concessione retorica per tenere viva l’illusione della trattativa.

Come già ammoniva Andrej Gromyko, storico ministro degli Esteri sovietico, l’arte della diplomazia consiste nel “convincere l’interlocutore che è inutile opporsi, tanto prima o poi dovrà cedere”. Ed è esattamente questa la postura assunta da Vladimir Putin, che fin dal suo primo discorso alla nazione parlò di “difendere il popolo sottoposto a genocidio”, giurando che l’occupazione non era nei piani. Come tutti hanno poi scoperto, i piani erano ben altri.

Lo scopo: cambiare regime, non solo confini

L’obiettivo iniziale era semplice: far fuggire Zelensky e insediare un governo amico a Kiev, stile Bielorussia. L’operazione non riuscì, e da quel momento la Russia si trincerò dietro un mix narrativo di antinazismo, autodifesa preventiva e tutela delle minoranze russofone.

Ma già nell’aprile 2022, con il tavolo negoziale di Istanbul ancora formalmente aperto, il ministero della Difesa russoparlava di “controllo totale sul Donbass e sul sud dell’Ucraina per creare un corridoio verso la Crimea”. A dicembre, Putin parlava apertamente di “unificare il popolo russo”. Più che una trattativa, una lista della spesa territoriale.

14 giugno 2024: una proposta per (non) trattare

Nel 2024, a più di due anni dall’invasione, e con la guerra ancora in corso, Putin rilancia. Durante un discorso programmatico al ministero degli Esteri, il presidente russo presenta una nuova proposta di pace, che in realtà è sempre la stessa:
– Statuto neutrale dell’Ucraina
– Demilitarizzazione
– Denazificazione
– Riconoscimento delle “nuove realtà territoriali” (Crimea, Donetsk, Lugansk, Kherson, Zaporizhzhia)
– Garanzie per i russofoni
– E, già che ci siamo, abolizione completa delle sanzioni occidentali

Altro che cessate il fuoco: una resa totale camuffata da dialogo. Per Kiev (e l’Occidente) inaccettabile. Ma per Mosca, evidentemente, un punto di partenza irrinunciabile.

L’inedito che conferma tutto

L’unica novità emersa negli ultimi mesi è un documento inedito, ottenuto da RadioFreeEurope, relativo al terzo round di colloqui del marzo 2022 in Bielorussia. Un testo di 6 pagine con allegati: disarmo quasi totale dell’Ucraina, esercito ridotto a 50 mila effettivi, niente più aiuti occidentali, nessuna rivendicazione su Crimea e Donbass.

Mancano solo Kherson e Zaporizhzhia. Ma solo perché non erano ancora state occupate.

In sintesi: la trattativa c’è, ma è sempre finta

A distanza di due anni e mezzo dall’inizio della guerra, la linea russa non si è mai spostata. Al massimo, si è irrigidita.
La “proposta di pace” è semplicemente il prolungamento della guerra con altri mezzi: un ultimatum ben confezionato. E, come sempre, il prezzo da pagare lo deve mettere l’Ucraina.

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