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Ha un nome il soldato ucraino ucciso nel video shock

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Si chiamava Tymofiy Mykolayovych Shadura, aveva 40 anni e aveva combattuto a Bakhmut. Ha un nome e un cognome il soldato ucraino ucciso a sangue freddo dalle forze armate russe nel video shock diventato virale in queste ore. La notizia sulla sua identità è stata diffusa in un primo momento dalla giornalista Sofia Kochmar-Tymoshenko, che ha citato la sorella della vittima, senza però farne il nome. Sono sicura “al 100%, questo è mio fratello: sono i suoi occhi, la sua voce e il modo in cui fumava una sigaretta”, avrebbe detto alla reporter che ha collaborato con Bbc e Deutsche Welle. Qualche ora dopo la conferma è arrivata anche dai commilitoni del battaglione della 30esima Brigata separata meccanizzata. Ci sono rabbia e dolore nelle parole dei soldati che hanno combattuto fianco a fianco con Tymofiy: “Il comando della trentesima brigata e i fratelli dell’eroe esprimono sincere condoglianze alla sua famiglia e ai suoi cari. La vendetta sarà inevitabile”.

I militari affermano che il compagno era dispero dal 3 febbraio dopo aver preso parte ai combattimenti nei pressi di Bakhmut, dove si sta svolgendo una delle battaglie più cruenti della guerra tra Ucraina e Russia. I soldati della Brigata aggiungono che il corpo del soldato si trova ancora “nel territorio temporaneamente occupato” e che “la conferma (sulla sua identità ndr) sarà effettuata dopo il rientro della salma e dopo gli esami pertinenti”. Sull’accaduto bisognerà fare chiarezza, ma le immagini diffuse lasciano scioccati per la violenza della dinamica. Un tiro di sigaretta, poi le ultime parole prima di essere crivellato da una raffica di colpi: ‘Slava Ukraini’, gloria all’Ucraina.

La scena è filmata dai soldati russi che compiono l’orribile gesto, l’ennesimo di una guerra che di umano mantiene ben poco. “Muori, puttana”, gli hanno urlato i militari di Mosca prima di sparare. Sui social i commenti sdegnati per l’accaduto si moltiplicano: per gli ucraini Shadura è un eroe. Anche il presidente Volodymyr Zelesnky si stringe attorno a un simbolo del coraggio della resistenza di Kiev: “L’Ucraina non dimenticherà mai l’impresa di tutti coloro che hanno dato la vita per la libertà del nostro Paese”. Ma non c’è solo il cordoglio per quanto accaduto. Adesso gli ucraini vogliono giustizia. Per trovare i responsabili, il dipartimento investigativo del servizio di sicurezza di Kiev ha aperto un’indagine ai sensi della normativa ucraina contro la “violazione delle leggi e dei costumi di guerra”.

La notizia arriva direttamente dal procuratore generale Andriy Kostin che pochi giorni fa aveva invocato la Corte penale internazionale per giudicare i presunti crimini di guerra dei russi. Ieri, su Facebook, Kostin ha ribadito il concetto: “Anche la guerra ha leggi. Ci sono norme di diritto internazionale sistematicamente trascurate dal regime criminale russo. Prima o poi il delitto sarà punito. Tutti i soggetti coinvolti saranno ritenuti responsabili nei confronti della legge”.

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Venezuela, liberato l’italiano Oreste Alfredo Schiavo: era detenuto da quattro anni per presunto golpe

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È tornato finalmente libero Oreste Alfredo Schiavo, imprenditore italo-venezuelano di 67 anni, condannato in Venezuela a 30 anni di carcere con l’accusa di tradimento, finanziamento del terrorismo e associazione a delinquere. Una vicenda che si trascinava dal giugno 2020 e che ha trovato un esito positivo nelle scorse ore, grazie alla mediazione riservata della Comunità di Sant’Egidio, con il supporto della Farnesina e dei rappresentanti diplomatici italiani in loco.

Arrestato per l’operazione “Gedeone”

Schiavo era stato arrestato dagli agenti del Sebin, il servizio di intelligence venezuelano, l’8 giugno 2020. Il suo nome era stato collegato all’operazione “Gedeone”, un presunto tentativo di colpo di Stato ai danni del presidente Nicolás Maduro, che avrebbe previsto lo sbarco di mercenari sulle coste del Paese per prendere in ostaggio funzionari del governo. Insieme a Schiavo furono fermate circa 90 persone. In primo grado, nel maggio 2024, Schiavo era stato condannato a 30 anni di carcere, nonostante le sue gravi condizioni di salute.

L’intervento di Sant’Egidio e il viaggio verso Roma

La svolta è arrivata nella giornata di ieri, grazie a un’operazione diplomatica silenziosa, portata avanti dal docente e dirigente di Sant’Egidio Gianni La Bella, dai funzionari dell’ambasciata e del consolato d’Italia, e con il determinante contributo di Rafael La Cava, ex ambasciatore venezuelano a Roma e attuale governatore dello Stato di Carabobo.
Schiavo è stato scarcerato dal penitenziario di El Helicoide, noto per la presenza di prigionieri politici e denunciato da organizzazioni per i diritti umani per le sue condizioni carcerarie, e successivamente condotto in una clinica per accertamenti sanitari.

“Liberato per motivi umanitari”

In serata, il rilascio si è trasformato in un rimpatrio in Italia, con un volo di linea diretto a Fiumicino partito alle 17 (ora locale). Sant’Egidio ha voluto ringraziare pubblicamente il presidente Maduro, specificando che il rilascio è stato concesso “per ragioni umanitarie, con un atto di liberalità personale”.

Un gesto che apre nuove possibilità

La liberazione di Schiavo potrebbe rappresentare il primo spiraglio per sbloccare anche altre detenzioni italiane in Venezuela, come quella del cooperante Alberto Trentini, arrestato nel 2024, e di due italo-venezuelani: Juan Carlos Marrufo Capozzi, ex militare arrestato nel 2019, e Hugo Marino, investigatore aeronautico che aveva indagato su due misteriosi incidenti aerei accaduti attorno all’arcipelago di Los Roques, nei quali morirono, tra gli altri, Vittorio Missonie sua moglie.

Il carcere e le denunce di tortura

Nel carcere di El Helicoide, dove era rinchiuso Schiavo, numerosi attivisti per i diritti umani hanno documentato casi di maltrattamenti e detenzioni arbitrarie. Anche l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani si era occupato del suo caso, definito emblematico per le gravi violazioni del diritto alla difesa e per l’assenza di prove concrete nel processo.

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Media Houthi, 2 morti e 42 feriti nell’attacco israeliano

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E’ di almeno due morti e 42 feriti l’ultimo bilancio dell’attacco israeliano lanciato oggi alla fabbrica Ajal nella provincia di Hodeida, nello Yemen. Lo riporta il canale al Masirah, affiliato agli Houthi, citato da Ynet e dall’agenzia russa Tass. E’ la prima reazione di ISraele all’attacco degli Houthi all’aeroporto Ben Gurion dei giorni scorsi.

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Perù, coprifuoco a Pataz dopo la strage dei 13 minatori rapiti

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La presidente del Perù, Dina Boluarte, ha dichiarato il coprifuoco nella distretto di Pataz, nella regione settentrionale di La Libertad dopo che ieri la polizia ha ritrovato in un tunnel i corpi dei 13 lavoratori rapiti il 26 aprile scorso da minatori di oro illegali. Lo rendono noto i principali media peruviani.

Oltre al coprifuoco a Pataz, dalle 18 di sera alle 6 del mattino, Boluarte ha annunciato anche la sospensione dell’attività mineraria per 30 giorni in tutta la provincia oltre ad accogliere la richiesta delle autorità locali di aprire una base militare a Pataz, vista l’assenza della Polizia peruviana nella regione. La decisione segue di poche ore la diffusione di un video sui social media, registrato dai sequestratori, in cui si mostra come ciascuno dei minatori sia stato giustiziato a bruciapelo. Le 13 vittime erano lavoratori assunti dall’azienda R&R, di proprietà di un minatore artigianale che svolge attività di sicurezza per la miniera Poderosa, una delle principali compagnie aurifere della provincia, sempre più sovente bersaglio di attacchi da parte di minatori illegali e gruppi criminali. (

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