In Italia ad oggi ci sono 3,2 milioni di impiegati pubblici (pochi, se facciamo il confronto con gli altri paesi europei, visto che in termini assoluti quelli italiani sono il 59% in meno di quelli francesi, il 65% di quelli inglese, il 70% di quelli tedeschi), mentre i pensionati “pubblici” sono già 3 milioni. Considerando la folla dei “pensionabili” – 540mila che hanno già compiuto 62 anni di età, e 198 mila che hanno superato 38 anni di anzianità – sono tanti quelli che possono sperare nell’ agognato pensionamento. Un processo accelerato in effetti dal varo di Quota 100, che nel 2019 ha fatto uscire 90mila pubblici, che hanno raggiunto la folla (il 57,7% del totale) dei pensionati pubblici che hanno sfruttato un occasione per il ritiro anticipato.
Del resto, dal 2018 a oggi sono andati in pensione 300mila dipendenti pubblici, a fronte di circa 112mila nuove assunzioni e 1.700 stabilizzazioni di precari. Le procedure per i concorsi sono lente, e in media ci vogliono quattro anni fra la scoperta del “buco” da riempire e l’ effettiva assunzione dei vincitori dei concorsi. L’ emergenza Covid ha complicato ulteriormente le cose, e da settembre del 2019 a oggi sono state messe a concorso meno di 22mila posizioni lavorative. Di questo passo ci vorrebbero oltre dieci anni a recuperare i posti persi.
Ieri, partecipando al Forum (online, ovviamente), il ministro della Pubblica Amministrazione Fabiana Dadone ha detto di avere presente il problema, e che “se vogliamo una pubblica amministrazione smart dobbiamo avere un personale altrettanto smart. Dobbiamo avere molta lucidità per immettere nuove competenze – ha detto – oggi non possiamo permetterci di produrre competenze non più adeguate alle esigenze dell’ amministrazione di domani». E a proposito dei concorsi, ha ribadito «la necessità di dislocare le prove sui territori con una informatizzazione completa, dalla fase dell’ iscrizione fino allo svolgimento delle prove che devono essere svolte su pc”.