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Musica

Francesco Renga: «Quando Vasco mi disse che ero troppo bello… e io nemmeno lo sapevo»

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Il cantautore si racconta in una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera, tra aneddoti, passioni, amicizie e il senso della paternità. «Sanremo 2005, Vasco Rossi era il superospite. Ci incrociamo nella confusione della sala stampa e lui mi dice: “Tu sei troppo bello”». Inizia così il racconto sorprendente di Francesco Renga (Foto Imagoeconomica in evidenza), che in una lunga intervista al Corriere della Sera ripercorre tappe personali e artistiche della sua vita.

Un artista nato per caso (e per amore della musica)

Renga racconta che da adolescente non immaginava nemmeno di diventare una rockstar: «Cantare era divertente e attirava le ragazze», dice sorridendo. La sua prima esibizione importante avviene con i Precious Time, che poi diventeranno i Timoria. Lì inizia la sua vera avventura: «Non facevamo parte della compagnia, non ci invitavano alle feste. Ma la diversità ci rendeva speciali».

L’esplosione con Sanremo e l’angelo di mamma Jolanda

Nel 2005 vince Sanremo con “Angelo”, una canzone che ha segnato anche la sua vita privata: «Era nata mia figlia Jolanda, Ambra era lì sul palco. C’era stato lo tsunami. Sentii la responsabilità di essere padre. Pensai a mia madre, morta quando avevo 19 anni. Un angelo».

Il suo rapporto con le donne, confessa, è profondamente segnato da quella perdita: «Quello che scrivo e faccio è legato a lei. La sua assenza è stato un dolore che ho sempre vissuto come un abbandono».

Ambra, Sabrina, Laura e le altre

Con Ambra Angiolini ha condiviso una storia d’amore intensa, ma iniziata per caso: «Quando mi dissero che mi avrebbe intervistato pensai: “E chi è?”». Poi fu travolto dalla sua bellezza e intelligenza. Racconta anche l’incontro con il padre di Ambra, che gli aprì la porta a torso nudo: «Continuava a riempirmi il bicchiere di vino… alla fine Ambra si arrabbiò con me!».

Renga ha parole di affetto anche per Sabrina Ferilli, conosciuta ad “Amici”, e per Laura Pausini, che lo invitò a cantare in Messico: «Un sogno. Lei non era obbligata a farlo. È una donna generosa».

Il padre, la carriera militare sfiorata, e la passione per la cucina

Suo padre, sottufficiale della Guardia di Finanza, sognava per lui l’Accademia militare: «Passai la prima fase per quieto vivere, ma poi gli dissi la verità: volevo fare musica». A insegnargli a cucinare fu proprio il padre: «Io preparavo i pranzi quando Ambra lavorava. Lei fa solo le torte!».

La musica come casa, Nek come fratello

Dopo la morte della madre e con la famiglia dispersa, Renga trovò una nuova “famiglia” nei Timoria: «La sala prove era la mia casa». Con Nek, racconta, ha un’amicizia solida, cementata da due anni di tour e da valori comuni: «Famiglia, figlie. Anche le vacanze insieme».

Il mito Renato Zero, l’incontro con Giovanni Paolo II

Da ragazzo era un sorcino, e con Renato Zero ha condiviso il palco allo stadio Bentegodi: «Mi truccò lui per stemperare la tensione». Renga racconta anche l’emozione dell’incontro con Papa Wojtyla: «Sentii suonare le cornamuse mentre entrava nella sala. Non c’erano, ma la sua energia era così potente da trasformarsi in musica nella mia testa».

Un padre presente (e un figlio che lo tiene d’occhio)

Con i suoi figli Jolanda e Leonardo ha un rapporto profondo: «Jolanda è bravissima a scrivere e a cantare, ma è anche spietata con i consigli. Leonardo è più introverso, più orso, come me». Renga racconta con autoironia: «A casa organizzo cene e bevo qualche bicchiere di vino. Leonardo guida e riporta tutti a casa. Una volta gli ho chiesto: “Una birra non te la bevi mai?”. Mi ha risposto: “Papà, non voglio diventare come te”».

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Musica

Rocco Hunt, il ragazzo di giù diventa grande: “Ho 30 anni e ancora la rabbia del Sud”

Esce l’album Ragazzo di giù: tra neomelodico, rap e introspezione, la maturità artistica di un figlio del Sud.

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A 30 anni, Rocco Hunt ha già alle spalle 15 anni di carriera, una vittoria a Sanremo, hit estive, strofe militanti e un’identità artistica sempre più nitida. Ma oggi, con il nuovo album Ragazzo di giù, in uscita venerdì, Rocco — per molti ancora affettuosamente “Rocchino” — completa un percorso che lo conferma maturo, consapevole e profondamente legato alle sue radici.

“Sono fortunato, canto chi non lo è stato”

Il brano che dà il titolo al disco è un manifesto identitario.
“Io sono il ragazzo di giù fortunato”, spiega Rocco, “quelli che canto sono stati meno fortunati, magari non hanno dovuto lasciare casa, ma hanno pagato altri prezzi”. La nostalgia per la sua terra non è solo geografica, è memoria viva di un mondo che spesso si perde tra le distanze culturali.

Tra disagio e riscatto: “A Nord si perdono i valori”

“Oggi Napoli fa figo, ma vivere al Nord è diverso”, dice. Il successo, per lui, ha un prezzo. “Contano i numeri, non i valori”, afferma, parlando anche del figlio Giovanni, 8 anni, cresciuto tra Milano e Napoli: “Ha un accento diverso, ma deve sapere da dove viene, imparare l’inglese e la cazzimma partenopea”.

Il dialetto come identità: “È mamma, papà e biberòn”

Per Rocco il dialetto non è solo stile, ma lingua del cuore:
“È la strada dove sei cresciuto, la voce dei tuoi nonni, il suono dell’anima”. E anche se ha girato l’Italia e il mondo, resta anima di Scampia, del Sud e dei suoi contrasti.

Il rap, il neomelò, e il coraggio delle parole

Ragazzo di giù è un album eterogeneo, che passa da Gigi D’Alessio a Massimo Pericolo, da Irama a Baby Gang, mischiando il rap con la melodia napoletana e l’attualità più bruciante. In Demone santo, per esempio, denuncia con rabbia il crollo del ballatoio della Vela di Scampia:
“Quelle creature sono vittime dello Stato. A che serve il tricolore sulle bare bianche, se Cristo in quelle case non ci entra?”

Sanremo, De Filippo e il mare della costiera

Nel disco anche introspezione e memoria, con brani come ‘A notte, ispirato a Eduardo De Filippo, e Domani chissà, dove Rocco rievoca lo scugnizzo che si tuffava a bomba nel mare della costiera. E non manca un pensiero al futuro:
“Vorrei un secondo figlio”, dice, ma con il timore delle malattie, dei sacrifici, della fragilità.

Il tour: dal Molise a Milano, passando per la Reggia

Il tour estivo partirà il 20 giugno da Campobasso, con gran finale l’11 settembre alla Reggia di Caserta e il 6 ottobre all’Unipol Forum di Milano.
“Senza le mie radici non sarei quello che sono”, conclude Rocco.
E quando gli chiedono se oggi è ancora “‘nu juorno buono”, risponde senza esitazioni:
“Sì. Ma è sempre più difficile non vedere le nuvole all’orizzonte”.

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Musica

Mogol: Lucio mi parla ancora. L’arcobaleno? Un messaggio dall’aldilà

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«Ho sei mesi. Sono in braccio alla mamma. Lei mi dà dei colpetti sulla spalla per farmi addormentare, e io mi sento sicuro». Giulio Rapetti, in arte Mogol (le foto sono di Imagoeconomica), ripercorre una vita lunghissima, tra musica, pericoli scampati, successi e spiritualità. Ricorda la guerra, le bombe, la fuga nei rifugi di Carugo, in Brianza, e un piccolo cannone di legno appeso in cantina che chiamava “la mia contraerea”.

Una vita piena di avventure e miracoli

Racconta di squali in Nuova Zelanda, di immersioni solitarie a Porto Rotondo, di tempeste in mare e salvataggi in extremis. «Prego spesso. Dio mi ha salvato tante volte». Non ha mai smesso di rischiare. E nemmeno di credere.

Gli inizi alla Ricordi e l’incontro con Lucio Battisti

Cominciò traducendo canzoni, tra cui Space Oddity di Bowie, che divenne Ragazzo solo, ragazza sola. Poi l’incontro con Battisti. Nascono 29 settembre, Emozioni, Il mio canto libero. «Lucio suonava, io scrivevo: era una simbiosi». Lavoravano in ufficio o nella casa di campagna: lui sul divano, Mogol sul tappeto.

La rottura professionale e la voce di Lucio dall’aldilà

Nel 1980 la separazione: «Chiedevo equità nei guadagni». Ma non fu un addio umano. Mogol racconta di una medium che parlò di una canzone dall’aldilà. Non ci credette. Finché vide un arcobaleno sul cofano dell’auto: «Scrissi il verso che mancava. L’arcobaleno nacque così».

Mina, Morandi, Gaber, Mango: i grandi incontri

Convince Mina a cantare Il cielo in una stanza, risolleva Morandi con Canzoni stonate, scopre Gaber in un club. Mango gli “parla” dopo la morte: mentre ascoltava con suo figlio tutte le canzoni scritte per lui, apparve nel cielo un arcobaleno incastonato tra le rocce. Poco dopo, seppe della sua scomparsa.

Battisti era lontano dalla politica

«Non l’ho mai sentito parlare di politica». L’equivoco nacque da un’immagine della canzone La collina dei ciliegi, interpretata male. «Lucio era un individualista. Non credo andasse a votare».

Le sue canzoni più famose sono autobiografiche

Il mio canto libero è legato alla separazione dalla prima moglie. Anche per te nasce pensando a una ragazza madre. 29 settembre è la data di nascita della sua ex moglie, scoperta solo dopo. «Molte frasi sono nate dalla vita, da lapsus o dalla realtà».

MAURIZIO GASPARRI E GIULIO RAPETTI MOGOL

Ancora oggi scrive, prega e fa palestra

Fa pesi ogni mattina, segue una dieta rigorosa, dorme otto ore. Ha scritto La Rinascita, un libro sulla salute: «Non è solo genetica, è disciplina». Il suo sogno? «Scrivere con Papa Francesco una preghiera universale per tutti gli uomini».

La politica, l’amicizia con Gasparri e l’apprezzamento per Meloni

Dice di aver votato Forza Italia, ma guarda alle persone, non ai partiti. Stima Franceschini, ammira Meloni: «Lavora dalla mattina alla sera». E difende Giorgia (la cantante): «Una grande artista. Mi piacerebbe lavorare con lei».

Il paradiso? È pieno d’amore

«Non credo all’inferno, Dio è troppo buono. Penso a un ritorno d’amore, come il vento che muove gli alberi». Così immagina l’aldilà, e l’ha raccontato in Dormi amore, una canzone dedicata alla moglie Daniela. La sua voce è la stessa di sempre: pacata, profonda, piena di poesia.

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Achille Lauro: mio più grande lusso è stato sognare

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La scalinata di Trinità dei Monti a Roma, la sua Roma, “amica e amante”; l’abbraccio dei duemila fortunati fan che non si sono fatti fermare dalla pioggia leggera e hanno risposto alla chiamata; la voglia di esserci, di farsi sentire. Achille Lauro presenta così, con un live show annunciato solo poche ore prima, il nuovo album Comuni Mortali, in uscita il 18 aprile per Warner Music Italy. “Roma – spiega l’artista 34enne, reduce dall’ultimo festival di Sanremo con Incoscienti Giovani – è il filo conduttore di questo album, che è la sintesi di ciò che sono oggi. Roma e i suoi vicoli, che mantengono la tradizione di un mondo che non c’è più. Ma è proprio dove esiste la realtà, che esistono le grandi cose. Io rubo dalla realtà, rubo le immagini che vedo. Perché in fondo una canzone non è altro che un sentimento condiviso”.

Comuni Mortali – “un’espressione che racchiude quello che siamo tutti, fragili e uguali” – è il settimo album di Achille Lauro, quello della maturità, un nuovo passaggio per il cantautore che nei lavori precedenti ha attraversato i generi, spaziando dall’urban al glam, dal rock fino al pop. “Oggi non ha più senso parlare di generi. Qualcuno ha detto che ho provato a far saltare la mia carriera ad ogni disco, ma in realtà io mi sento molto coerente con il mio percorso. Questo è un disco che parla di me in maniera diversa, in maniera più consapevole, che mi ha fatto capire veramente chi io sia. Non è pensato per le radio ed è fuori dalle logiche del mercato discografico, che possono essere deleterie per un artista. Non rincorro più il gioco dei numeri, della canzone estiva che fa divertire. I risultati mi interessano solo relativamente a quelli che mi seguono”.

Racconta che Comuni mortali “è ispirato ai grandi del cantautorato romano e italiano. Io sono fan di De Gregori, Califano, Mia Martini, Lucio Dalla. L’ho scritto tra Los Angeles e New York, dove posso andare al supermercato e dove faccio le file fuori dai locali, ed è un disco di dediche d’amore, in tutte le sue forme perché l’amore è l’unica cosa che uno lascia sulla terra: a Roma, a mia madre (per la quale ha scritto il brano Cristina), ai miei grandi amori, ai miei amici. A tutti quelli che hanno contribuiti alla mia musica”. Come la periferia nella quale è cresciuto, alla quale guarda con affetto ma senza mitizzarla. “Sono stra-grato alla mia vita che è stata spericolata, ma anche pericolosa. So di essere stato molto fortunato, ma non mi sento in colpa per chi è rimasto lì: conosco il lato della medaglia di chi non ha niente e quello di chi vive sognando. È questo il mio grande lusso. Sono stato fortunato perché ho scoperto quello che mi piaceva. Il problema è non avere una passione”. L’amore lo canta, ma rivela di non essere ancora pronto a mettere su famiglia.

“Vivo l’amore, ma so anche stare da solo. Quando farò l’atto di coraggio di condividere la mia vita sarà una persona con cui varrà la pena. La mia libertà vale troppo. E poi sono ossessionato dalla perfezione del mio lavoro che non arriverà mai. Un figlio? Mi piacerebbe, ma ho tante cose in testa prima. E poi se esce un piccolo Achille Lauro è un grandissimo danno”. Intanto le donne impazziscono per lui. “Da questo punto di vista non ho mai avuto problemi. Basta un po’ di gentilezza. Oggi impera la cultura del machismo, ma la donna è troppo più superiore di te, ti schiaccia in tre secondi e mezzo. Una donna può rovinarti la vita. Forse sarebbe meglio ripartire dalla gentilezza”. In estate è atteso al Circo Massimo per due date il 29 giugno e l’1 luglio, sold-out. “Per quanto sembri un traguardo, vorrei che fosse un punto di inizio”. E già guarda avanti, molto avanti. “Penso a qualcosa di ancora più grande, Lo stadio nel 2026? Mi piacerebbe, vediamo”. Intanto nel cassetto ha pronto un brano per Mina “una cosa molto bella” e in ballo c’è anche qualche progetto per il grande schermo. “Il cinema si è molto mobilitato dopo il festival, ma più che fare l’attore, mi sento più persona di pensiero”. Da esplorare anche l’estero. “Mi piacerebbe che la mia musica avesse la possibilità di confrontarsi con il mondo. Magari un disco in inglese, un singolo. Quando mi confronto con gente come Drake o Kanye West su pezzi come Rolls Royce rimangono basiti”.

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