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È stata la mano di Dio, il film autobiografico di Paolo Sorrentino: fra gioie e dolori in attesa del futuro 

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C’erano proprio tutti, al cinema Metropolitan di via Chiaia lo scorso 16 novembre per l’anteprima napoletana di “È stata la mano di Dio”, il nuovo film autobiografico di Paolo Sorrentino, prodotto da Lorenzo Mieli per The Apartment del gruppo Freemantle, in uscita in alcune sale selezionate il 24 novembre e poi su Netflix il 15 dicembre. Dal presidente della Camera Roberto Fico, al ministro della Cultura Dario Franceschini, passando per il neo sindaco di Napoli Gaetano Manfredi. Il cast al gran completo, ovviamente. Nino D’Angelo e Maurizio De Giovanni. 

E poi loro, i campioni del primo scudetto, i compagni di squadra di Diego: Salvatore Bagni, Nando De Napoli, Andrea Carnevale, Alessandro Renica, Ciro Ferrara, Luciano Castellini, Ciccio Romano. Il presidente Corrado Ferlaino, l’allenatore Ottavio Bianchi e Salvatore Carmando, storico massaggiatore del Napoli, a cui el pibe de oro era estremamente legato. “Questo non è un film su Maradona, ma che accade grazie a Maradona”; chiarirà Sorrentino. 

Manca solo lui, Diego Armando. È morto proprio durante la realizzazione del film, il 25 novembre 2020. La mano de Dios che dà il titolo al film non è solo un omaggio al gol con la mano, abusivo e bellissimo, realizzato contro il nemico inglese (“un’atto politico”, come è definito da uno dei personaggi), e seguito a stretto giro dal gol del secolo. Solo Maradona – a cui Sorrentino riconosce un potere semidivino – poteva mettere in fila nella stessa partita, un quarto di finale della Coppa del Mondo, i due gol più memorabili della storia del calcio. 

La mano de Dios è qui soprattutto quella che salva la vita al Sorrentino adolescente. Sono l’amore sconfinato e il culto per Maradona a portarlo ad Empoli, autorizzato dopo tante insistenze a seguire per la prima volta l’idolo in trasferta, lontano dalla casa in montagna di Roccaraso, nell’infausto 5 aprile 1987 in cui persero la vita entrambi i genitori. Passerà poco più di un mese e il Napoli trascinato da Maradona vincerà per la prima volta quello scudetto vagheggiato da una vita. È l’eterna staffetta di gioie e dolori.

Nello spazio antistante all’ingresso del Metropolitan un red carpet accoglie ospiti e attori. Un nugolo di persone vi si affaccia, assiepato attorno ad una serie di transenne divisorie. Attende con avida curiosità l’arrivo dei protagonisti della serata. Un po’ alla volta la sala si riempie. Sul grande schermo – in attesa dell’arrivo di Sorrentino – si susseguono le immagini di una delle clip più iconiche di Diego Maradona. Il riscaldamento pre-partita di Bayern Monaco-Napoli, semifinale di ritorno di Coppa Uefa dell’89. El Pibe de oro, scarpini rigorosamente slacciati, del tutto refrattario all’ansia da prestazione, fa stretching e palleggia danzando con naturalezza sulle note di Life is Life degli Opus. Immagini entrate nell’immaginario collettivo di un popolo e di una città.

Sono quasi le 19:30, la sala è ormai gremita. Ci siamo. Arriva Sorrentino, acclamato dai quattrocento invitati che hanno conseguito un pass per l’esclusiva e attesissima première napoletana. È frastornato, e non potrebbe essere altrimenti. Fra le mani stringe un foglietto con le cose da dire e i nomi delle persone da ringraziare, che se no dall’emozione sicuro lascia fuori qualcuno. “Questa è la proiezione a cui tengo di più”, esordisce. 

Nella Napoli in cui è cresciuto, dove si consumano gioie e dolori dell’adolescenza, nella città che ti ferisce a morte o ti addormenta, che ami e odi con eguale intensità, senza per questo correre il rischio di risultare incoerente. Che un giorno ti fa venire voglia di partire per sempre e quello dopo di restare. Un dilemma con cui ogni napoletano, c’è da giurarci, s’è dovuto confrontare almeno una volta nella vita. Una città abitata da personaggi grotteschi e bislacchi che altrove, nel Nord del mondo opulento e produttivo, semplicemente non esistono. “Voi di questo film capirete tutto, cogliendo ogni sfumatura, non posso fregarvi come faccio in altre parti d’Italia o del mondo”. Prima della proiezione, Pietra Montecorvino rompe il ghiaccio con una struggente versione di Napule è, colonna sonora del film. 

Nella Napoli tumultuosa e febbrile degli anni ’80, drammaticamente incattivita dal terremoto dell’Irpinia, Fabietto Schisa, alter ego del regista, cerca non senza affanni il suo posto nel mondo, accompagnato da un’innata timidezza e dall’inadeguatezza e la goffaggine proprie dell’adolescenza. Un’incomodità che il promettente Filippo Scotti – 21 anni, vincitore a Venezia del premio Mastroianni per il miglior giovane attore emergente – restituisce con empatia e convincente naturalezza. Accanto a lui una famiglia prodiga d’amore, formata dai genitori Saverio e Maria (interpretati da Toni Servillo e Teresa Saponangelo), il fratello Marchino (Marlon Joubert) e la sorella Daniela (Rossella Di Lucca). 

La tragedia si annida però dietro l’angolo, pronta a tendere il suo agguato ferino. A causa di una fuga di gas nella casa di montagna di Roccaraso, entrambi i genitori muoiono per avvelenamento da monossido di carbonio. All’amore della prima parte del film, subentra un dolore totalizzante, incommensurabile, complesso da maneggiare. È la fine in anticipo della stagione della spensieratezza. Amore e dolore. Parte sempre tutto da lì, da queste due imprescindibili componenti dell’esperienza umana. Ineludibili e feroci. “Ad un certo punto nella vita si fanno i bilanci – aveva commentato Sorrentino a Venezia -. Bukowski disse ‘Gli dei sono stati buoni, l’amore è stato bello e il dolore, il dolore è arrivato a vagonate’. 

Ma anche in mezzo a vagonate di dolore, quando tutto appare buio, imperscrutabile, ad un certo punto spunta, insperato, uno spiraglio. Si comincia ad intravedere un’idea di futuro. Per Sorrentino il futuro è il cinema, possibilità d’evasione da una realtà scadente, e l’incontro col maestro Antonio Capuano (interpretato da Ciro Capano), sancisce una cesura fondamentale per la sua biografia. È probabilmente questa l’eredità più importante del messaggio di questo racconto di formazione, che Sorrentino rivolge ai più giovani: non rinunciare mai ad un’idea di futuro. “Da ragazzi – scriveva in un post su Instagram alcuni mesi fa – il futuro ci sembra buio. Barcollanti tra gioie e dolori, ci sentiamo inadeguati. E invece il futuro è là dietro. Bisogna aspettare e cercare. Poi arriva. E sa essere bellissimo. Di questo parla È stata la mano di Dio. Senza trucchi, questa è la mia storia e, probabilmente, anche la vostra”. 

Senza trucchi. È stata la mano di Dio – candidato per l’Italia come miglior film internazionale agli Oscar 2022, oltre che agli EFA, e già premiato a Venezia col Leone d’Argento – è un film diverso dai precedenti del regista napoletano. Per la prima volta Sorrentino ricorre ad uno stile essenziale, quasi frugale, privo di orpelli che mal si sarebbero sposati con l’esigenza di un racconto sincero, intimo, personale. Con questo film Sorrentino chiude il cerchio, fa i conti col suo passato e con una ferita che per lungo tempo era parsa insanabile. Riconverte il dolore in gioia. “Per superare questo trauma – conclude il regista – avevo solo due possibilità: andare in analisi e pagare o fare un film ed essere pagato. Ho scelto la seconda”. 

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Esteri

Tragedia al festival Lapu Lapu a Vancouver: suv travolge la folla, morti e feriti

Durante il festival filippino Lapu Lapu a Vancouver, un suv ha investito la folla causando diversi morti e feriti. Arrestato il conducente. La città è sconvolta.

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Diverse persone sono morte e molte altre sono rimaste ferite durante il festival del “Giorno di Lapu Lapu” a Vancouver, nell’ovest del Canada, quando un suv ha investito la folla. La polizia locale ha confermato che il conducente è stato arrestato subito dopo l’incidente, avvenuto intorno alle 20 ora locale (le 5 del mattino in Italia).

Il cordoglio della città e della comunità filippina

La tragedia ha sconvolto l’intera città e, in particolare, la comunità filippina di Vancouver, che ogni anno organizza il festival in onore di Lapu Lapu, eroe della resistenza contro la colonizzazione spagnola nel XVI secolo. Il sindaco Ken Sim ha espresso il proprio dolore: «I nostri pensieri sono con tutte le persone colpite e con la comunità filippina di Vancouver in questo momento incredibilmente difficile», ha scritto su X.

Le drammatiche immagini dell’incidente

Secondo quanto riferito dalla polizia e riportato dalla Canadian Press, il suv ha travolto la folla all’incrocio tra East 41st Avenue e Fraser Street, nel quartiere di South Vancouver. I video e le immagini diffusi sui social mostrano scene drammatiche: corpi a terra, detriti lungo la strada e un suv nero gravemente danneggiato nella parte anteriore. Testimoni parlano di almeno sette persone rimaste immobili sull’asfalto.

Il dolore delle autorità

Anche il premier della Columbia Britannica, David Eby, ha commentato la tragedia: «Sono scioccato e con il cuore spezzato nell’apprendere delle vite perse e dei feriti al festival». La comunità è ora unita nel cordoglio, mentre proseguono le indagini per chiarire le cause dell’accaduto.

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Cronache

Verso Conclave tra suffragio e diplomazia, domani la data

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Secondo il testo liturgico che definisce le regole e le modalità di cosa avviene dopo la morte di un Papa – l’Ordo Exsequiarum Romani Pontificis -, il Conclave inizia tra il 15/o e il 20/o giorno dal decesso, quindi tra il 5 e il 10 maggio prossimi. Oppure tra il 6 e l’11 maggio se si conta dal giorno successivo alla morte. Anche questo ‘busillis’ sarà risolto domattina, quando la quinta congregazione generale dei cardinali stabilirà la data definitiva. Il calendario della settimana prevede congregazioni la mattina alle 9.00 e, nel pomeriggio alle 17.00, le messe dei ‘novendiali’ nella Basilica vaticana: il ciclo dei nove giorni di suffragio, iniziato ieri con la messa esequiale presieduta in Piazza San Pietro dal cardinale decano Giovanni Battista Re, si esaurirà domenica 4 maggio.

Dopo di che il possibile ingresso in Sistina e l'”extra omnes” che apre il Conclave. I 135 ‘elettori’ (134 considerando il forfait per motivi di salute del cardinale di Valencia Antonio Canizares Llovera) stanno convergendo a Roma. Molti si conosceranno direttamente nelle congregazioni, dove, in tema di strategie che porteranno all’elezione del nuovo Papa, conterà molto anche il peso di non-elettori, cioè i cardinali ‘over-80’, che mantengono la loro capacità di influenza e di orientare consensi. Una sorta di ‘grandi elettori’, insomma, anche se poi nel chiuso della Sistina ognuno risponde a sé stesso e, secondo quello che è il metro cattolico, allo Spirito Santo. Tra questi ‘grandi vecchi’ c’è sicuramente il 91/enne decano Re, mentre non si sa tra gli italiani quanto potranno esercitare un ruolo di indirizzo ex presidenti Cei come Camillo Ruini e Angelo Bagnasco.

Fra gli stranieri con capacità di spostare voti, e non presenti in Conclave, ci sono il cardinale di Boston Sean Patrick O’Malley, il più attivo promotore della lotta agli abusi sessuali, quello di Vienna Christoph Schoenborn, fine teologo ex allievo di Joseph Ratzinger e fiduciario di papa Bergoglio in ruoli-guida di vari Sinodi come quelli sulla famiglia, o l’ex prefetto dei vescovi, il canadese Marc Ouellet, influente anche in America Latina, da ex presidente della Pontificia Commissione competente. Intanto oggi, la scena tra i ‘papabili’ è stata tutta per Pietro Parolin, già segretario di Stato, che ha presieduto in Piazza San Pietro la seconda messa dei ‘novendiali’, davanti ai 200 mila partecipanti al Giubileo degli adolescenti.

Da stretto collaboratore di papa Bergoglio, la sobrietà, il piglio sicuro ma anche affabile e umano con cui ha portato avanti la celebrazione ha ricordato quelli dell’allora prefetto per la Dottrina della fede e decano del Collegio cardinalizio Joseph Ratzinger nell’officiare venti anni fa i funerali di Giovanni Paolo II, uscendone come l’unico vero candidato alla successione. Nella messa di oggi, in cui ha assimilato la tristezza, il turbamento e lo smarrimento per la morte di Francesco a quelli degli “apostoli addolorati per la morte di Gesù”, Parolin è come se avesse esposto sinteticamente una sorta di suo ‘programma’, sulla scia del grande pontificato appena concluso. Ha spiegato che l'”eredità” del Pontefice “dobbiamo accoglierla e farla diventare vita vissuta, aprendoci alla misericordia di Dio e diventando anche noi misericordiosi gli uni verso gli altri”.

“Solo la misericordia guarisce e crea un mondo nuovo, spegnendo i fuochi della diffidenza, dell’odio e della violenza: questo è il grande insegnamento di Papa Francesco”, ha sottolineato, a proposito di un Pontefice che alla misericordia dedicò anche un Anno Santo straordinario. Papa Francesco “ci ha ricordato che non può esserci pace senza il riconoscimento dell’altro, senza l’attenzione a chi è più debole e, soprattutto, non può esserci mai la pace se non impariamo a perdonarci reciprocamente, usando tra di noi la stessa misericordia che Dio ha verso la nostra vita”. Una misericordia che è guida anche nell’azione diplomatica della Santa Sede, come si è visto ancora ieri nell’incontro in Basilica tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky, in una foto che ha fatto il giro del mondo ed è rimasta l’emblema della giornata: non pochi l’hanno definita “l’ultimo miracolo di papa Francesco”.

Zelensky ieri ha anche incontrato proprio Parolin, capo della diplomazia d’Otretevere, ringraziando poi su X “per il sostegno al diritto dell’Ucraina all’autodifesa e al principio secondo cui le condizioni di pace non possono essere imposte al Paese vittima”. E oggi, per l’incontro in Basilica, l’ambasciatore ucraino Andrii Yurash ha riconosciuto con l’ANSA “il grande sostegno della Santa Sede”.

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Esteri

I primi 100 giorni di Trump, già lavora a ‘nuovi siluri’

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Il traguardo dei primi 100 giorni è ormai alla porte. Al 29 aprile mancano solo pochi giorni: Donald Trump si regalerà un comizio stile elettorale per spegnere le candeline e fare il bilancio dei suoi ‘successi’. Finora però il presidente non sembra essere riuscito a convincere l’opinione pubblica, come testimoniano i sondaggi che lo indicano come il meno amato della storia. Rilevazioni che non lo scuotono, tanto che, come rivelano alcuni funzionari a Reuters on line, sta già lavorando a “nuovi siluri” dei prossimi 100 giorni. Guardando avanti il presidente intende concentrarsi più attivamente sui colloqui di pace e sulle trattative per gli accordi sui dazi in vista di luglio, quando scadranno i 90 giorni di pausa concessi sulle tariffe reciproche.

La posta in gioco è alta: l’entrata in vigore dei dazi annunciato il 2 aprile, il ‘giorno della liberazione’, rischia di avere un impatto economico devastante per gli Stati Uniti, come Wall Street ha cercato a suon di cali consistenti di far capire al tycoon. I negoziati con l’Unione Europa appaiono in salita e quelli con la Cina devono, almeno formalmente, ancora iniziare, lasciando intravedere mesi di febbrili manovre per rimuovere l’incertezza e le nubi di recessione che si stanno addensando sull’economia. Al dossier commerciale si aggiunge quello dei colloqui di pace per l’Ucraina e per Gaza.

Mentre le trattative con l’Iran sul nucleare sembrano progredire, sulle tensioni fra Israele e Gaza la situazione appare in stallo, con i contatti fra Washington e Teheran che rischiano di rappresentare un ostacolo con il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Gli sforzi della Casa Bianca sono concentrati in queste settimane sull’Ucraina anche se al momento la pace resta ancora lontana. Trump aveva promesso durante la campagna elettorale di risolvere la guerra 24 ore, per poi essere costretto a identificare in sei mesi un arco temporale “realistico”.

L’incontro fra il presidente e Volodymyr Zelensky a San Pietro, a margine del funerale di papa Francesco, lascia ben sperare ma i prossimi giorni saranno cruciali, come ha detto il segretario di stato Marco Rubio, per “determinare se tutte e due le parti vogliono la pace”. Trump agli americani presenta come promessa mantenuta nei primi 100 giorni quella di aver domato l’emergenza migranti. Gli arrivi al confine con il Messico sono crollati e le deportazioni di migranti senza documenti sono in aumento, anche se l’obiettivo di un milione di espulsioni in un anno appare irraggiungibile. I successi sull’immigrazione sono stati ottenuti non senza polemiche: le deportazioni sono state infatti accompagnate da una lunga serie di azioni legali, le ultime in ordine temporale riguardanti tre cittadini americani minorenni inviati in Honduras insieme alle loro madri. Il presidente rivendica come successo anche il Dipartimento per l’Efficienza del Governo di Elon Musk.

Il Doge continua alacremente a lavorare per ridurre i costi del governo, anche se gli iniziali ‘risparmi’ sono stati mangiati dai costi per i migliaia di licenziamenti effettuati. In vista dell’uscita di Musk dal governo, l’amministrazione Trump si sta muovendo per rafforzare il controllo sulle assunzioni privilegiando chi è “fedele alla legge e alle politiche del presidente”. Anche il Doge, di cui Trump è orgoglioso, si è attirato decine di cause per i suoi tagli ritenuti indiscriminati. Fra la stretta sui migranti ritenuta eccessiva e l’azione di Musk, oltre che per i timori di una recessione causata dai dazi, il presidente è in forte calo nei sondaggi.

Per l’Associated Press, quattro americani su 10 lo ritengono un presidente “terribile”. Per il Washington Post e Cnn il suo tasso di approvazione è il più basso della storia per i primi giorni di una presidenza (rispettivamente al 39% e al 41%). Valutazioni che non sembrano preoccupare Trump: in un Casa Bianca ben più stabile rispetto al caos del primo mandato – fatta eccezione per il caso Pete Hegseth – il presidente tira dritto e guarda avanti, sognando forse anche un terzo mandato nel 2028 come indicato anche dai cappellini in vendita sul suo sito.

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