Fra il 13 e il 16 luglio 2020, senza comunicazioni preventive e senza apparenti motivi, Facebook oscura le pagine di Juorno e i profili e le pagine collegati. Le pagine in questione torneranno visibili il 16 luglio, tutte meno una: Juorno Live Interview, il programma di approfondimento di Juorno che durante la pandemia aveva ospitato in diretta streaming importanti esponenti del mondo della scienza, della cultura e della politica, fra cui lo scienziato Antonio Giordano, il professor Paolo Ascierto e il sindaco di Napoli Luigi de Magistris, il magistrato Catello Maresa e tanti altri ancora. A farsi carico della vicenda è l’avvocato casertano Giovanni Mastroianni, esperto in diritto amministrativo, telecomunicazioni e trasporti, nonché editorialista del nostro giornale. Abbiamo raggiunto al telefono l’avvocato Mastroianni, che ci ha aiutato a ricostruire la vicenda. L’intervista è anche un’occasione per affrontare i temi più urgenti del comparto giustizia, emersi in tutta la loro virulenza con lo scoppio della pandemia Covid-19.
Avvocato, ci spiega come si è mosso dal punto di vista legale per chiedere la riattivazione della pagina Facebook “Juorno Live Interview”?
Il 24 luglio depositiamo presso il Tribunale di Ischia un ricorso con cui chiediamo al giudice un intervento d’urgenza ex articolo 700 c.p.c., per ottenere la riattivazione della pagina e avere spiegazioni sulle motivazioni del blocco. Il giudice però non emette alcun provvedimento cautelare per far riattivare la pagina nell’immediato, e solo il 16 ottobre, dopo circa tre mesi, con un’ordinanza fissa per il 23 dicembre la comparizione delle parti, ossia Facebook Ireland Limited e Facebook Italia s.r.l., che riteniamo essere una vera e propria succursale di Facebook Ireland Limited.
A quel punto che cosa succede?
A inizio novembre notifichiamo il decreto di fissazione dell’udienza a mezzo pec alla sede italiana di Facebook. A questo punto, clamorosamente, ritorna online la pagina di Juorno Live Interview, senza che venga fornita alcuna spiegazione sui motivi del blocco e della successiva riattivazione. Vogliamo comprendere che cosa ha scaturito questo atteggiamento gravemente lesivo dell’espressione personale, dal momento che non era stato violato nessuno standard del social network. I colossi del web si comportano in modo anomalo, adottando atteggiamenti arroganti che non sono concessi a nessun’altra società o istituzione italiana e comunitaria.
Come si spiega questo episodio?
Nel caso di specie, avendo dato spazio su questa testata a figure integerrime dell’antimafia e dell’anticamorra, non escludo che, attraverso semplici segnalazioni, qualche utente in malafede abbia tentato di mettere il bavaglio ad un giornale libero che fa informazione in modo serio. Così si premia chi vive e agisce contro lo spirito democratico, che dovrebbe animare pure il social network di Zuckerberg. Chiaramente la mia è solo una supposizione, ma non vedo altre ipotesi plausibili. Ci batteremo affinché questo episodio possa spingere il legislatore italiano ad adottare procedure e codici di condotta in grado di garantire la trasparenza di tutti gli utenti.
Mark Zuckerberg. Il patron di Facebook
Come difendersi dall’arbitrarietà del social network di Zuckerberg, che sempre più spesso cancella profili e pagine senza motivi validi e senza fornire alcun tipo di spiegazione?
Serve un intervento dell’autorità garante ma soprattuto del legislatore, che inizi a chiedere conto di questi atteggiamenti arbitrari. L’utente rischia di vedersi oscurato il profilo e negata la vita sociale online senza un motivo plausibile. Chiunque oggi può segnalare qualcun altro perché magari colpevole di aver detto verità scomode ma giuste; sono ancora pochi invece i controlli nei confronti di hater e autori di fake news.
Veniamo alla difficoltà emerse nel settore giustizia in questa fase di crisi sanitaria. Quali sono le principali problematiche che come avvocato si trova ad affrontare?
Tra le più gravi, figura senza dubbio l’impossibilità di accedere in sicurezza ai tribunali; siamo spesso ammassati gli uni sugli altri. La risposta al problema non può essere però solo il ricorso al processo telematico, che, soprattutto in ambito penale, dove la presenza fisica delle parti è un elemento imprescindibile, rappresenta una soluzione alquanto inadeguata. Il Covid ha messo in mostra mancanze gravi, ma non è che prima della pandemia la situazione fosse migliore. Udienze lunghissime, locali angusti, persino tribunali costruiti senza prevedere aree di parcheggio.
Crede che serva una riforma della giustizia?
Sì, ma non l’ennesima riforma di concetto. Se si vuole davvero cambiare la situazione, bisogna metterci i soldi. Progettare strutture funzionali e in grado di garantire il normale svolgimento dei processi, potenziare il numero dei cancellieri e i mezzi a loro disposizione, incrementare il numero dei magistrati.
Le inefficienze del sistema si ripercuotono sui cittadini che si rivolgono ai tribunali per ottenere giustizia. È d’accordo?
Assolutamente sì, la giustizia non è alla portata di tutti, per via dei costi elevati e dei tempi biblici. Una volta, chi vantava un diritto si rivolgeva alla persona che lo aveva leso e lo intimoriva dicendogli: “ti faccio causa”. Oggi, invece, quando una persona lede il diritto di un’altra persona, si rivolge a questa dicendogli: “Se non ti sta bene, fammi causa”, sicuro di restare impunito. È paradossale, la giustizia spesso favorisce chi è convenuto in giudizio. Chi viola la legge, anche in modo sistematico, è tutelato dai tempi lunghi e da mille garanzie, talvolta aberranti e sproporzionate. Vincere una causa dopo dieci anni equivale quasi a perderla. Intanto le società falliscono, si trasformano, scompaiono; hanno il tempo per disfarsi dei beni acquisiti illecitamente. Fai un pignoramento dopo aver vinto la causa e il reo non ha più niente di intestato e ti ride pure dietro.
Tribunale di Ischia. Dovrebbe essere un luogo in cui si amministra la giustizia
Oltre al danno la beffa…
I nostri assistiti sono beffati due volte: da chi si è approfittato di loro e dalla giustizia, incapace di produrre risultati in tempi ragionevoli. Pensi che l’Italia, per ovviare al problema, ha varato la Legge Pinto, un procedimento che consente di ottenere un risarcimento qualora la causa si protragga oltre un certo numero di anni. Ebbene, oggi c’è un contenzioso perché anche i ricorsi fatti per ottenere quel risarcimento si sono arenati. E i cittadini sono stati beffati per la terza volta. Così si entra in un circolo vizioso da cui non si esce più. Se non fosse un dramma, ci sarebbe da ridere.
Come siamo arrivati a questo punto?
Il sistema giustizia è stato saccheggiato da una classe politica che, forse in modo cosciente, lo ha reso così farraginoso e vulnerabile anche per sottrarsi al giudizio dei magistrati, questa è una delle possibili chiavi di lettura. Se pure non si vuole aderire a questa visione “complottistica”, è innegabile che la giustizia, al pari della sanità, è stata male amministrata per troppo tempo. Il sistema è diventato obsoleto e necessita di una svolta. Arriva il Coronavirus e porta definitivamente a galla tutte queste inefficienze causate dalla cattiva politica. Il Covid ci ha svegliato, oggi non si può più fare finta di niente. Se neanche adesso riusciamo a migliorarci, vuol dire che ci stiamo condannando alla morte della giustizia.
Il principale, grande nodo che i cardinali che si riuniranno nella Sistina dovranno sciogliere nell’individuare la figura del nuovo Pontefice sarà su chi potrà raccogliere la grande eredità di papa Francesco. I tanti cantieri aperti lasciati dal Pontefice scomparso, i “processi avviati” come li chiamava lui, sono altrettanti capitoli di cui scrivere un futuro e su cui, se possibile, non fermarsi, né tanto meno tornare indietro. Quando dodici anni fa si dimise Benedetto XVI, la Chiesa attraversava una grave crisi, provata dagli scandali come il primo Vatileaks, le ondate di rivelazioni sugli abusi sessuali – peraltro favorite proprio da Ratzinger, il primo a promuovere la ‘tolleranza zero’ -, e la stessa rinuncia del Papa per l’età avanzata e le difficoltà nel fare fronte alle resistenze interne, che avevano fatto fortemente ondeggiare la ‘barca di Pietro’.
E il mandato dei cardinali a chi sarebbe diventato il nuovo Papa era stato di rifondare la Chiesa su una nuova base di rinascita cristiana e di rilanciata missione evangelizzatrice. Proprio quello che ha perseguito, non senza pesanti ostacoli, Jorge Mario Bergoglio in questi dodici anni di pontificato, con le riforme in primo luogo finanziarie, poi della Curia con l’inedito mandato ‘di governo’ anche ai laici e alle donne, sulla protezione dei minori, e col proprio atteggiamento personale di radicalità cristiana, di vicinanza ai più poveri, ai migranti, agli ‘scartati’, di indefessa abnegazione in favore della pace, della fratellanza umana e del dialogo con le altre religioni. Un insieme di spinte in avanti che rimettono in primo piano molti dei propositi ancora inattuati del Concilio Vaticano II, finora gravati da contrarietà e passività all’interno della Chiesa.
Senza contare l’ultimo grande cantiere aperto da Francesco, quello della Chiesa ‘sinodale’, su cui a parte i due Sinodi già svolti il Papa defunto ha indetto un ulteriore triennio per l’attuazione, con una grande e finale “assemblea ecclesiale” già programmata per l’ottobre del 2028. Un’eredità, quindi, in buona parte già scritta quella che dovrà raccogliere il prossimo, e 266/o, successore di Pietro. Che dovrà riprendere in mano tutte le riforme e portarle avanti secondo le proprie sensibilità e priorità. Oltre che con la necessaria autorevolezza e capacità di governo, qualità indispensabili per il pastore universale di un organismo della complessità e vastità della Chiesa cattolica.
Questo, insomma, sarà l’identikit del nuovo Papa, almeno per chi pensa che sulla rivoluzione imposta da Bergoglio in tanti settori ecclesiali “non si può tornare indietro”. E, a parte gli elenchi dei papabili e i possibili fronti contrapposti, nelle congregazioni generali pre-Conclave, come accadde proprio nel 2013 con la successiva elezione di Francesco, avrà la meglio chi nei propri interventi riuscirà a trasmettere carisma e a catalizzare maggiormente i convincimenti dei confratelli. Non mancherà certo l’assalto dei restauratori, di chi nel Collegio cardinalizio vorrebbe riportare indietro l’orologio della storia e fare piazza pulita di molte delle innovazioni di Francesco, in particolare in campi come la pastorale della famiglia (c’è chi non nasconde di non aver ancora digerito la comunione ai divorziati risposati) o peggio ancora le benedizioni alle coppie gay, o anche i rapporti con le altre religioni, oppure certe fughe in avanti tuttora mal sopportate.
Il fatto che ben 108 dei 135 cardinali elettori, cioè l’80 per cento, siano stati nominati da Francesco non garantisce sul risultato finale: si tratta di un gruppo molto composito, tra cui molti non si conoscono fra loro, e che comprende anche fieri oppositori della linea di Bergoglio. Un nome per tutti, l’ex prefetto per la Dottrina della fede, Gerhard Ludwig Mueller, fiero oppositore della linea bergogliana. L’esito del Conclave è dunque molto incerto. E a parte i favoriti elencati finora dai media, è possibile che alla fine prevalga un nome del tutto a sorpresa.
Revocata la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini, conferita invece a Giacomo Matteotti, il politico socialista ucciso dai fascisti il 10 giugno 1924. Alla vigilia del 25 aprile, il Comune di San Clemente, in provincia di Rimini, ha preso queste due decisioni simboliche, approvate all’unanimità dal consiglio comunale nel tardo pomeriggio. Anche Ozzano dell’Emilia, in provincia di Bologna, proprio ieri ha revocato la cittadinanza al duce. E così hanno chiesto di fare i gruppi consiliari di centrosinistra ad Isernia, dove era stata concessa a Mussolini il 20 maggio 1924. “Revocare la cittadinanza onoraria a Mussolini significa prendersi la responsabilità di giudicare con determinazione e piena maturità un passato costellato da atrocità, economia inesistente, azzeramento, in modo scientifico, quasi chirurgico, del pensiero critico”, ha detto la sindaca di San Clemente, Mirna Cecchini, nel suo discorso.
“In un’epoca in cui il coraggio delle proprie azioni e l’intransigenza verso le bestialità sembrano venir meno, l’esempio di Matteotti è pronto a ricordarci che la democrazia e la libertà non sono beni scontati e facilmente ottenibili. Bensì l’epilogo di faticose conquiste personali e collettive, la spina dorsale dei popoli capaci di rialzare la testa; traguardi che richiedono responsabilità, vigilanza continua e partecipazione convinta”, ha aggiunto, motivando il conferimento della cittadinanza post mortem. A Ozzano la cittadinanza a Mussolini fu concessa il 18 maggio 1924, “in un periodo e contesto storico totalmente diverso da quello attuale, quando tantissimi Comuni furono in un certo senso sollecitati a rendergli omaggio attraverso un atto simbolico e politico – ha spiegato il sindaco, Luca Lelli – A chiederne la revoca è stata l’Anpi locale e come Amministrazione non abbiamo esitato a rispondere all’appello, e a procedere con il ritiro attraverso un atto del Consiglio comunale. La revoca è avvenuta a ridosso del 25 aprile perché abbiamo voluto dare anche un segnale forte, puntando l’attenzione sull’impegno che da sempre abbiamo nel promuovere una società basata sui valori di democrazia e libertà”.
A Isernia il capogruppo del Pd, Stefano Di Lollo, ha spiegato che “la cittadinanza onoraria, attribuita all’epoca come atto di adesione ideologica al regime fascista nascente, è oggi ritenuta incompatibile con i valori della Costituzione repubblicana e con il sentimento democratico che deve appartenere a uno Stato civile. Benito Mussolini è stato il principale responsabile dell’instaurazione della dittatura fascista, delle persecuzioni razziali e politiche, e dell’alleanza con il nazismo, che ha condotto l’Italia in una delle fasi più oscure della sua storia. Restituire alla storia il suo giusto significato è fondamentale per costruire un presente consapevole e un futuro libero”.
Il cardinale Angelo Becciu conferma di ritenere che lo si debba ammettere al Conclave. Il porporato sardo, ex sostituto della Segreteria di Stato ed ex prefetto per le Cause dei santi – che in una drammatica udienza del 24 settembre 2020 papa Francesco privò della carica in Curia e dei diritti del cardinalato -, afferma in una conversazione con la Reuters che il suo ruolo è cambiato da quella sera di oltre quattro anni e mezzo fa, quando il Pontefice lo degradò perché si sentiva tradito nella sua fiducia. Oltre a confermare quanto già dichiarato all’Unione Sarda – che le sue prerogative sono “intatte, che non c’è stata “alcuna esplicita volontà” di escluderlo dal Conclave e che non gli è mai stato chiesto di rinunciare al privilegio per iscritto -, Becciu aggiunge che papa Bergoglio sarebbe stato vicino a prendere una decisione sul suo status.
Dice infatti di aver incontrato il Pontefice a gennaio, prima del ricovero al Gemelli a febbraio, e cita le sue parole: “Penso di aver trovato una soluzione”, gli avrebbe detto Francesco. Becciu dichiara inoltre di non sapere se il Papa gli abbia lasciato istruzioni scritte su questo aspetto. “Saranno i miei confratelli cardinali a decidere”, conclude in attesa della discussione nelle congregazioni pre-Conclave del Sacro Collegio, già iniziate e a cui lui stesso è invitato.
La questione-Becciu, che rischia di condizionare gravemente il prossimo Conclave e anche il dopo, si complica quindi sempre di più. Tra l’altro nel prossimo autunno – prima udienza il 22 settembre – si aprirà il processo d’appello sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato e la compravendita del Palazzo di Londra, per le quali Becciu ha sempre proclamato la sua innocenza ma è stato in primo grado condannato a cinque anni e sei mesi di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per i reati di peculato e truffa aggravata ai danni della Santa Sede. Intanto, spuntano due lettere scritte dal Papa che sancirebbero l’esclusione di Becciu dal voto per il nuovo Pontefice. Ne scrive il quotidiano Domani riportando che il cardinale Pietro Parolin, già segretario di Stato, avrebbe mostrato ieri sera a Becciu due lettere dattiloscritte e siglate dal Pontefice con la F che lo escluderebbero dall’ingresso in Sistina: una del 2023 e l’altra dello scorso mese di marzo, quando Francesco affrontava l’ultima, gravissima malattia.
Il porporato sardo avrebbe preso atto, ma al momento non risulta abbia rinunciato al suo proposito. Sempre secondo ricostruzioni su Domani dell’ex direttore dell’Osservatore Romano Giovanni Maria Vian, il cardinale decano Giovanni Battista Re, che domani celebrerà i funerali di Francesco, avrebbe detto a Becciu di essere favorevole al suo ingresso in Conclave, non avendo disposizioni contrarie scritte dal Pontefice scomparso. Nel riferire ciò al cardinale camerlengo Kevin Joseph Farrell, però, quest’ultimo avrebbe comunicato a Re la volontà di papa Bergoglio, espressagli tempo fa soltanto a voce, che Becciu fosse tenuto fuori. Da indiscrezioni che trapelano dalle prime congregazioni generali, poi, per sbrogliare il caso-Becciu che sta diventando un vero e proprio ‘giallo’, potrebbe essere costituita una commissione, composta da cinque cardinali tra cui lo stesso porporato sardo.
Questa, secondo il Fatto Quotidiano, la proposta avanzata dal cardinale Claudio Gugerotti, già prefetto per le Cause orientali e considerato molto vicino al card. Parolin. Gugerotti, dal canto suo, avrebbe espresso un parere contrario all’ingresso di Becciu in Sistina. Lo stesso avrebbe fatto un altro fedelissimo di Bergoglio, il cardinale elemosiniere Konrad Krajewski. Su tutta la questione non ci sono commenti da fonte ufficiale. Alle domande dei giornalisti il portavoce vaticano Matteo Bruni continua a ripetere che “per ora parliamo dei funerali del Papa. Del Conclave si parlerà poi”.