Il tennis maschile ha voltato pagina dopo Wimbledon 2023. Se la vittoria di Carlos Alcaraz su Novak Djokovic non sorprende e nemmeno certifica un ammainabandiera del serbo rispetto al nuovo che avanza, quanto visto sul Centrale londinese non lascia dubbi che sia davvero cominciata l’era Alcaraz e visti i vent’anni del fenomeno di Murcia è probabile che possa durare anche a lungo.
Oltre a doti tecniche eccezionali e fisico adeguato, Alcaraz vanta una solidità mentale, un equilibrio e una volontà che in campo e fuori fanno la differenza, insieme alla normalità di un giovane ormai milionario che ancora vive con i genitori, i quali gli gestiscono i ricchi proventi da tornei e sponsor e, a quanto pare, sono ascoltati quando pongono il veto su mettersi al volante di un bolide tanto desiderato. L’esercizio della normalità rischia di diventare difficile quando ripassi mentalmente un match come quello trionfale di Londra o quando realizzi che tutti i media mondiali ti osannano, ma Alcaraz stenta ancora a crederci e 24 ore dopo definisce “incredibile” la vittoria.
“Da quando ho iniziato a giocare a tennis, vincere Wimbledon è stato il mio sogno ma farlo in questo modo, al quinto set su Djokovic rende tutto più speciale. Sono uno spot per il tennis? Con il lavoro e la fatica tutto si può raggiungere e questo credo dia fiducia”, spiega tranquillo e conscio anche di aver trovato nel coach, l’ex n.1 al mondo Juan Carlos Ferrero, e nello staff l’altra solida colonna su cui consolidare il suo trono. Se ha un problema, il paradosso per Alcaraz, è quello di essere già quasi perfetto, almeno a giudizio di uno che di tennis se ne intende, Paolo Bertolucci. La leggenda della racchetta azzurra e componente del team di Coppa Davis più forte di tutti i tempi, adora il repertorio dello spagnolo: “E’ fortissimo fisicamente ma al tempo stesso molto veloce, e poi fa tutto bene: il dritto, il rovescio, il back, la volèe… Quando si ha questo bagaglio tecnico così ampio, il rischio è che a volte non sai quale soluzione usare”. Ma Carlos ha appena vent’anni, e quindi “un po’ di confusione ci può stare, eccome”, aggiunge Bertolucci. Anche perché a Wimbledon, nelle fasi calde in cui bisognava vincere la partita, il baby campione è stato efficace.
“Ha iniziato la partita contratto, poi ha iniziato a macinare di più e svolazzare un po’ meno, e nel quinto set ci ha fatto vedere cose incredibili. Va ammirato e basta, chapeau”. Paradossalmente, appunto, l’unico limite è che, sapendo fare tutto divinamente, “i suoi margini di crescita sono limitati. Ma io preferirei essere il numero uno al mondo senza grossi margini per migliorare, che averli ma dover rincorrere che mi sta davanti”. L’esperienza aggiusterà poi i difettucci del ragazzo, come rincorrere palle date perse da chiunque altro: “Lui magari ci arriva, ma sono sforzi inutili. Alla sua età li reggi, a 26-27 anni no, ma è un processo di maturazione naturale”.
Se si pensa ai tre fenomeni che hanno segnato il tennis dell’ultimo ventennio, ossia Federer, Nadal e Djokovic, ciascuno di loro “a trent’anni sapeva fare più cose di quando era giovane – spiega Bertolucci -. Si migliora e si progredisce sempre, a patto di avere sempre quella fame dentro”. “Chi saranno nel futuro, i rivali di Alcaraz? Difficile dirlo, ma citerei Jannik Sinner e Holger Rune. L’italiano ha caratteristiche che mettono in difficoltà lo spagnolo più di chiunque altro, Rune è più completo ma il problema dei suoi avversari è che Carlos è un ‘creatore’, che il punto lo cerca sempre, e per gli altri sono guai”.