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Economia

Fabbrica Pernigotti, Di Maio annuncia una soluzione alla crisi e promette: niente esuberi

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Cioccolato, praline, torroni e preparati per i gelati continueranno a essere prodotti nello stabilimento Pernigotti di Novi Ligure ancora per molto tempo e non solo per il prossimo Natale, anzi potrebbe essere costruita addirittura una nuova fabbrica sempre nella stessa zona. Ad annunciare il salvataggio “in tempi da record” della fabbrica di cioccolato e’ stato il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, che – dopo aver distribuito i cioccolatini dello storico marchio a tutti i giornalisti – ha spiegato che lo stabilimento restera’ aperto, non ci saranno esuberi e tutti i lavoratori “che hanno contribuito a far grande nel mondo questo marchio”, continueranno a lavorare per Pernigotti e anche per altri marchi. Come? Grazie a due accordi preliminari sottoscritti dall’azienda rispettivamente con l’imprenditore Giordano Emendatori e con la cooperativa torinese Spes. Il primo dei due e’ per la cessione del marchio “Maestri gelatieri” e per le relative strutture commerciali (che occupano 21 persone) e produttive (con altri 15 dipendenti) con l’inizio della produzione a partire dal prossimo 1 ottobre. Il secondo accordo, quello con il Gruppo Spes, riguarda invece la reindustrializzazione della produzione di cioccolato e torrone.

E’ in fase di valutazione, poi, la possibilita’ che sia un unico soggetto aziendale (ossia una newco) a gestire l’intera produzione di Novi Ligure. In tutti i casi, la valutazione (comprensiva di piano industriale e della struttura societaria di questa eventuale newco)dovra’ concludersi, al piu’ tardi, entro la data prevista per la firma dei contratti definitivi, ossia entro il 30 settembre del 2019. L’accordo, fa sapere il Mise, e’ stato raggiunto a meno di un anno di distanza dall’annuncio da parte della proprieta’ turca Toksoz di voler fermare le attivita’ del sito piemontese, mettendo cosi’ a rischio il futuro dei lavoratori. L’azienda stessa chiarisce poi che restera’ titolare del marchio ‘Pernigotti 1860′ continuando la distribuzione e la commercializzazione di cioccolato, praline, torrone e creme spalmabili, ricordando che dal 23 luglio scorso ha gia’ ripreso la produzione per la campagna commerciale del Natale 2019 richiamando al lavoro 110 lavoratori, tra dipedenti in Cassa integrazione e somministrati. I sindacati si sono mostrati positivi e soddisfatti dell’esito di questo incontro. “Ora il nostro auspicio e’ che si lavori presto alla realizzazione di una Newco, un soggetto unico aziendale che gestisca la produzione nello stabilimento di Novi”, commenta il segretario nazionale Uila, Pietro Pellegrini. A lui si associa la Fai Cisl che con il segretario nazionale Roberto Benaglia e quello di Alessandria-Asti Enzo Medicina, parla di “giusto percorso per il salvataggio industriale”. Soddisfatta anche la segretaria nazionale Flai Cgil, Sara Palazzoli, gia’ proiettata a settembre quando “si tornera’ al Ministero per una valutazione complessiva”. Proprio la newco potrebbe avere anche l’obiettivo di mettere in piedi “uno nuovo stabilimento sempre a Novi, fra 3-5 anni”. L’ipotesi arriva dall’imprenditore Giordano Emendatori che spiega come il Mise, mettendo insieme la sua azienda e la cooperativa Spes con una societa’ finanziaria dello Stato (che potrebbe essere Invitalia), avrebbe intenzione di far partire una nuova fabbrica. L’intera operazione fra Emendatori e la proprieta’ turca, comunque, “e’ durata circa 7 mesi”, racconta l’imprenditore che poi sottolinea “i politici hanno fatto poco e niente, adesso si sono inseriti e vediamo cosa succedera’”.

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Via all’era Ita-Lufthansa, integrazione ‘in tempi brevi’

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Ita Airways è ora ufficialmente un membro del gruppo Lufthansa. Il Mef e i tedeschi hanno concluso oggi l’accordo con cui Lufthansa detiene ora una partecipazione del 41% in Ita Airways, mentre il consiglio di amministrazione si è riunito per il suo ‘primo giorno di scuola’. Una formalità: confermate le indicazioni fornite dall’assemblea degli azionisti Ita, Sandro Pappalardo ricoprirà la carica di presidente e Joerg Eberhart l’incarico di amministratore delegato. Questo significa che, come spiega Lufthansa, “l’Italia diventa un ulteriore mercato domestico” per il gruppo tedesco, l’aeroporto di Roma Fiumicino sarà “il sesto e più meridionale hub” Lufthansa mentre Milano Linate “avrà un ruolo di primo piano nel gruppo”.

Mentre per i clienti vuol dire che tra “poche settimane i frequent flyer di Ita Airways potranno accumulare punti e miglia sia nel programma Volare di Ita che in Miles & More”, e viceversa per i partecipanti a Miles & More. Quanto agli “altri vantaggi, come connessioni codeshare congiunte, utilizzo reciproco delle lounge e l’ingresso programmato in Star Alliance, seguiranno gradualmente”. Tra Lufthansa e il Mef sono già state concordate opzioni per l’acquisizione delle restanti quote di Ita Airways, che potranno essere esercitate già a partire da quest’anno. E, spiegano i tedeschi, c’è la “volontà di completare l’integrazione in tempi brevi”. Intanto, il prossimo appuntamento è il 23 gennaio, quando la nuova governance incontrerà i sindacati.

“Vogliamo conoscere le prospettive di sviluppo industriale”, spiega Fabrizio Cuscito di Filt Cgil, ma anche parlare di “aumento della flotta”, “recupero del personale Alitalia in cassa integrazione” e “stabilizzazione dei contratti a tempo determinato”. Di opinione simile Stefano De Carlo del sindacato Anpac: “ci aspettiamo di iniziare fin da subito a entrare nel merito dei temi aperti – dichiara – e l’ad dica che tipo di azienda intende costruire”. Dal primo febbraio arriverà anche il responsabile del processo di integrazione Ita-Lufthansa, Michael Trestl, che come Chief commercial officer ha lavorato per far ripartire la compagnia di bandiera austriaca dopo la crisi pandemica. Due giorni dopo ci sarà la conferenza stampa ufficiale del gruppo Lufthansa. Il resto, spiegano fonti informate, richiederà tempo e bisognerà pure fare test dei sistemi. Un calendario c’è, ma sono date approssimative, anche perché finora i rapporti tra Ita e Lufthansa sono avvenuti nel rispetto dei paletti dell’antitrust. Solo adesso si potrà discutere più concretamente dell’avvenire.

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La pizza napoletana: un simbolo di arte, economia e made in Italy

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Non è solo un’icona culturale e gastronomica, ma un motore economico di primaria importanza per Napoli, la Campania e l’intero Paese. La pizza napoletana, piatto simbolo per eccellenza, genera un fatturato che supera i 15 miliardi di euro in Italia, con ricadute significative sull’export agroalimentare e sulla promozione del made in Italy.

Numeri da record per la “rossa”

Secondo Coldiretti, la produzione annuale di 2,7 miliardi di pizze richiede:

  • 200 milioni di chili di farina;
  • 225 milioni di chili di mozzarella;
  • 30 milioni di chili di olio d’oliva;
  • 260 milioni di chili di salsa di pomodoro.

La pizza si conferma così ambasciatrice dei prodotti italiani, contribuendo a sostenere un export agroalimentare che nel 2024 ha raggiunto quota 70 miliardi di euro, con incrementi significativi per l’olio extravergine di oliva (+56%) e il pomodoro trasformato (+6%).

Riconoscimenti e impatto globale

Il riconoscimento nel 2017 dell’Arte dei Pizzaiuoli Napoletani come patrimonio immateriale dell’Unesco ha consolidato la fama internazionale della pizza napoletana, stimolando occupazione, turismo e formazione. Le accademie dedicate, molto frequentate da giovani di tutto il mondo, da Giappone a Brasile, attirano sempre più appassionati verso Napoli, oggi considerata l’hub mondiale della cultura alimentare.

Come sottolinea Alfonso Pecoraro Scanio, presidente di Univerde, questo riconoscimento ha dato una spinta decisiva alla diffusione del marchio napoletano, trasformando la pizza in un’attrazione globale. Non è un caso che Napoli sia stata incoronata da Taste Atlas come la città dove si mangia meglio al mondo.

Un mercato mondiale in crescita

A livello globale, il mercato della pizza vale quasi 160 miliardi di euro. Gli Stati Uniti guidano il consumo con una media di 13 chili pro capite l’anno, seguiti dall’Italia con 7,8 chili. La passione per la pizza è universale, ma è l’Italia, e in particolare Napoli, a detenere il primato nella qualità e autenticità.

Le sfide del made in Italy

Nonostante il successo, il settore deve affrontare la concorrenza sleale dei prodotti contraffatti. Il fenomeno dell’Italian sounding genera un giro d’affari di oltre 120 miliardi di euro, con il rischio di danneggiare la reputazione dei prodotti autentici. Nel 2023, l’Italia ha importato 85 milioni di chili di pomodoro cinese, un problema denunciato da Coldiretti e Anicav, che evidenziano i pericoli per il settore agroalimentare nazionale.

Un simbolo di cultura e tradizione

La pizza napoletana Stg (Specialità tradizionale garantita) è tutelata per legge, garantendo l’uso esclusivo di ingredienti italiani certificati come la mozzarella di bufala campana Dop, l’olio extravergine di oliva e il basilico fresco. Tuttavia, interpretazioni fantasiose all’estero, come le pizze all’ananas o alla carne di canguro, rischiano di danneggiare l’immagine di un prodotto che rappresenta la migliore tradizione italiana.

La pizza napoletana non è solo un cibo, ma un patrimonio culturale ed economico che incarna l’essenza del made in Italy. La sfida per il futuro è proteggere la sua autenticità, garantendo che ogni morso racconti la storia, la tradizione e la qualità inimitabile di Napoli e della Campania.

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Inter e Milan: il nuovo stadio di San Siro prende forma

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Entro fine febbraio, Inter e Milan presenteranno al Comune di Milano il nuovo piano economico-finanziario per l’area di San Siro, rispettando la scadenza fissata dal sindaco Giuseppe Sala. I due club lavorano a un progetto ambizioso, che prevede la costruzione di un nuovo stadio e il rilancio dell’intera area circostante.

Il progetto e il finanziamento

Il costo stimato dell’operazione oscilla tra 1 e 1,5 miliardi di euro. Per finanziare il progetto, Inter e Milan hanno avviato contatti con grandi istituti bancari italiani e internazionali, tra cui Jp Morgan, Bank of America e Banco Bpm, sponsor storico del Milan. L’idea è di coinvolgere anche altri partner finanziari nei prossimi mesi.

Lo schema del progetto prevede:

  • Acquisto dell’area di San Siro e delle zone limitrofe, valutate complessivamente 197 milioni di euro.
  • Parziale abbattimento del secondo anello del Meazza, che diventerebbe un museo dedicato alla storia delle due squadre.
  • Costruzione di un nuovo stadio nelle attuali aree di parcheggio, con servizi di lusso e spazi di hospitality che potrebbero garantire un significativo aumento degli introiti.

I ricavi da stadio, secondo le prime stime, passerebbero da 80 a oltre 130 milioni di euro a stagione per ciascun club, rendendo il progetto finanziariamente sostenibile e offrendo garanzie solide ai creditori.

Le sfide amministrative

Se il finanziamento sembra essere un nodo risolvibile, le maggiori incertezze riguardano le procedure burocratiche e il rischio di ricorsi da parte di comitati e associazioni locali. Il timore è che i tempi si allunghino ulteriormente, mettendo in difficoltà i piani dei club.

Il piano B del Milan

Nel caso in cui l’operazione San Siro si rivelasse troppo complicata, il Milan ha già un’alternativa: un terreno di 256 mila metri quadrati a San Donato, acquistato per 40 milioni di euro. Questa soluzione, tuttavia, non coinvolgerebbe l’Inter, che non sembra disposta a giocare fuori Milano.

Un progetto strategico per il futuro

Un nuovo stadio di proprietà rappresenta una priorità per entrambi i club, non solo per incrementare i ricavi ma anche per aumentare il valore delle società sul mercato. Per gli azionisti RedBird (Milan) e Oaktree (Inter), il successo di questa operazione sarebbe un passo decisivo verso un rafforzamento strategico.

Il sindaco Sala ha sottolineato l’intenzione del Comune di concludere la cessione dell’area entro l’estate. Le prossime settimane saranno decisive per determinare il futuro di San Siro e per capire se il progetto comune tra Inter e Milan potrà diventare realtà.

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