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Politica

Dl carceri, fiducia nella notte. Sì a misure alternative

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Ultimo step per il decreto carceri, poi sarà legge. Dopo il via libera al Senato della scorsa settimana il testo, blindato dalla fiducia, attende l’ultimo ok anche dalla Camera. Il voto in notturna sulla fiducia poi domani, nelle prime ore della mattinata, l’approvazione definitiva del provvedimento che ha tra gli obiettivi la semplificazione delle procedure per accelerare i tempi della burocrazia nel carcere e umanizzare gli istituti garantendo anche l’alternatività della pena in comunità. Il decreto battezzato dal governo ‘Carcere sicuro’, per l’Esecutivo è una prima risposta alla situazione di emergenza degli istituti penitenziari, sovraffollati e segnati nel 2024 dalle drammatiche cifre dei suicidi in questi primi otto mesi, mai così alte. Mentre per l’opposizione si tratta di misure “inutili” che non incidono minimamente sull’emergenza.

Al centro del provvedimento c’è l’istituzione di un albo di comunità che potranno accogliere alcune tipologie di reclusi – come quelli con residuo di pena basso, i tossicodipendenti e quelli condannati per determinati reati – i quali potranno scontare così la parte finale della loro condanna. Aumenta il numero di telefonate per chi è ristretto, da 4 a 6 al mese, con una ulteriore possibilità di incremento. Si stringono invece le maglie su mafiosi e terroristi: il provvedimento prevede anche modifiche alla disciplina del regime detentivo differenziato del cosiddetto 41 bis con esclusione all’accesso dei programmi di giustizia riparativa. Sul fronte della polizia penitenziaria è stata disposta l’assunzione di mille agenti e l’incremento del numero di dirigenti penitenziari oltre a modifiche sulla loro formazione. Nel decreto c’è inoltre lo slittamento di un anno dell’entrata in vigore del Tribunale per le famiglie.

E considerata l’abolizione del reato di abuso d’ufficio da parte del Parlamento nelle scorse settimane, il provvedimento contiene anche una casistica di reato in via preventiva, una sorta di ‘peculato per distrazione’, allo scopo di evitare alcuni problemi interpretativi riguardanti l’atto illecito di destinazione di fondi per distrazione. E’ intanto arrivato il via libera al ddl sicurezza: le commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera hanno infatti concluso oggi le votazioni sugli emendamenti presentati dai gruppi ai 29 articoli del disegno di legge, conferendo il mandato ai relatori, con il testo che approderà quindi in aula alla ripresa di settembre.

Il provvedimento di iniziativa governativa, introduce tredici tra nuove fattispecie di reato e aggravanti. Dalle bodycam che potranno essere indossate dagli agenti delle forze di polizia, alla norma ribattezzata anti-Gandhi dalle opposizioni, per cui si prevede carcere fino a un mese per chi da solo blocca una strada o una ferrovia e da sei mesi a due anni se il reato viene commesso da più persone riunite. Si arriva poi al giro di vite sulle mamme detenute all’aggravante per chi protesta col fine di impedire una opera pubblica strategica. E ancora: norme contro l’occupazione abusiva delle case e per la tutela legale delle forze dell’ordine. Ovviamente la stretta sulla cannabis light, di cui viene bloccata la vendita e la lavorazione, e per cui oggi è stata lanciata una petizione dalle associazioni. Dopo aver bocciato i soppressivi delle opposizioni, col ddl sicurezza, verrebbe inoltre punito il reato di rivolta anche nelle strutture di accoglienza per i migranti, i Cpr.

Un disegno di legge “pericoloso e fatto di errori”, ha affermato il Pd. “Da far west”, ha tuonato Avs, puntando il dito contro l’emendamento che autorizza gli agenti, non solo quelli di pubblica sicurezza, a portare senza licenza alcune tipologie di armi quando non sono in servizio. Mentre la Lega esulta per lo stop all’emendamento delle opposizioni il diritto ai detenuti di avere una visita al mese al fine di poter intrattenere delle relazioni sessuali.

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Andrea Vianello lascia la Rai dopo 35 anni: “Una magnifica cavalcata, grazie a tutti”

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Dopo 35 anni di giornalismo, programmi, dirette e incarichi di vertice, Andrea Vianello (foto Imagoeconomica in evidenza) ha annunciato il suo addio alla Rai. L’annuncio è arrivato con un messaggio pubblicato su X, nel quale il giornalista ha comunicato di aver lasciato l’azienda con un «accordo consensuale».

Una lunga carriera tra radio, tv e direzioni

Nato a Roma il 25 aprile 1961, Vianello entra in Rai nel 1990 tramite concorso, dopo anni di collaborazione con quotidiani e riviste. Inizia al Gr1 con Livio Zanetti, poi al Giornale Radio Unificato, raccontando da inviato alcuni dei momenti più drammatici della cronaca italiana: dalle stragi di Capaci e via D’Amelio al caso del piccolo Faruk Kassam.

Nel 1998 approda a Radio anch’io, e successivamente a Tele anch’io su Rai2. Tra il 2001 e il 2003 è autore e conduttore di Enigma su Rai3, per poi guidare Mi manda Rai3 fino al 2010. Dopo l’esperienza ad Agorà, nel 2012 diventa direttore di Rai3.

Nel 2020 pubblica “Ogni parola che sapevo”, un racconto toccante della sua battaglia contro un’ischemia cerebrale che gli aveva tolto temporaneamente la parola, poi recuperata con grande determinazione.

Negli ultimi anni ha diretto Rai News 24, Rai Radio 1, Radio1 Sport, il Giornale Radio Rai e Rai Gr Parlamento. Nel 2023 viene nominato direttore generale di San Marino RTV, ma si dimette dopo dieci mesi. Di recente si parlava di un suo possibile approdo alla guida di Radio Tre.

Le parole d’addio: “Sempre con me il senso del servizio pubblico”

«Dopo 35 anni di vita, notizie, dirette, programmi, emozioni e esperienze incredibili, ho deciso di lasciare la ‘mia Rai’», scrive Vianello. «Ringrazio amici e colleghi, è stato un onore e una magnifica cavalcata. Porterò sempre con me ovunque vada il senso del servizio pubblico».

Il Cdr del Tg3: “Un altro addio che pesa”

Dura la reazione del Comitato di redazione del Tg3: «Anche Andrea Vianello è stato messo nelle condizioni di dover lasciare la Rai», scrivono i rappresentanti sindacali, parlando apertamente di “motivi politici”. «È l’ennesimo collega di grande livello messo ai margini in un progressivo svuotamento di identità e professionalità». E concludono con un appello: «Auspichiamo che questa emorragia si arresti, e che la Rai possa recuperare la sua centralità informativa e culturale».

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Politica

L’ex ministro De Lorenzo torna a percepire il vitalizio: sono stato un perseguitato politico

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Francesco De Lorenzo (foto Imagoeconomica in evidenza), 87 anni, ex ministro della Sanità della Prima Repubblica, torna a percepire il vitalizio parlamentare grazie alla riabilitazione concessa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma. Una cifra importante tra arretrati e pensione, che giunge 31 anni dopo l’arresto per Tangentopoli e una condanna definitiva a 5 anni per associazione a delinquere e corruzione.

«Ho pagato più di tutti, ho subito una persecuzione»

«Sono stato il capro espiatorio perfetto» ha dichiarato De Lorenzo al Corriere del Mezzogiorno, rivendicando la correttezza del proprio operato. Secondo l’ex ministro, i magistrati dell’epoca avrebbero voluto colpire un simbolo e lui si prestava bene al ruolo, specie dopo la riforma della sanità che vietava il doppio lavoro ai medici. «Non ho mai preso una lira per me – ha aggiunto – la Cassazione ha riconosciuto che i soldi finivano interamente al Partito Liberale».

«Vitalizio? È un diritto, come stabilito dalla Boldrini»

De Lorenzo ha ribadito che la richiesta del vitalizio è legittima: «La delibera del 2015 firmata da Laura Boldrini prevede la restituzione in caso di riabilitazione. Io l’ho ottenuta, come altri prima di me». A pesare sulla sua memoria, anche la condanna della Corte dei Conti per danno d’immagine: «Ho dovuto vendere la mia casa di Napoli per affrontare le conseguenze economiche di quella sentenza, pur non avendo causato alcun danno erariale».

Tangentopoli e il crollo della Prima Repubblica

Arrestato a Napoli nel 1994, De Lorenzo fu al centro di uno dei più noti scandali di Tangentopoli. «Durante la stagione giudiziaria serviva un terzo nome dopo Craxi e Andreotti, e io ero perfetto», ha detto. Ricorda con amarezza il clima di quegli anni: «Mi ritrovai contro i medici per la riforma e contro i malati per i tagli alla sanità. Il bersaglio ideale».

«Non ho mai tradito per salvarmi»

«Mi venne chiesto di accusare altri ministri, anche Berlusconi – racconta – ma non l’ho mai fatto». Critico nei confronti della magistratura, De Lorenzo ha sottolineato le irregolarità nel suo arresto e nella gestione del processo. «I miei coimputati si avvalevano della facoltà di non rispondere. Il mio processo è stato un coro di muti».

Rapporti con il passato: «Non sento più nessuno»

Con i vecchi compagni di partito come Paolo Cirino Pomicino e Giulio Di Donato i contatti si sono interrotti: «Ho chiuso ogni rapporto con loro», ha ammesso De Lorenzo. Nonostante l’età, conserva ancora una voce lucida e battagliera: «Sono malato di giustizia, non dimentico quello che ho subito».

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Politica

Addio a Giancarlo Gentilini, lo “Sceriffo” di Treviso simbolo della Lega Nord

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È morto a 95 anni Giancarlo Gentilini (foto Imagoeconomica in evidenza), storico sindaco e vicesindaco di Treviso, conosciuto come “lo Sceriffo” per la sua spilla simbolo di ordine, disciplina e rispetto delle leggi. Figura centrale della Lega Nord, è stato per vent’anni un riferimento assoluto per la città e per il movimento federalista e nordista. Gentilini si è spento ieri all’ospedale di Treviso, dopo un improvviso malore. Aveva appena trascorso le festività pasquali con familiari e amici.

Dal 1994 un’era politica fuori dagli schemi

Eletto per la prima volta nel 1994, in piena frattura con la Prima Repubblica, Gentilini ha rappresentato il primo grande esperimento amministrativo della Lega Nord in Veneto. La sua leadership ha ispirato generazioni di sindaci padani. Rimasto in carica fino al 2013, ha saputo imprimere un’impronta personale, carismatica e controversa al governo della città, definendosi “al servizio del mio popolo”.

Una vita di provocazioni e polemiche

Uomo fuori dagli schemi, Gentilini è stato amato e odiato. Amatissimo dal suo elettorato, detestato dalle opposizioni per uscite spesso offensive: frasi contro immigrati, rom, comunità omosessuale, disegni di teschi agli incroci pericolosi e panchine rimosse per evitare che vi si sedessero stranieri. La sua comunicazione era brutale, talvolta al limite del razzismo, ma efficace. Una figura che ha spesso messo in difficoltà anche la sua stessa Lega, incapace di contenerne la dirompenza.

L’ultimo capitolo di una vita sorprendente

Nel 2017 ha perso la moglie, e l’anno successivo, a 89 anni, si è risposato. Un uomo che non ha mai smesso di sorprendere, nel bene e nel male. Sempre fedele alla sua immagine, sempre diretto, spesso divisivo, ma instancabile e coerente con il proprio sentire.

Il cordoglio delle istituzioni

Tra i primi a ricordarlo, Luca Zaia, presidente del Veneto: «È stato un grande amministratore, ha saputo intercettare i sentimenti del popolo. Ha fatto la storia di Treviso e del Veneto». Lorenzo Fontana, presidente della Camera, ha parlato di «dedizione totale alla città». Il sindaco di Treviso, Mario Conte, ha espresso il dolore dell’intera comunità: «Il nostro Leone è andato avanti. Ha scritto la storia».

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