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È morto Ennio Morricone, il compositore premio Oscar aveva 91 anni

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È morto nella notte in una clinica romana per le conseguenze di una caduta il premio Oscar  Ennio Morricone. Il grande musicista e compositore, autore delle colonne sonore più belle del cinema italiano e mondiale  da Per un pugno di dollari a Mission  a C’era una volta in America da Nuovo cinema Paradiso a Malena, avrebbe compiuto 92 anni a novembre. Qualche giorno fa si era rotto il femore.  C’è una meravigliosa vita artistica da raccontare. Ennio Morricone (nato a Roma il 10 novembre del 1928 ha composto piu’ di 500 melodie, spesso immortali, per il cinema e la televisione, il suo tocco da arrangiatore ha caratterizzato la musica pop italiana degli anni ’60 (tra Edoardo Vianello, Mina e tanti altri), ma la sua vera passione era la musica sinfonica, la sperimentazione e l’innovazione musicale, sulla scia di un maestro come Goffredo Petrassi e delle improvvisazioni del gruppo Nuova Consonanza cui contribui’ a dare nuova linfa fin dal 1964. Figlio di trombettista e diplomato al Conservatorio di Santa Cecilia nella stessa materia e in direzione d’orchestra, Morricone siedeva da tempo nel ristretto pantheon dei piu’ grandi musicisti da cinema di sempre come confermano la stella sulla Walk of Fame di Los Angeles, l’Oscar alla carriera del 2007, la miriade di premi che scandiscono la sua carriera e perfino l’intestazione di un asteroide.

La sua musica ha da sempre un impatto trasversale che contagia le piu’ diverse generazioni e gli ha assicurato fama oltre il cinema con piu’ di 70 milioni di dischi venduti. Il chitarrista degli U2 The Edge dichiara da sempre di considerarlo il suo musicista di riferimento, gruppi come i Metallica o i Ramones aprono i propri concerti con un omaggio a lui, Quentin Tarantino ha saccheggiato le sue melodie ben due volte (“Kill Bill” e “Bastardi senza gloria”) rendendogli pubblico omaggio fino convincerlo a firmare una colonna sonora originale per “The Hateful 8” con cui il musicista ha vinto il suo primo Oscar dopo ben cinque nomination. Nonostante centinaia di partiture che hanno fatto epoca, e’ sempre il sodalizio con Sergio Leone a fare da sigla ideale al cinema di Morricone. I due si conoscono sui banchi di scuola, alle elementari, e quando il debuttante regista si rivolge a lui nel 1964 (“Per un pugno di dollari”) non sa ancora che molto del suo inatteso trionfo si deve alle invenzioni del musicista, costretto a lavorare senza orchestra e con pochi soldi, capace di trasformare un fischio, una tromba, uno sparo nella piu’ formidabile sintesi dell’epopea western. In questa spiazzante performance Morricone mette a frutto tutto il suo talento di arrangiatore che gli era valso una buona nomea nel mondo della musica leggera italiana. L’amicizia tra i due non verra’ mai meno e scandira’ una carriera di successi fino all’ultimo film di Leone “C’era una volta in America” che anche per il musicista rappresenta una delle sfide compositive piu’ complesse e importanti. Se nel mondo e’ proprio lo “spaghetti western” ad aprire a Morricone le porte di Hollywood con autori come John Carpenter, Brian De Palma, Roland Joffe’, Oliver Stone e titoli come “Gli intoccabili” o “Mission”, in Italia sono molti i cineasti che con lui vantano un rapporto quasi simbiotico.

E’ il caso di Elio Petri per cui Morricone inventa i suoni di “Indagine su un cittadino” o di Gillo Pontecorvo che scrive con lui la partitura della “Battaglia di Algeri” che gli ispira “Queimada” e che sara’ tra gli amici piu’ cari fino alla fine. Che cos’e’ il genio di Morricone? In primo luogo una perfetta conoscenza dei classici che lo accompagna in scorribande stilistiche di grande suggestione e gli permette di usare la grande orchestra, il piccolo gruppo, i solisti e i cori con la massima naturalezza; poi una sintonia quasi fisica con l’emozione e l’epica; infine una abitudine all’arrangiamento dei motivi che gli permette di andare di pari passo con le idee visive dei registi senza mai deviare dal proprio percorso espressivo. “Ogni volta – ha detto – cerco di realizzare una colonna sonora che piaccia sia al regista, sia al pubblico, ma soprattutto deve piacere anche a me, perche’ altrimenti non sono contento. Io devo essere contento prima del regista. Non posso tradire la mia musica”. E’ una fedelta’ monogama che non lo lascia mai e che ogni volta lo conduce a sfide piu’ impervie, come ha spesso dimostrato nella maturita’ quando ha cominciato ad esibirsi in pubblico come direttore d’orchestra delle sue composizioni.


E con la bacchetta in mano, davanti alla sua orchestra, Morricone  rivelava ogni volta la sua duttilita’ da camaleonte: compositore contemporaneo, creatore di epopee per il piu’ vasto pubblico, nostalgico cantore di emozioni segrete. Non e’ un caso che, nel 2007, sul palco dell’Oscar sia stato Clint Eastwood a consegnargli l’ambita statuetta: Eastwood non sarebbe esistito senza Leone e Morricone. E il musicista aveva trovato nell’attore il primo simbolo della sua musica amata in tutto il mondo. A gennaio di quest’anno aveva ricevuto in Senato il premio alla carriera dalla presidente Elisabetta Casellati. ”Io credo che la prossima stagione sara’ bellissima. Ci vedremo nella grande Sala di Santa Cecilia. Ora state a casa”. Aveva detto poi ad aprile nel saluto a pubblico dell’ Accademia Nazionale durante il lockdown in un video pubblicato sul sito dell’ istituzione musicale in occasione del Natale di Roma.

“Nel rispetto dell’espressa volonta’ dei familiari del Maestro Ennio Morricone, la Societa’ Italiana degli Autori ed Editori non rilascera’ alcuna dichiarazione fino alla celebrazione delle esequie, che si terranno in forma strettamente privata” e’ la dichiarazione del Direttore Generale SIAE Gaetano Blandini.

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Rocco Hunt, il ragazzo di giù diventa grande: “Ho 30 anni e ancora la rabbia del Sud”

Esce l’album Ragazzo di giù: tra neomelodico, rap e introspezione, la maturità artistica di un figlio del Sud.

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A 30 anni, Rocco Hunt ha già alle spalle 15 anni di carriera, una vittoria a Sanremo, hit estive, strofe militanti e un’identità artistica sempre più nitida. Ma oggi, con il nuovo album Ragazzo di giù, in uscita venerdì, Rocco — per molti ancora affettuosamente “Rocchino” — completa un percorso che lo conferma maturo, consapevole e profondamente legato alle sue radici.

“Sono fortunato, canto chi non lo è stato”

Il brano che dà il titolo al disco è un manifesto identitario.
“Io sono il ragazzo di giù fortunato”, spiega Rocco, “quelli che canto sono stati meno fortunati, magari non hanno dovuto lasciare casa, ma hanno pagato altri prezzi”. La nostalgia per la sua terra non è solo geografica, è memoria viva di un mondo che spesso si perde tra le distanze culturali.

Tra disagio e riscatto: “A Nord si perdono i valori”

“Oggi Napoli fa figo, ma vivere al Nord è diverso”, dice. Il successo, per lui, ha un prezzo. “Contano i numeri, non i valori”, afferma, parlando anche del figlio Giovanni, 8 anni, cresciuto tra Milano e Napoli: “Ha un accento diverso, ma deve sapere da dove viene, imparare l’inglese e la cazzimma partenopea”.

Il dialetto come identità: “È mamma, papà e biberòn”

Per Rocco il dialetto non è solo stile, ma lingua del cuore:
“È la strada dove sei cresciuto, la voce dei tuoi nonni, il suono dell’anima”. E anche se ha girato l’Italia e il mondo, resta anima di Scampia, del Sud e dei suoi contrasti.

Il rap, il neomelò, e il coraggio delle parole

Ragazzo di giù è un album eterogeneo, che passa da Gigi D’Alessio a Massimo Pericolo, da Irama a Baby Gang, mischiando il rap con la melodia napoletana e l’attualità più bruciante. In Demone santo, per esempio, denuncia con rabbia il crollo del ballatoio della Vela di Scampia:
“Quelle creature sono vittime dello Stato. A che serve il tricolore sulle bare bianche, se Cristo in quelle case non ci entra?”

Sanremo, De Filippo e il mare della costiera

Nel disco anche introspezione e memoria, con brani come ‘A notte, ispirato a Eduardo De Filippo, e Domani chissà, dove Rocco rievoca lo scugnizzo che si tuffava a bomba nel mare della costiera. E non manca un pensiero al futuro:
“Vorrei un secondo figlio”, dice, ma con il timore delle malattie, dei sacrifici, della fragilità.

Il tour: dal Molise a Milano, passando per la Reggia

Il tour estivo partirà il 20 giugno da Campobasso, con gran finale l’11 settembre alla Reggia di Caserta e il 6 ottobre all’Unipol Forum di Milano.
“Senza le mie radici non sarei quello che sono”, conclude Rocco.
E quando gli chiedono se oggi è ancora “‘nu juorno buono”, risponde senza esitazioni:
“Sì. Ma è sempre più difficile non vedere le nuvole all’orizzonte”.

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Mogol: Lucio mi parla ancora. L’arcobaleno? Un messaggio dall’aldilà

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«Ho sei mesi. Sono in braccio alla mamma. Lei mi dà dei colpetti sulla spalla per farmi addormentare, e io mi sento sicuro». Giulio Rapetti, in arte Mogol (le foto sono di Imagoeconomica), ripercorre una vita lunghissima, tra musica, pericoli scampati, successi e spiritualità. Ricorda la guerra, le bombe, la fuga nei rifugi di Carugo, in Brianza, e un piccolo cannone di legno appeso in cantina che chiamava “la mia contraerea”.

Una vita piena di avventure e miracoli

Racconta di squali in Nuova Zelanda, di immersioni solitarie a Porto Rotondo, di tempeste in mare e salvataggi in extremis. «Prego spesso. Dio mi ha salvato tante volte». Non ha mai smesso di rischiare. E nemmeno di credere.

Gli inizi alla Ricordi e l’incontro con Lucio Battisti

Cominciò traducendo canzoni, tra cui Space Oddity di Bowie, che divenne Ragazzo solo, ragazza sola. Poi l’incontro con Battisti. Nascono 29 settembre, Emozioni, Il mio canto libero. «Lucio suonava, io scrivevo: era una simbiosi». Lavoravano in ufficio o nella casa di campagna: lui sul divano, Mogol sul tappeto.

La rottura professionale e la voce di Lucio dall’aldilà

Nel 1980 la separazione: «Chiedevo equità nei guadagni». Ma non fu un addio umano. Mogol racconta di una medium che parlò di una canzone dall’aldilà. Non ci credette. Finché vide un arcobaleno sul cofano dell’auto: «Scrissi il verso che mancava. L’arcobaleno nacque così».

Mina, Morandi, Gaber, Mango: i grandi incontri

Convince Mina a cantare Il cielo in una stanza, risolleva Morandi con Canzoni stonate, scopre Gaber in un club. Mango gli “parla” dopo la morte: mentre ascoltava con suo figlio tutte le canzoni scritte per lui, apparve nel cielo un arcobaleno incastonato tra le rocce. Poco dopo, seppe della sua scomparsa.

Battisti era lontano dalla politica

«Non l’ho mai sentito parlare di politica». L’equivoco nacque da un’immagine della canzone La collina dei ciliegi, interpretata male. «Lucio era un individualista. Non credo andasse a votare».

Le sue canzoni più famose sono autobiografiche

Il mio canto libero è legato alla separazione dalla prima moglie. Anche per te nasce pensando a una ragazza madre. 29 settembre è la data di nascita della sua ex moglie, scoperta solo dopo. «Molte frasi sono nate dalla vita, da lapsus o dalla realtà».

MAURIZIO GASPARRI E GIULIO RAPETTI MOGOL

Ancora oggi scrive, prega e fa palestra

Fa pesi ogni mattina, segue una dieta rigorosa, dorme otto ore. Ha scritto La Rinascita, un libro sulla salute: «Non è solo genetica, è disciplina». Il suo sogno? «Scrivere con Papa Francesco una preghiera universale per tutti gli uomini».

La politica, l’amicizia con Gasparri e l’apprezzamento per Meloni

Dice di aver votato Forza Italia, ma guarda alle persone, non ai partiti. Stima Franceschini, ammira Meloni: «Lavora dalla mattina alla sera». E difende Giorgia (la cantante): «Una grande artista. Mi piacerebbe lavorare con lei».

Il paradiso? È pieno d’amore

«Non credo all’inferno, Dio è troppo buono. Penso a un ritorno d’amore, come il vento che muove gli alberi». Così immagina l’aldilà, e l’ha raccontato in Dormi amore, una canzone dedicata alla moglie Daniela. La sua voce è la stessa di sempre: pacata, profonda, piena di poesia.

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Achille Lauro: mio più grande lusso è stato sognare

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La scalinata di Trinità dei Monti a Roma, la sua Roma, “amica e amante”; l’abbraccio dei duemila fortunati fan che non si sono fatti fermare dalla pioggia leggera e hanno risposto alla chiamata; la voglia di esserci, di farsi sentire. Achille Lauro presenta così, con un live show annunciato solo poche ore prima, il nuovo album Comuni Mortali, in uscita il 18 aprile per Warner Music Italy. “Roma – spiega l’artista 34enne, reduce dall’ultimo festival di Sanremo con Incoscienti Giovani – è il filo conduttore di questo album, che è la sintesi di ciò che sono oggi. Roma e i suoi vicoli, che mantengono la tradizione di un mondo che non c’è più. Ma è proprio dove esiste la realtà, che esistono le grandi cose. Io rubo dalla realtà, rubo le immagini che vedo. Perché in fondo una canzone non è altro che un sentimento condiviso”.

Comuni Mortali – “un’espressione che racchiude quello che siamo tutti, fragili e uguali” – è il settimo album di Achille Lauro, quello della maturità, un nuovo passaggio per il cantautore che nei lavori precedenti ha attraversato i generi, spaziando dall’urban al glam, dal rock fino al pop. “Oggi non ha più senso parlare di generi. Qualcuno ha detto che ho provato a far saltare la mia carriera ad ogni disco, ma in realtà io mi sento molto coerente con il mio percorso. Questo è un disco che parla di me in maniera diversa, in maniera più consapevole, che mi ha fatto capire veramente chi io sia. Non è pensato per le radio ed è fuori dalle logiche del mercato discografico, che possono essere deleterie per un artista. Non rincorro più il gioco dei numeri, della canzone estiva che fa divertire. I risultati mi interessano solo relativamente a quelli che mi seguono”.

Racconta che Comuni mortali “è ispirato ai grandi del cantautorato romano e italiano. Io sono fan di De Gregori, Califano, Mia Martini, Lucio Dalla. L’ho scritto tra Los Angeles e New York, dove posso andare al supermercato e dove faccio le file fuori dai locali, ed è un disco di dediche d’amore, in tutte le sue forme perché l’amore è l’unica cosa che uno lascia sulla terra: a Roma, a mia madre (per la quale ha scritto il brano Cristina), ai miei grandi amori, ai miei amici. A tutti quelli che hanno contribuiti alla mia musica”. Come la periferia nella quale è cresciuto, alla quale guarda con affetto ma senza mitizzarla. “Sono stra-grato alla mia vita che è stata spericolata, ma anche pericolosa. So di essere stato molto fortunato, ma non mi sento in colpa per chi è rimasto lì: conosco il lato della medaglia di chi non ha niente e quello di chi vive sognando. È questo il mio grande lusso. Sono stato fortunato perché ho scoperto quello che mi piaceva. Il problema è non avere una passione”. L’amore lo canta, ma rivela di non essere ancora pronto a mettere su famiglia.

“Vivo l’amore, ma so anche stare da solo. Quando farò l’atto di coraggio di condividere la mia vita sarà una persona con cui varrà la pena. La mia libertà vale troppo. E poi sono ossessionato dalla perfezione del mio lavoro che non arriverà mai. Un figlio? Mi piacerebbe, ma ho tante cose in testa prima. E poi se esce un piccolo Achille Lauro è un grandissimo danno”. Intanto le donne impazziscono per lui. “Da questo punto di vista non ho mai avuto problemi. Basta un po’ di gentilezza. Oggi impera la cultura del machismo, ma la donna è troppo più superiore di te, ti schiaccia in tre secondi e mezzo. Una donna può rovinarti la vita. Forse sarebbe meglio ripartire dalla gentilezza”. In estate è atteso al Circo Massimo per due date il 29 giugno e l’1 luglio, sold-out. “Per quanto sembri un traguardo, vorrei che fosse un punto di inizio”. E già guarda avanti, molto avanti. “Penso a qualcosa di ancora più grande, Lo stadio nel 2026? Mi piacerebbe, vediamo”. Intanto nel cassetto ha pronto un brano per Mina “una cosa molto bella” e in ballo c’è anche qualche progetto per il grande schermo. “Il cinema si è molto mobilitato dopo il festival, ma più che fare l’attore, mi sento più persona di pensiero”. Da esplorare anche l’estero. “Mi piacerebbe che la mia musica avesse la possibilità di confrontarsi con il mondo. Magari un disco in inglese, un singolo. Quando mi confronto con gente come Drake o Kanye West su pezzi come Rolls Royce rimangono basiti”.

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