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Fenomeno Ronaldo, ora diventa CR700: record di gol in carriera

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Ora lo chiamano Cr700. Perché con un fenomeno come lui tutto viene centuplicato. Ronaldo ha raggiunto un traguardo speciale: da quando ha iniziato a correre a 17 anni con la maglia dello Sporting Lisbona, debuttando in prima squadra nel 2002, nel terzo turno preliminare di Champions League contro l’Inter, il fenomeno portoghese ne ha fatti 700 di gol. L’ultimo, quello che vale per la storia, lo ha realizzato stasera su rigore contro l’Ucraina, al 72′, nella gara valida per le qualificazioni a Euro 2020, in una serata poco brillante per il suo Portogallo (battuto a Kiev 2-1) ma quantomeno speciale per lui e il suo record da ‘number one’ grazie ad un tiro calciato dal dischetto con freddezza nell’angolo alto a destra. Le statistiche parlano chiaro: Cr7x100 ha segnato in 21 competizioni differenti, siglato 127 reti in Champions League e con un bottino che sfiora quota 100 con il Portogallo insegue il calciatore più prolifico di sempre in nazionale, l’iraniano Ali Daei, che si è fermato a 109 segnature. Ronaldo avrà tempo anche per abbattere quel muro e continuare a tenere a debita distanza il suo ‘nemico’ principale, l’argentino Lionel Messi, fermo a quota 672 centri in carriera, con cui condivide da quasi un decennio i Palloni d’oro. La prima rete Ronaldo la mise a segno contro la Moreirense il 7 ottobre 2002 (fu una delle cinque siglate con lo Sporting in 31 presenze), da allora ha gonfiato le reti di tutto il mondo, in Premier League con il Manchester United (118) che lo acquistò dallo Sporting per 12,2 milioni di sterline (fu il teenagers più costoso nella storia del calcio inglese), in Liga con il Real Madrid (450) e in serie A con la Juventus (al momento è fermo a 32) oltre a lasciare il segno con la maglia del Portogallo indossata più di 160 volte. “Ti diranno che sei finito… e proprio in quel momento tu allacciati gli scarpini, scendi in campo e zittisci tutti”, è una delle frasi di Cr7 che individuano il personaggio, sempre a caccia di nuovi stimoli e traguardi. Per lui è vietato sentirsi arrivato. Lo ammise alcuni mesi fa accorgendosi di quanto stesse lievitando il suo palmares. “Non mi basta essere il migliore del Portogallo. Voglio essere il migliore di sempre e lavoro per esserlo. Poi dipende dall’opinione di ognuno: ma quando mi ritirerò, guarderò le statistiche e voglio vedere se sono tra i più forti di sempre. Ci sarò di sicuro”, raccontò fedele a se stesso e al suo ruolo da fenomeno senza limiti.

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Luciano Spalletti: «Con De Laurentiis troppe battaglie. Se ci fosse stato più rispetto, sarei rimasto a Napoli»

Nel libro “Il Paradiso esiste… ma quanta fatica”, Spalletti racconta il rapporto con De Laurentiis: «Troppe frizioni, ma lo ringrazierò sempre». Anticipazione esclusiva al Corriere della Sera.

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Nel giorno dell’uscita del suo libro autobiografico Il Paradiso esiste… ma quanta fatica (Rizzoli), Luciano Spalletti regala al Corriere della Sera un’anticipazione destinata a far discutere. Al centro, uno dei passaggi più delicati e appassionati della sua carriera: il rapporto con Aurelio De Laurentiis e l’anno dello scudetto vinto con il Napoli.

«Due partite: una in campo, una con il presidente»

Spalletti racconta senza filtri i continui attriti avuti con De Laurentiis: «Sono andato via perché non avevo più voglia di sostenere questo continuo conflitto caratteriale con un imprenditore capace, ma con un ego molto, forse troppo grande». Il tecnico toscano descrive una convivenza fatta di battaglie quotidiane, «dare una maglia a un figlio, cambiare albergo senza un motivo chiaro», che lo hanno logorato.

Il “Sultano” e il silenzio dello scudetto

L’autore definisce De Laurentiis «estroso» e «imprevedibile», ma riconosce anche un momento di grande intelligenza da parte del presidente: «Quando ha smesso di parlare pubblicamente durante la stagione dello scudetto ha dato un segnale importante». Un sacrificio notevole per «un uomo di spettacolo che ama la scena».

Ma al momento della vittoria, il gelo. Spalletti svela: «Non telefonò a nessuno, né a me, né ai calciatori, né al team manager. Arrivò una telefonata solo il giorno dopo, per organizzare l’atterraggio a Grazzanise».

Una lettera e l’addio

La rottura definitiva avvenne con una lettera scritta a mano da De Laurentiis che, pur ringraziandolo per il trionfo, imponeva il prolungamento automatico del contratto. Spalletti rispose con un’altra lettera, altrettanto formale: «Sarebbe stato utile parlarsi, per il bene del Napoli. Farlo, forse, avrebbe cambiato il corso delle cose».

«Se ci fosse stato più rispetto, sarei rimasto»

Alla domanda che in tanti gli pongono — se sarebbe rimasto a Napoli con un altro tipo di rapporto — Spalletti oggi risponde: «Sì. Se ci fosse stato più rispetto umano, più dialogo e più apertura su cosa servisse per rivincere, alla fine sarei rimasto».

Eppure, chiude con una nota di gratitudine: «Lo ringrazierò sempre per avermi permesso di allenare il Napoli».


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Tennis, Tyra Grant: «Sogno di giocare per la Nazionale italiana. L’Italia è casa mia»

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La giovane tennista italo-statunitense ha scelto di rappresentare l’Italia: “Parlo questa lingua, sono cresciuta qui. È casa mia”. A 17 anni, Tyra Caterina Grant ha già preso una decisione che definisce “naturale”: giocare per l’Italia. Nata negli Stati Uniti, figlia dell’ex cestista Tyrone Grant, Tyra è cresciuta in Italia, parla fluentemente italiano e si allena da anni nell’Accademia di Riccardo Piatti, dove ha condiviso gli spazi con Jannik Sinner.

«Italia, la mia casa. Sogno la maglia azzurra»

«Sono cresciuta qui, parlo italiano, i miei amici sono italiani. Giocare con la maglia della Nazionale è il mio sogno», racconta con entusiasmo. Ha scelto l’Italia anche per affetto: «Caterina è il nome di mia nonna, è il mio secondo nome, ma tutti mi chiamano Tyra».

La prima da italiana al Foro Italico

«Poter giocare a Roma come primo torneo da italiana è bellissimo», dice alla stampa statunitense con cui dialoga passando con disinvoltura dall’italiano all’inglese. «Spero di scendere in campo sul Centrale. Non ho la pressione di fare subito risultato, ora mi godo tutto questo amore che sento attorno a me».

I ricordi con Sinner e l’Accademia Piatti

«Quando sono arrivata all’Accademia, Jannik aveva già 17 anni, ma lì si viveva tutti insieme come in una grande famiglia», racconta. L’Accademia ha rappresentato per lei un punto di riferimento e un trampolino di lancio per la sua crescita tennistica.

Nessun episodio di razzismo

A differenza di quanto accaduto ad altre atlete azzurre di colore, Tyra non ha mai subito discriminazioni: «È un tema importante e delicato. Personalmente, non ho mai vissuto brutte esperienze, nessuno mi ha mai presa di mira».

L’America? Solo per lo sport

Se dovesse portare qualcosa degli Stati Uniti in Italia, non ha dubbi: «Il modo in cui si vive lo sport là. Ma vedo che anche in Italia le cose stanno cambiando». Tuttavia, aggiunge, «quando sono in America mi manca tutto dell’Italia: la cultura, il cibo, le città».

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Inzaghi sogno Champions: col Barca serve vera Inter

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Una notte per la storia, un sogno lungo tredici anni. L’Inter torna a San Siro per la semifinale di ritorno di Champions League contro il Barcellona, con negli occhi l’eco della storica gara del 2010 e nel cuore la speranza di scrivere un nuovo capitolo europeo, con la coppa dalle grandi orecchie che manca appunto dal 2010 con José Mourinho in panchina. Dopo il pareggio dell’andata al Montjuic, i nerazzurri si giocano tutto davanti al loro pubblico: novanta minuti per tornare in finale a due anni di distanza dal ko con il Manchester Citty, con l’obiettivo di tornare all’ultimo atto anche per vendicare la sconfitta contro Pep Guardiola a Istanbul. Davanti ci sarà ancora il Barcellona, come nel 2010, ma l’Inter stavolta disputerà il ritorno a San Siro.

E la carica del Meazza potrà essere decisiva, perché dopo il 3-3 in Catalogna servirà vincere, a meno di non guardare anche a supplementari ed eventuali rigori. Una carta fondamentale in più per battere i blaugrana risponde al nome di Lautaro Martinez, che va verso un clamoroso recupero: a meno di una settimana dall’infortunio muscolare alla coscia subito proprio all’andata, l’attaccante dell’Inter è stato provato da Simone Inzaghi nella formazione titolare nell’allenamento della vigilia.

La decisione finale sarà presa domani, parlando anche con lo stesso giocatore. “Decideremo insieme allo staff medico e insieme agli stessi calciatori, perché saranno loro che mi dovranno dire le proprie sensazioni”, le parole del tecnico nerazzurro in conferenza stampa, riferendosi anche a Benjamin Pavard che sembra tuttavia andare verso la panchina per la distorsione alla caviglia con Yann Bisseck in pole per una maglia da titolare. “Lautaro meglio dall’inizio o in corsa? Dipenderà anche dalle sue sensazioni. Un giocatore che non può partire dall’inizio è difficile che ci dia una mano negli ultimi 25 minuti”, ha aggiunto Inzaghi, quasi confermando la volontà di farlo partire dal 1′. L’allenatore interista si gioca anche un pezzetto di storia, considerando che in quella nerazzurra solo Helenio Herrera era riuscito a centrare due finali di Coppa dei Campioni/Champions League.

“Sappiamo tutti l’importanza della gara, va fatta insieme: con i tifosi e con il gruppo. Il Barcellona è fortissimo, abbiamo visto tanti video e ci vorrà una grande Inter. Solo Herrera ha fatto due finali? È emozionante”, ha proseguito Inzaghi. “All’andata abbiamo fatto una grande gara, ma potevamo anche fare meglio giocando la palla anche se loro sono bravi nelle riaggressioni. Domani sarà una finale e la giochiamo davanti ai nostri tifosi, ci sarà un vincitore passando anche dai supplementari e dai rigori”. Molto parte anche da quel ko con il City in finale nel 2023. “La sconfitta di Istanbul è stata una notte difficile da digerire, si era giocata una grande partita ma si vive di presente. Quella gara fa parte del percorso fatto in questi quattro anni, ma vogliamo proseguire. Siamo a due partite da un eventuale trofeo, abbiamo portato l’Inter ad essere prima nel ranking e siamo partiti 17esimi: vogliamo prosguire questo grande percorso”.

Di fronte, però, c’è un Barcellona che già all’andata ha impresssionante in fase offensiva, meno in quella difensiva. A partire da Lamine Yamal, osservato speciale dei nerazzurri. “Dobbiamo cercare di non fargli arrivare palla ma è impossibile. Sarà ovviamente raddoppiato, sarà un osservato speciale”, ha spiegato Inzaghi, che potrebbe dover fare i conti anche con il ritorno di Lewandowski, convocato ma verso la panchina. “Lo conosciamo bene, è tra i 3-4 attaccanti più forti al mondo. Ma il Barcellona è forte con o senza Lewandowski”.

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