Alla festa di inaugurazione del Poseidon, nel 2012, aMontalenghe, nel Torinese, c’era anche Gennaro Gattuso, allenatore del Milan. E allora? E allora il locale è riconducibile a tale Pasquale Motta, 44 anni, imprenditore di Lorenzo del Vallo, arrestato con l’accusa di riciclaggio. È accusato di essere il regista attorno a cui ruota una delicata inchiesta della procura di Ivrea che ha già iscritto nel registro degli indagati 53 persone.
Il tecnico del Milan. Rino Gattuso invischiato in una inchiesta per riciclaggio
Secondo gli inquirenti Motta era il titolare di fatto di una miriade di società che utilizzava per ” lavare” denaro sporco e che intestava a prestanome. E Gattuso, secondo l’accusa, era un prestanome, nel senso che partecipava alle attività criminali del Motta “nella intestazioni fittizie di società”. E infatti nell’elenco degli indagati dalla procura di Ivreac’è anche il nome di Rino Gattuso,accusato di trasferimento fraudolento di valori.Il rapporto d’affari tra Motta – sospettato di avere conoscenze e contatti negli ambienti vicini alla ‘ndrangheta – e Gattuso inizia il primo gennaio 2011. Gattuso, che giocava ancora nel Milan, divenne proprietario del 35 per cento delle quote di una società di Gallarate, la Cascina Tre Olmi, specializzata in allevamenti suini, produzione di insaccati e una serie di attività satellite tra cui la gestione di ristoranti nel Canavese. Tra questi c’è anche il Poseidon. Insieme agli altri quattro soci della Cascina Tre Olmi avrebbe “favorito la commissione del reato di riciclaggio” che, secondo i magistrati piemontesi, era l’ attività principale delle società riconducibili a Motta.L’imprenditore e il calciatore si conoscono da anni, entrambi nati nella provincia di Cosenza e trapiantati nel Nord Italia. È evidente che l’avviso di garanzia non è una condanna bensì “un atto dovuto come ex socio della Cascina Tre Olmi” dice Gattuso. “L’indagine verte su un soggetto che solo indirettamente risulta essere collegato a quella società” , nella quale, si legge nella nota diramata dal tecnico del Milano “non ho mai ricoperto alcun ruolo operativo, possedendo esclusivamente una quota del capitale sociale”.
L’ indagine, che ruota intorno al nome di Pasquale Motta, è iniziata nel luglio 2012 dalla denuncia della titolare di una società che gestiva una casa di riposo a Favria, nel Canavese, estromessa dalla gestione in favore di una nuova srl, la Eurocoop,riconducibile a Motta.
Per quell’ operazione sono finiti nei guai anche l’allora sindaco e vicesindaco di Favria, Giorgio Cortese e Serafino Ferrino, alcuni assessori e tre sindacalisti di Cgil, Cisl e Uil, accusati di aver organizzato uno sciopero su misura per estromettere la vecchia società in favore di quella di Motta.
Molestie nei confronti di due 13enni: un uomo di 33 anni, di origine albanese, ha patteggiato oggi ad Ancona la pena di un anno e tre mesi di reclusione per violenza sessuale su minore. A febbraio dello scorso anno era stato arrestato dalla polizia ad Ancona, nel quartiere del Piano, in via Giordano Bruno. Avrebbe avvicinato, di sera, vicino alla stazione ferroviaria, due ragazzine italiane che tornavano a casa. Stando alle accuse prima avrebbe fatto loro dei complimenti poi sarebbe passato ad avance. Le due minorenni avrebbero iniziato a correre ma una delle due sarebbe stata molestata
. La 13enne era riuscita a liberarsi, ferendosi però ad un braccio. L’intervento del padre di una delle due giovanissime le aveva poi messe in salvo, quando erano arrivate quasi a casa. Nel tragitto dalla stazione alla propria abitazione le due minorenni avevano chiesto aiuto a gran voce richiamando l’attenzione del genitore che era sceso in strada. Dopo la segnalazione al 112, sul posto era arrivata una pattuglia della polizia che aveva arrestato il 33enne.
L’imputato, difeso dall’avvocato Angelandrea Cecere, respinge ogni accusa e sostiene di essere stato derubato dalla due ragazze. Secondo la sua ricostruzione, i fatti sarebbero andati del tutto diversamente: sarebbero state le giovani ad avvicinarsi e a chiedergli cinque euro per comprare le sigarette e poi gli avrebbero offerto di passare la notte con lui per 50 euro; il 33enne avrebbe tirato fuori 30 euro che le due giovani avrebbero preso per poi fuggire, inventandosi, secondo l’arrestato, le molestie e l’inseguimento. Al termine del procedimento l’uomo ha patteggiato la pena di un anno e tre mesi di reclusione.
Un’anziana donna di 85 anni è stata vittima di uno scippo in pieno centro a Napoli, all’angolo tra la Galleria Umberto e via Toledo, ieri sera poco dopo le 21. L’aggressione, avvenuta in una delle zone più frequentate della città, si è conclusa tragicamente con la caduta della donna, ora ricoverata in prognosi riservata all’ospedale Cardarelli.
La dinamica dello scippo
Secondo quanto ricostruito dai carabinieri della compagnia Napoli Centro, un individuo si è avvicinato alla donna e le ha strappato la borsa. All’interno, pochi oggetti personali: qualche decina di euro, documenti e un cellulare. Durante l’aggressione, l’anziana è caduta rovinosamente, riportando ferite che hanno richiesto l’immediato intervento del personale del 118. La donna è stata trasportata al Cardarelli, dove resta sotto osservazione, ma fortunatamente non in pericolo di vita.
Indagini in corso
Le forze dell’ordine hanno avviato un’indagine per risalire all’identità del responsabile. Gli investigatori stanno acquisendo e analizzando le immagini dei sistemi di videosorveglianza presenti nella zona, sperando di individuare dettagli utili per identificare l’autore del vile gesto.
Un episodio che scuote la città
L’accaduto ha suscitato indignazione tra i residenti e i frequentatori del centro storico. La Galleria Umberto, simbolo di Napoli e luogo di passaggio per turisti e cittadini, si è trasformata in un teatro di violenza, riaccendendo il dibattito sulla sicurezza nelle aree più frequentate della città.
La Corte di assise di Modena ha condannato a 30 anni di reclusione Salvatore Montefusco, colpevole del doppio femminicidio della moglie Gabriela Trandafir, 47 anni, e della figlia della donna, Renata, 22 anni. I giudici hanno escluso l’ergastolo richiesto dalla Procura, riconoscendo attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti e citando la “comprensibilità umana dei motivi” alla base del crimine.
Il delitto e la dinamica dei fatti
Montefusco, incensurato e 70enne all’epoca dei fatti, assassinò a fucilate le due donne il 13 giugno 2022 a Cavazzona di Castelfranco Emilia. L’episodio avvenne in un contesto familiare caratterizzato da una forte conflittualità, con denunce reciproche e un crescente disagio emotivo. Secondo i giudici, il movente non era solo di natura economica, legato alla casa in cui vivevano, ma profondamente radicato nel senso di umiliazione e frustrazione dell’uomo. La sentenza descrive come Montefusco abbia subito un “black-out emozionale” quando la figliastra Renata gli ribadì che avrebbe dovuto lasciare la casa familiare.
Le motivazioni della Corte
La sentenza della Corte, articolata in oltre 200 pagine, ha escluso la premeditazione, i motivi abietti o futili e l’aver agito con crudeltà. Sebbene i giudici abbiano riconosciuto le aggravanti del rapporto di coniugio e dell’aver commesso il crimine davanti al figlio minore, hanno valutato la confessione dell’imputato, la sua sostanziale incensuratezza e il corretto comportamento processuale come attenuanti significative.
Un contesto di conflitto e disagio
Secondo la Corte, le dinamiche familiari difficili e le condotte “unilaterali e reciproche” hanno creato un ambiente che ha contribuito alla tragica decisione di Montefusco. Sebbene queste non abbiano giustificato una vera e propria attenuante della provocazione, sono state considerate nel determinare la gravità della pena.
Un caso che divide l’opinione pubblica
La decisione di non infliggere l’ergastolo ha sollevato interrogativi e critiche, soprattutto per il riferimento alla “comprensibilità umana” dei motivi. Per la Corte, l’imputato non avrebbe mai commesso un crimine così grave senza le dinamiche familiari che si erano instaurate nel tempo.