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Politica

Giorgetti, il governo studia la riforma del canone Rai

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La riforma del canone Rai, sganciandolo in prospettiva dalla bolletta elettrica e mettendo a punto nuovi meccanismi di riscossione che consentano anche di diminuirne l’importo. È l’obiettivo del governo che ha allo studio “una pluralità di ipotesi”: scorporare dal pagamento una quota relativa agli investimenti sostenuti dall’azienda, che potrebbero essere posti “a carico della fiscalità generale” e, nel medio periodo, agganciare l’imposta alle utenze telefoniche mobili, a tutti gli effetti nuovi strumenti di fruizione dei contenuti tv. A fare il punto è il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ascoltato in commissione di Vigilanza. Centrale – ricorda Giorgetti – è il nuovo contratto di servizio 2023-2028, sul quale la Vigilanza è chiamata a esprimere il parere, e che tiene in particolare considerazione “la sostenibilità economica, l’efficienza aziendale e la razionalizzazione della spesa”.

E poi il piano industriale, con le sfide strategiche che attendono l’azienda, “la trasformazione in una moderna Digital Media Company; la conquista e la fidelizzazione del pubblico giovane; la promozione dei valori culturali e civili”. Obiettivi che richiedono certezza di risorse. Voce fondamentale degli introiti del servizio pubblico sono appunto le risorse da canone che, in base al consuntivo 2022 e nell’assestamento 2023, “ammontano complessivamente a circa 1,85 miliardi”, sottolinea il ministro, e “sono destinate pressoché integralmente alla Rai, ad eccezione di una quota di 110 milioni annui assegnata al Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione”. Accanto a queste i ricavi da pubblicità, che dall’analisi del budget 2023 “hanno mostrato una leggera flessione, da 640 a 622 milioni di euro”. Il canone in bolletta “è stato il modo più semplice per incassare”, spiega Giorgetti.

“Ma ci sono tanti modi per finanziare il servizio pubblico”, anche guardando all’esperienza di altri Paesi. Di qui l’istituzione di un tavolo tecnico al Mef. “In un’ottica di breve periodo, l’ipotesi potrebbe essere scorporare dal pagamento del canone una quota relativa agli investimenti sostenuti dalla Rai”, tra cui quelli “volti a ottimizzare la capacità trasmissiva e il livello di copertura delle reti Rai”: si tratta di “circa 300 milioni che verrebbero posti a carico della fiscalità generale, riducendo così il canone annuo”. “Nel medio periodo”, invece, va aperta una riflessione sulle nuove modalità di fruizione che, “come dimostra RaiPlay, consentono di vedere i contenuti Rai usando vari device. Qualora il presupposto diventasse il possesso di un’utenza telefonica mobile, si avrebbe un aumento della platea e quindi una riduzione del costo pro capite del canone.

Oggi sono 21 milioni i cittadini che lo pagano, mentre le utenze telefoniche attiva sono 107 milioni”, sottolinea. Questo meccanismo comporterebbe però “problemi di applicazione, relativi al calcolo di utenze per nucleo familiare: andrebbe individuato un tetto massimo – avverte il ministro – per evitare il pagamento di una somma più elevata”. Con un occhio attento all’indebitamento della Rai, che dal 2021 al 2022 “è aumentato da 500 a 550 milioni”, Giorgetti insiste anche sull’uso delle risorse e sul peso delle esternalizzazioni: “Se uno guarda la voce costi esterni, non dico che c’è da rimanere perplessi, ma certo è un’area dove si possono conseguire più facilmente razionalizzazioni”, avverte. Qualunque sia l’ipotesi di riforma del canone scelta dall’esecutivo, “devono essere garantite sempre e comunque risorse adeguate”, per rendere il servizio pubblico “competitivo rispetto alla concorrenza” e soprattutto “capace di affrontare le sfide del prossimo futuro”, sottolinea la presidente della Vigilanza, Barbara Floridia. Dai Cinque Stelle le fa eco Dolores Bevilacqua, che legge nelle parole del ministro “una pietra tombale sulle reiterate esternazioni di Salvini in merito all’inutilità del canone e del ‘dovere’ di eliminarlo entro questa legislatura”. Plaude Fratelli d’Italia: “Il canone Rai non sparirà”, commenta Paolo Marcheschi, mentre Ester Mieli definisce “un nostro dovere difendere la Rai dalla concorrenza”. “Bene Giorgetti, ora far uscire il canone dalla bolletta”, chiosano i parlamentari della Lega in Vigilanza.

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Politica

Europee, nelle liste tanti soprannomi e troppi (20) giornalisti

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Non c’è solo “Giorgia”. Nelle liste per le europee i soprannomi o “detti” sono una valanga: si va da Letizia Maria Brichetto Arnaboldi, detta “Letizia Moratti” (FI) a Domenico Lucano detto “Mimmo” (Avs), da Alessandro Cecchi Paone detto “Cecchi” o “Pavone” (Stati Uniti d’Europa), a Sergio De Caprio detto “Capitano Ultimo” detto “Capitano” e “Ultimo” (Libertà), fino allo scrittore Nicolai Verjbitkii conosciuto come Nicolai Lilin e così segnato nelle liste Pace, Terra, Dignità. Nelle liste dei papabili per l’Europarlamento compaiono una ventina di giornalisti, in particolare nel centrosinistra. FdI oltre a Giorgia Meloni detta “Giorgia”, schiera anche Piergiacomo Sibiano detto “Piga” e Salvatore Deidda detto “Sasso”.

Forza Italia e Noi Moderati candidano, tra gli altri, Antonio Cenini detto “Cenno”, Francesca Salatiello detta “Fra” e – dulcis in fundo – Edmondo Tamajo, detto “Tamaio”, ma anche “Di Maio”, “Edy”, “Edi” o ancora “Eddy”. Talvolta i soprannomi privilegiano la brevità, come nel caso di Suad Omar Sheikh Esahaq, candidata da Avs e detta “Su”. Altre volte prevengono possibili errori di scrittura, come per Giuliana Fiertler, detta “Firtler”, sempre in lista con Alleanza Verdi Sinistra. Tra i candidati di Stati Uniti d’Europa, ci sono: la senatrice Raffaella Paita detta “Lella”, Muharem Saljihu detto “Marco”, Gerardo Stefanelli, detto “Stefano”, e Alessandrina Lonardo Mastella detta “Sandra Mastella” (la moglie di Clemente).

Azione di Carlo Calenda schiera, tra gli altri, Gianni Palazzolo detto “Giangiacomo”, il M5s Giusy Esposito che diventa “Giusi” e Daniela Gobbo che si trasforma in “Daniela Varedo”. Nel Pd la prima a segnarsi anche con un altro nome – quello con cui è conosciuta ai più – è la segretaria, Elena Ethel Schlein detta “Elly”. Oltre a lei, anche Brando Maria Benifei, “Brando” o “Bonifei”, Marco Pacciotti detto “Paciotti” o “Marco” e Giuseppina Picierno detta “Pina”. La Lega presenta Susanna Ceccardi detta “Susanna” o “Susi” e Claudio Borghi detto “Borghi Aquilini”.

Gran parte dei giornalisti che competono per l’Europarlamento sta nelle liste del centrosinistra. In Pace, Terra, Dignità, oltre al promotore Michele Santoro, compare il vignettista Vauro Senesi detto “Vauro”, Raniero La Valle, che negli anni Sessanta fu direttore dell’Avvenire d’Italia e Fiammetta Cucurnia (ex Repubblica). Il Pd schiera la nota giornalista Lucia Annunziata, l’ex direttore di Avvenire Marco Tarquinio, Sandro Ruotolo, Donatella Alfonso, Teresa Bartoli e Lidia Tilotta. Nelle liste Stati Uniti d’Europa compaiono: Eric Jozsef, corrispondente di Libération, Alessandro Cecchi Paone e Marco Taradash. Con Avs ci sono diversi freelance, con Azione di Carlo Calenda la giornalista ucraina Nataliya Kudryk. Il M5s presenta Gaetano Pedullà, che per la corsa a Bruxelles ha lasciato la direzione de La Notizia.

Tra i candidati di Forza Italia-Noi Moderati, compare la freelance Laura D’Incalci, in quelle della Lega il giornalista campano Luigi Barone. Anche in Fratelli d’Italia alcuni candidati hanno avuto esperienze giornalistiche, ma mai come attività primaria. Sfogliando le liste ci si imbatte anche in strane omonimie e cognomi illustri. Il primo è il caso Roberto Mancini, che non è l’ex allenatore della nazionale ma un candidato di Pace, Terra, Dignità. Il secondo è quello di Giovanna Giolitti, pronipote dello statista Giovanni Giolitti, che corre con FdI. Il partito di Meloni presenta anche Vincenzo Sofo, europarlamentare passato dalla Lega a Fratelli d’Italia e sposato con Marion Maréchal, nipote di Marine Le Pen.

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Politica

‘Vannacci non eleggibile?’ Parlamentari interpellano gli uffici

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Alcuni parlamentari avvieranno una richiesta di chiarimenti agli uffici circoscrizionali elettorali del Centro Italia per la possibile ineleggibilità del generale Roberto Vannacci. A non consentire al generale di prendere parte alle elezioni sarebbe l’articolo 1485 del codice dell’ordinamento militare, previsto con decreto legislativo 66 del 2010 (che rimanda direttamente all’articolo 7 del decreto del presidente della Repubblica del 30 marzo 1957 n. 361) che – per gli ufficiali generali – sancisce l’ineleggibilità riguardo a coloro che abbiano esercitato le loro funzioni nella circoscrizione in cui sono candidati.

La legge riguarda l’elezione al Parlamento nazionale o alle amministrative e regionali, mentre sul Parlamento europeo la normativa sarebbe priva di disciplina. Vannacci, che lo scorso dicembre aveva ottenuto un nuovo incarico a capo di Stato maggiore del comando delle forze operative terrestri e comando operativo esercito, al momento è sospeso dal servizio a causa di un’inchiesta disciplinare conclusasi a febbraio, ma secondo l’ordinamento mantiene comunque le sue funzioni: per questo motivo potrebbe non essere candidabile, come sottolineato dall’avvocato Massimiliano Strampelli a Repubblica.

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Fini condannato a 2 anni e 8 mesi per casa a Montecarlo

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featured, Stupro di gruppo, 6 anni ,calciatore, Portanova

Una operazione immobiliare dai contorni opachi e dietro la quale, secondo il tribunale di Roma, si nascondeva una attività di riciclaggio di denaro. Dopo sette anni dalla richiesta di rinvio a giudizio arriva la sentenza di primo grado per la vicenda legata all’acquisto di un appartamento a Montecarlo, al numero 14 di Boulevard Princesse Charlotte. I giudici della quarta sezione collegiale, dopo circa due ore di camera di consiglio, hanno condannato a 2 anni e 8 mesi di reclusione l’ex presidente della Camera, Gianfranco Fini, a 5 anni la sua compagna Elisabetta Tulliani. Il tribunale ha inoltre inflitto 6 anni a Giancarlo Tulliani, 5 anni al padre Sergio e 8 anni a Rudolf Theodor Baetsen. Il tribunale ha sostanzialmente recepito l’impianto accusatorio della Procura di Roma che ai cinque muove l’accusa riciclaggio.

A Fini, che era presente in aula, i magistrati contestano “la condotta relativa all’autorizzazione alla vendita dell’appartamento” escludendo l’aggravante e riconoscendogli le attenuanti generiche. “Non ho autorizzato la vendita dell’abitazione di Montecarlo ad una società riconducibile a Giancarlo Tulliani. Quando ho dato l’ok non sapevo chi fosse l’acquirente” ha commentando l’ex presidente della Camera lasciando la cittadella giudiziaria della Capitale che ha poi aggiunto: “me ne vado più sereno di quello che si può pensare dopo 7 anni di processo. Ricordo a me stesso che per analoga vicenda una denuncia a mio carico fu archiviata dalla procura di Roma. Dopo tanto parlare, dopo tante polemiche, tante accuse, tanta denigrazione da un punto di vista politico sono responsabile di cosa? Di aver autorizzato la vendita. Non mi è ben chiaro in cosa consista il reato”. La difesa dell’ex parlamentare annuncia il ricorso in appello sostenendo che il tribunale ha riconosciuto nei suoi confronti una sorta di “concorso morale” nell’attività illecita.

L’accusa prevista dall’articolo 648 bis del codice penale era l’unica fattispecie contestata nel processo dopo che nell’udienza del 29 febbraio scorso i giudici avevano dichiarato prescritta l’associazione a delinquere, reato che coinvolgeva altri imputati ma non Fini. La prescrizione era legata alla esclusione dell’aggravante della transnazionalità. Nel corso del procedimento è intervenuta anche la compagna di Fini che nel corso di brevi dichiarazioni spontanee aveva di fatto scaricato le colpe sul fratello Giancarlo.

“Ho nascosto a Fini la volontà di mio fratello di comprare la casa di Montecarlo. Non ho mai detto a Fini la provenienza di quel denaro, che ero convinta fosse di mio fratello – ha affermato visibilmente commossa la donna nel corso dell’udienza del 18 marzo scorso-. Il comportamento spregiudicato di mio fratello rappresenta una delle più grandi delusioni della mia vita”. Inizialmente il processo vedeva imputate, come detto, anche altre ‘posizioni’, tra cui il ‘re delle Slot’ Francesco Corallo e il parlamentare Amedeo Laboccetta, per le quali è stata riconosciuta la prescrizione. Secondo l’iniziale impianto accusatorio dei pm della Dda capitolina gli appartenenti all’associazione a delinquere hanno messo in atto, evadendo le tasse, il riciclaggio di centinaia di milioni di euro. Quel fiume di denaro, una volta ripulito, è stato utilizzato da Corallo per attività economiche e finanziarie ma anche, è la convinzione degli inquirenti, in operazioni immobiliari che hanno coinvolto i membri della famiglia Tulliani.

Gli accertamenti della Procura hanno riguardato, quindi, anche l’appartamento di Boulevard Principesse Charlotte, finito poi nella disponibilità di Giancarlo Tulliani che attualmente vive a Dubai da latitante. L’appartamento monegasco, secondo quanto accertato, sarebbe stato acquistato da Tulliani junior grazie ai soldi di Corallo attraverso due societa’ (Printemps e Timara) costituite ad hoc. Il coinvolgimento di Fini nell’inchiesta è legato proprio al suo rapporto con Corallo. Un rapporto, per la procura, che sarebbe alla base del patrimonio dei Tulliani. Quest’ultimi per gli inquirenti avrebbero ricevuto su propri conti correnti ingenti somme di danaro riconducibili a Corallo e destinati alle operazioni economico-finanziarie dell’imprenditore in Italia, Olanda, Antille Olandesi e Principato di Monaco.

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