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Cronache

Facoltà di medicina senza test d’ingresso: studenti favorevoli, medici contrari

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Quest’anno sono stati 67mila gli aspiranti medici per 10mila posti disponibili per le facoltà di Medicina di tutta Italia. Dal prossimo anno si potrebbe concretizzare l’idea di una modifica sostanziale della prova d’ammissione alla facoltà. Ma non è l’abolizione del numero chiuso. Il Governo, nel Documento di economia e Finanza, parla di una generica nuova regolamentazione degli accessi al Corso di Laurea Magistrale a ciclo unico di Medicina e Chirurgia. Qualcuno aveva capito l’abolizione al numero chiuso, ma sono arrivate le smentite del Miur e di Palazzo Chigi. Il test medicina non sarà abolito, cambierà. La proposta di abolire il numero chiuso piace agli studenti, ma non ai medici.

“Ho frequentato la facoltà con il numero chiuso e comunque si riscontravano difficoltà nel seguire i seminari e le lezioni (che tra l’altro, almeno allora, erano obbligatorie)”, spiega Paolo Villano, fisiatra 40enne che ha studiato presso la Federico II di Napoli. E spiega i motivi per i quali è contro l’abolizione del numero chiuso: “Esercitazioni in laboratorio di chimica e genetica (10 provette per 30 studenti). Per non parlare, a ridosso della laurea, delle lezioni che si tenevano in corsia, accanto al paziente, oppure negli ambulatori. E poi? Dopo la laurea c’è la specializzazione. Decine di specializzandi in sala operatoria. Il sistema universitario, almeno quello che ho frequentato era già al limite così, con il numero chiuso. Il diritto allo studio non si nega a nessuno, per carità, ma devi pur sempre garantire un insegnamento all’altezza di questo nome. Strutture all’altezza di questo nome. Ah già, ci sono i cinema dove fare lezione, lontano dagli ammalati, lontano dagli ospedali, poiché non penso che le facoltà di medicina attualmente abbiano aule sufficienti per poter accogliere più di 300 studenti. Indietro di trent’anni. Ad ogni medico, qualunque sia la specializzazione, di ogni ordine e grado, il paziente affida ciecamente la cosa più cara che ha al mondo: la propria salute”.

“Non è giusto limitare il diritto allo studio. Se c’è un ragazzo che desidera diventare medico è giusto che ci provi. Questo sarebbe il lato positivo dell’eliminazione dei test di ingresso. Però bisogna valutare anche altri fattori”. Ha detto Ambrogio Petrillo, reumatologo laureato presso la Seconda Università degli Studi di Napoli, oggi Vanvitelli. “Parlare di penuria di aule, laboratori e mezzi non può e non deve essere un alibi per non consentire a tutti l’iscrizione. Più iscritti ci sono, più tasse vengono pagate e più fondi ci sono per incrementare le aule e le attrezzature”

Nettamente contraria all’abolizione del numero chiuso è Carmen Pagano, specialista in scienza dell’alimentazione e nutrizione clinica. “E’ vero che il percorso formativo, lungo e complicato, opera una selezione naturale, ma non basta. Bisogna considerare dei dati: tra il 2006 e il 2016 si sono laureati circa 76mila medici e sono stati banditi circa 57.500 posti in specialità e 10mila borse per la medicina generale. 8500 medici, quindi, sono rimasti a spasso negli ultimi 10 anni perché non hanno potuto accedere a una formazione specialistica. Per questo tanti colleghi vanno anche all’estero. Ed allora prima di parlare di penuria di medici e di abolizione di test di accesso sarebbe auspicabile consentire il recupero di chi non ha avuto la possibilità di accedere alla formazione specialistica per cominciare a supplire alle carenze”. E non solo, continua il medico laureato e specializzato presso la Federico II di Napoli: “Ma quanto il nostro sistema universitario è pronto ad accogliere migliaia e migliaia di studenti? Le nostre strutture sono adatte a far seguire i corsi a così tanti studenti, i nostri ospedali hanno delle corsie così grandi per ospitare così tanti laureandi?”

“Il sistema di accesso alla facoltà di Medicina va riformato ma non completamente abolito. Aumentare il numero dei posti sarebbe un’opzione da valutare seriamente, calibrandolo in base alla possibilità di formare medici in base alla necessità di medio-lungo periodo del sistema sanitario nazionale. Aprire completamente le iscrizioni potrebbe però portare causare un problema opposto: rendere eccessivo il numero di aspiranti medici che non potrebbero essere seguiti come oggi avviene. Non dobbiamo dimenticare che un medico ‘lavora’ con vite umane e c’è la necessità di avere una giusta preparazione, teorica e pratica, che può essere garantita solo con un numero di studenti non eccessivo, altrimenti si rischia solo un abbassamento di qualità con tutte le conseguenze facilmente immaginabili”, è il parere di Fabio Perrotta, medico casertano e ricercatore di Malattie dell’Apparato Respiratorio presso Università degli Studi del Molise.

“Eliminare i test di accesso alla facoltà di Medicina e Chirurgia non è la soluzione alla paventata richiesta futura di medici. Queste le parole di Luigi Ferrara, studente al terzo anno di Medicina a Napoli che spiega: “Sono contrario all’abolizione sic et simpliciter dei test d’ingresso. Sarebbe necessario, oltre che eliminare i quiz iniziali, prevedere anche l’aumento di borse per la specializzazione. Non si possono formare nuovi medici e non garantirgli un’adeguata formazione post laurea specialistica”.  

“Sono nettamente contrario all’eventuale abolizione dei test d’ingresso alla Facoltà di Medicina e chirurgia”, afferma senza remore Francesco Sagliocco studente alla Cattolica di Roma. “L’eccessivo sovraffollamento delle aule, con l’abolizione dei quiz come prerequisito all’immatricolazione, abbasserebbe la qualità dello studio e non garantirebbe la qualità ma solo alla quantità per i medici del futuro. Inoltre guardando al medio-lungo termine sarebbe necessario garantire maggiori borse di studio per gli specializzandi. Al momento, infatti, con 10mila laureati l’anno circa, lo Stato non riesce a garantire l’accesso alle specializzazioni per tutti. Mi chiedo, quindi, cosa dovesse accadere se dovesse essere abolito il test d’ingresso e liberalizzate le iscrizioni. Avremmo tanti iscritti e quindi laureati in più. E le borse di studio per le specializzazioni?” 
 

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Muore a 38 anni dopo intervento estetico in una clinica privata di Caserta

Sabrina Nardella, 38 anni di Gaeta, è morta durante un intervento estetico alla clinica Iatropolis di Caserta. Disposta l’autopsia per chiarire le cause del decesso.

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Sarà l’autopsia a stabilire con precisione che cosa ha provocato la morte di Sabrina Nardella (nella foto), 38 anni, madre di due figli piccoli, deceduta giovedì scorso nella clinica privata Iatropolis di Caserta durante un intervento di chirurgia estetica. La donna, residente a Gaeta, si era recata in Campania per sottoporsi a quello che le era stato prospettato come un intervento di routine, in anestesia locale e in day hospital.

Il malore improvviso e le indagini in corso

Durante l’operazione, però, Sabrina ha avuto un improvviso malore che l’ha portata a perdere conoscenza. I medici hanno tentato la rianimazione, ma ogni tentativo è stato vano. I vertici della clinica hanno subito avvertito i carabinieri, che su disposizione della Procura di Santa Maria Capua Vetere hanno sequestrato la cartella clinica e identificato l’équipe medica. I componenti saranno presto iscritti nel registro degli indagati in vista dell’autopsia, che servirà a chiarire cause e responsabilità.

Una comunità sconvolta dal dolore

La città di Gaeta è sotto shock. Il sindaco Cristian Leccese ha ricordato Sabrina con parole di grande commozione: «Era una persona dolce, un’ottima madre, conosciuta e stimata da tutti. La sua improvvisa scomparsa ha lasciato un profondo vuoto nella nostra comunità».

I precedenti inquietanti della clinica

La clinica Iatropolis non è nuova a casi simili. Un anno fa, la pianista Annabella Benincasa è morta dopo 14 anni di stato vegetativo, conseguenza di uno shock anafilattico subito nel 2010 proprio in questa struttura. In quell’occasione, i medici furono condannati per lesioni gravissime. Altri episodi di reazioni avverse all’anestesia si sono verificati negli anni, alimentando polemiche sulla sicurezza degli interventi praticati nella clinica.

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Cadavere nel lago, è un 51enne morto forse per un malore

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E’ un 51enne di Calvizzano (Napoli) l’uomo trovato senza vita nel lago di Lucrino a Pozzuoli. La salma è stata sequestrata per esami autoptici. Tra le ipotesi più accreditate c’è quella di un malore.

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Verso Conclave tra suffragio e diplomazia, domani la data

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Secondo il testo liturgico che definisce le regole e le modalità di cosa avviene dopo la morte di un Papa – l’Ordo Exsequiarum Romani Pontificis -, il Conclave inizia tra il 15/o e il 20/o giorno dal decesso, quindi tra il 5 e il 10 maggio prossimi. Oppure tra il 6 e l’11 maggio se si conta dal giorno successivo alla morte. Anche questo ‘busillis’ sarà risolto domattina, quando la quinta congregazione generale dei cardinali stabilirà la data definitiva. Il calendario della settimana prevede congregazioni la mattina alle 9.00 e, nel pomeriggio alle 17.00, le messe dei ‘novendiali’ nella Basilica vaticana: il ciclo dei nove giorni di suffragio, iniziato ieri con la messa esequiale presieduta in Piazza San Pietro dal cardinale decano Giovanni Battista Re, si esaurirà domenica 4 maggio.

Dopo di che il possibile ingresso in Sistina e l'”extra omnes” che apre il Conclave. I 135 ‘elettori’ (134 considerando il forfait per motivi di salute del cardinale di Valencia Antonio Canizares Llovera) stanno convergendo a Roma. Molti si conosceranno direttamente nelle congregazioni, dove, in tema di strategie che porteranno all’elezione del nuovo Papa, conterà molto anche il peso di non-elettori, cioè i cardinali ‘over-80’, che mantengono la loro capacità di influenza e di orientare consensi. Una sorta di ‘grandi elettori’, insomma, anche se poi nel chiuso della Sistina ognuno risponde a sé stesso e, secondo quello che è il metro cattolico, allo Spirito Santo. Tra questi ‘grandi vecchi’ c’è sicuramente il 91/enne decano Re, mentre non si sa tra gli italiani quanto potranno esercitare un ruolo di indirizzo ex presidenti Cei come Camillo Ruini e Angelo Bagnasco.

Fra gli stranieri con capacità di spostare voti, e non presenti in Conclave, ci sono il cardinale di Boston Sean Patrick O’Malley, il più attivo promotore della lotta agli abusi sessuali, quello di Vienna Christoph Schoenborn, fine teologo ex allievo di Joseph Ratzinger e fiduciario di papa Bergoglio in ruoli-guida di vari Sinodi come quelli sulla famiglia, o l’ex prefetto dei vescovi, il canadese Marc Ouellet, influente anche in America Latina, da ex presidente della Pontificia Commissione competente. Intanto oggi, la scena tra i ‘papabili’ è stata tutta per Pietro Parolin, già segretario di Stato, che ha presieduto in Piazza San Pietro la seconda messa dei ‘novendiali’, davanti ai 200 mila partecipanti al Giubileo degli adolescenti.

Da stretto collaboratore di papa Bergoglio, la sobrietà, il piglio sicuro ma anche affabile e umano con cui ha portato avanti la celebrazione ha ricordato quelli dell’allora prefetto per la Dottrina della fede e decano del Collegio cardinalizio Joseph Ratzinger nell’officiare venti anni fa i funerali di Giovanni Paolo II, uscendone come l’unico vero candidato alla successione. Nella messa di oggi, in cui ha assimilato la tristezza, il turbamento e lo smarrimento per la morte di Francesco a quelli degli “apostoli addolorati per la morte di Gesù”, Parolin è come se avesse esposto sinteticamente una sorta di suo ‘programma’, sulla scia del grande pontificato appena concluso. Ha spiegato che l'”eredità” del Pontefice “dobbiamo accoglierla e farla diventare vita vissuta, aprendoci alla misericordia di Dio e diventando anche noi misericordiosi gli uni verso gli altri”.

“Solo la misericordia guarisce e crea un mondo nuovo, spegnendo i fuochi della diffidenza, dell’odio e della violenza: questo è il grande insegnamento di Papa Francesco”, ha sottolineato, a proposito di un Pontefice che alla misericordia dedicò anche un Anno Santo straordinario. Papa Francesco “ci ha ricordato che non può esserci pace senza il riconoscimento dell’altro, senza l’attenzione a chi è più debole e, soprattutto, non può esserci mai la pace se non impariamo a perdonarci reciprocamente, usando tra di noi la stessa misericordia che Dio ha verso la nostra vita”. Una misericordia che è guida anche nell’azione diplomatica della Santa Sede, come si è visto ancora ieri nell’incontro in Basilica tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky, in una foto che ha fatto il giro del mondo ed è rimasta l’emblema della giornata: non pochi l’hanno definita “l’ultimo miracolo di papa Francesco”.

Zelensky ieri ha anche incontrato proprio Parolin, capo della diplomazia d’Otretevere, ringraziando poi su X “per il sostegno al diritto dell’Ucraina all’autodifesa e al principio secondo cui le condizioni di pace non possono essere imposte al Paese vittima”. E oggi, per l’incontro in Basilica, l’ambasciatore ucraino Andrii Yurash ha riconosciuto con l’ANSA “il grande sostegno della Santa Sede”.

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