Si avvicina la prossima scadenza per i pagamenti della Rottamazione-quater delle cartelle. Il 31 luglio 2025 è il termine di versamento sia della nona rata per i contribuenti in regola con i precedenti versamenti, sia della prima o unica rata per i riammessi alla definizione agevolata che hanno presentato domanda entro lo scorso 30 aprile. I moduli di pagamento sono contenuti nella comunicazione delle somme dovute inviata da Agenzia delle entrate-Riscossione, disponibile in copia anche sul sito www.agenziaentrateriscossione.gov.it. In caso di mancato pagamento, oppure effettuato oltre il termine ultimo o per importi parziali, la legge prevede la perdita dei benefici della definizione agevolata e gli importi già corrisposti saranno considerati a titolo di acconto sulle somme dovute. In considerazione dei cinque giorni di tolleranza concessi dalla legge, saranno comunque ritenuti tempestivi i pagamenti effettuati entro il 5 agosto 2025.
L’aumento dei prezzi e del numero degli abbonamenti, insieme alla crescita della raccolta pubblicitaria, spingono Netflix nel secondo trimestre. Il colosso della tv in streaming archivia il periodo aprile-giugno con ricavi in crescita del 16% a 11,08 miliardi di dollari e un utile in rialzo del 46% a 3,1% miliardi. Risultati positivi grazie ai quali Netflix rivede al rialzo le stime per il 2025, che dovrebbe chiudersi con ricavi per 44,8-45,2 miliardi, in aumento rispetto ai 43,5-44,5 miliardi stimati in precedenza. “Le nostre previsioni riflettono l’indebolimento del dollaro verso le principali valute, e una crescita degli abbonati e delle vendite pubblicitarie”, ha spiegato la società.
I successi di ‘Squid Games’, ‘KPop Demon Hunters’ e ‘Ginny & Georgia’ hanno trainato Netflix, che ha visto il valore delle sue azioni quasi raddoppiato nell’ultimo anno. Il colosso prevede che i popolari show ‘Wednesday’ e la stagione finale di ‘Squid Games’ nella seconda metà dell’anno le consentiranno di continuare a crescere. In gennaio la società ha aumentato i prezzi degli abbonamenti negli Stati Uniti, e ha anche ridisegnato la sua interfaccia utenti così da includere la sua offerta più variegata. Per bilanciare il rallentamento della crescita di abbonamenti negli Stati Uniti, Netflix sta scommettendo sui mercati internazionali. Nelle scorse settimane ha annunciato una partnership con il network francese TF1.
Tramontata l’utopia dei dazi zero: l’Europa si muove tra l’incudine del 30% minacciato da Donald Trump e la possibilità di un’intesa tra il 10 e il 15%. L’ombra di un’aliquota al 20% continua però a stagliarsi sul tavolo negoziale. Il tycoon ha rilanciato la sua dottrina tariffaria con un’imposta generalizzata per oltre 150 Paesi “più piccoli”, lasciando aperto uno spiraglio anche per Bruxelles seppur a condizioni “molto diverse” dal passato. E’ su quella formula generica – e carica di imprevedibilità – che Maros Sefcovic e il suo team cercano in queste ore di cucire l’intesa a Washington prima della scadenza fatidica del primo agosto. Il sentiero resta stretto, ostacolato dai nodi irrisolti su settori strategici continentali – dall’automotive all’agroalimentare – e dalla nuova minaccia della Casa Bianca di stangate anche su farmaci e semiconduttori. Per questo, forte anche della maggiore propensione di Berlino ad agire, Palazzo Berlaymont affila le armi studiando un terzo pacchetto di contro-dazi sui servizi – Big Tech, ma non solo – e controlli all’export, da attivare in caso di rottura.
Sefcovic è entrato nelle ore decisive del negoziato vedendo separatamente Jamieson Greer e Howard Lutnick, gli uomini-chiave della linea Trump, nel tentativo di decifrare le reali intenzioni del tycoon. Ma “capire cosa voglia davvero” The Donald, è l’osservazione filtrata a Bruxelles, “non è mai stato facile” e trattare con una controparte “profondamente ideologica” resta un esercizio diplomatico ad alta tensione. La linea dettata da Giorgia Meloni – da settimane al lavoro insieme agli altri leader e a Ursula von der Leyen – dal palco del Congresso nazionale della Cisl esorta a compiere ogni sforzo per “scongiurare la guerra commerciale con gli Stati Uniti” che, ha sottolineato, “non avrebbe senso e colpirebbe soprattutto i lavoratori”. Uno scenario che, secondo le stime di Confindustria, qualora l’aliquota dovesse salire fino al 30%, potrebbe costare all’Italia fino a 38 miliardi di euro in esportazioni verso gli Stati Uniti, su un valore complessivo annuo di circa 65 miliardi.
L’Europa, un tempo “brutale”, ora si sta comportando “in modo molto gentile”, è tornato a commentare il tycoon ai microfoni di Real America’s Voice, continuando ad alimentare le speranze continentali di un accordo che per l’India invece “è vicino”, mentre per il Canada appare più lontano. Di fronte all’incertezza, gli emissari europei – stando a fonti vicine alla trattativa – hanno già superato molte delle loro linee rosse per evitare lo scontro diretto, offrendo anche un segnale di distensione nel ridimensionare il secondo pacchetto di contro-dazi da 72 miliardi di euro. Nonostante questo, è l’ammissione, l’ombra ingombrante di un’aliquota al 20% è tutt’altro che archiviata. La partita si gioca ancora sui terreni più delicati di auto, farmaci e agroalimentare. E sul primo fronte – sotto la pressione delle ammiraglie tedesche -, Bruxelles ha messo sul piatto l’ipotesi di ridurre l’attuale dazio del 10% sulle auto americane in cambio di un impegno chiaro dell’amministrazione americana a non superare la soglia del 20% sulle esportazioni europee, scendendo dall’attuale 25%.
E’ scontro aperto nella partita per Mediobanca mentre è in corso l’ops del Monte dei Paschi per conquistare l’istituto e di conseguenza la sua quota in Generali. A tre giorni dall’attacco sferrato dall’amministratore delegato di Piazzetta Cuccia, Alberto Nagel (foto Imagoeconomica in evidenza), all’indirizzo dei suoi maggiori azionisti Delfin e Caltagirone e del governo, il gruppo romano ha reagito a quelle che ha definito “due oggettive falsità” del banchiere. A stretto giro è arrivata la risposta della banca che ha indicato come “del tutto aderente al vero” una dichiarazione di Nagel e rilevato non ha fatto alcun commento sulla seconda accusa. E’ quindi arrivata una contro-replica del Gruppo Caltagirone. In prima battuta il gruppo Caltagirone ha contestato la ricostruzione del banchiere sul periodo che ha preceduto l’assemblea di Siena, riunita ad aprile per varare l’aumento di capitale al servizio dell’offerta. In secondo luogo per segnalare indirettamente di essersi mosso in modo autonomo in occasione del collocamento – definito un’anomalia da Nagel – a novembre del 15% di Mps da parte del ministero dell’Economia, sul quale, proprio a seguito di un esposto presentato da Piazzetta Cuccia, sta indagando la Procura di Milano.
“E’ falso che il Gruppo Caltagirone abbia realizzato significativi acquisti di azioni Montepaschi ad aprile o comunque a ridosso della convocata assemblea del 17 aprile scorso, quando sarebbe stato compravenduto il 12% del capitale”, è il messaggio contenuto nella prima nota del gruppo di Francesco Gaetano Caltagirone. Con una ulteriore controreplica diffusa in serata il gruppo romano ha poi fatto sapere “che due mesi prima dell’assemblea Mps del 17 aprile, il gruppo Caltagirone aveva già raggiunto la soglia del 9 per cento Inoltre “è falso” che il gruppo romano “abbia offerto lo stesso prezzo degli altri aggiudicatari nella procedura di Abb”, “come dimostra il fatto che il prezzo offerto dal Gruppo Caltagirone era superiore a quello di aggiudicazione, il che dimostra che esistevano offerte a prezzo inferiore a cui il prezzo finale fissato dal bookrunner si è allineato”.
Il riferimento è alla procedura di Accelerated book building, affidata Banca Akros (Banco Bpm) che lo scorso 13 novembre ha portato Caltagirone, la Delfin degli eredi Del Vecchio, Banco Bpm e la sua controllata Anima a rilevare le azioni del Tesoro a un valore superiore del 5% rispetto a quello di chiusura in Borsa quel giorno. Sulle due “presunte falsità” attribuite a Nagel, Mediobanca ha definito “del tutto aderente al vero l’affermazione secondo cui il Gruppo Caltagirone ha effettuato significativi acquisti in vista dell’assemblea degli azionisti di Mps, addirittura triplicando la propria partecipazione da novembre 2024 ad aprile 2025” e ha indicato nella sua nota il percorso di rafforzamento: al 5% a dicembre, all’8% a febbraio fino al 9,96% con cui ha votato all’assemblea di aprile.
FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE (foto Imagoeconomica)
In parallelo, ha sottolineato l’istituto milanese, hanno fatto il loro ingresso le casse di previdenza Enpam ed Enasarco, che non c’erano nel capitale di Mps all’assemblea del 2024 mentre lo erano rispettivamente con il 2% e l’1,8% quest’anno. Sulla seconda accusa di falso, relativa al prezzo del collocamento delle azioni del Mef a novembre, Mediobanca ha semplicemente osservato che “tale commento non è stato mai effettuato”. Nel mirino del gruppo Caltagirone è finito piuttosto finito il comunicato dell’emittente diffuso dal cda di Piazzetta Cuccia venerdì scorso – anche questo indicato nella contro-replica del gruppo capitolino che ha chiosato “è vero non lo ha detto, lo ha scritto” – dove è indicato che l’imprenditore romano, Delfin, Banco Bpm a Anima “hanno presentato pressoché simultaneamente offerte con lo stesso identico premio” per acquistare il 15% del Mef.
Il botta e risposta si è svolto il giorno successivo all’annuncio fatto dall’ad del Monte, Luigi Lovaglio, sull’intenzione di licenziare Nagel quando l’offerta pubblica di scambio, che si chiude l’8 settembre, andrà in porto e mentre proseguono le riduzioni, a piccole quote, delle partecipazioni di Lucchini e Gavio nel Patto di Mediobanca. Il banchiere, dopo essere stato a Londra, proseguirà all’inizio della prossima settimana il giro di incontri con gli investitori esteri per convincerli ad aderire all’ops.