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Dal Superbonus alle pensioni, cantiere Milleproroghe

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Sistemata la manovra, che dopo il via libera del Senato si prepara alla seconda lettura blindata alla Camera, il governo apre il cantiere Milleproroghe. Il tradizionale provvedimento di fine anno che allunga i tempi per norme, versamenti e discipline di ogni genere, è atteso nell’ultimo consiglio dei ministri dell’anno, giovedì 28 dicembre, insieme a 4 decreti attuativi della delega fiscale, compreso quello sull’Irpef, rinviato dalla scorsa riunione. Il lavoro sul Milleproroghe prende le mosse innanzitutto da quello che è rimasto fuori dalla manovra. A partire dal dossier Superbonus, non ancora archiviato del tutto. Durante i lavori sulla legge di bilancio in Senato è spuntata la proposta di un Sal straordinario senza proroghe né oneri.

Ma al Ministero dell’economia prima di qualunque mossa si attendono le ultime proiezioni sui costi dell’incentivo, che a novembre aveva già sfondato i 96 miliardi. Le decisioni dipendono dal “problema di tenuta dei conti pubblici”, chiarisce il ministro Giancarlo Giorgetti, avvertendo che ogni mese di proroga costa 4,5 miliardi. Ma Forza Italia tiene alto il pressing e assicura che “ci sarà attenzione” da parte del governo. Per un eventuale intervento, oltre al Milleproroghe, c’è anche l’ipotesi di un decreto ad hoc, che a quel punto approderebbe al cdm del 28. Il provvedimento potrebbe contenere anche una stretta su altre forme di agevolazioni legate alla casa. Un altro tema cui si guarda per il Milleproroghe è quello delle pensioni.

Sul tavolo c’è ancora l’ipotesi, spuntata durante le correzioni alla manovra in Senato ma su cui poi il governo ha fatto dietrofront, di alzare ulteriormente la soglia di vecchiaia per i medici, portandola a 72 anni (dai 70 previsti in legge di bilancio). La misura sarebbe ancora in valutazione per il milleproroghe o per altri provvedimenti. C’è poi il tema dello smart working: con il decreto anticipi il lavoro agile è stato prorogato, fino al 31 marzo, ma solo nel settore privato, sia per i fragili che per i genitori di under14. Resta invece il nodo del pubblico, dove lo smart working attualmente è consentito (fino al 31 dicembre) solo ai lavoratori fragili: ma si tratta di un intervento oneroso e appare al momento difficile. E mentre i dehors hanno già ottenuto un altro anno di proroga con il ddl concorrenza, si moltiplicano gli appelli per rinviare scadenze imminenti: i consumatori chiedono di posticipare la fine del mercato tutelato del gas (che terminerà il 10 gennaio) sulla scia di quanto fatto per quello dell’elettricità; mentre da più parti arriva la richiesta di prorogare le graduatorie degli idonei ai concorsi pubblici. Sul tavolo del cdm di giovedì ci sarà anche un ricco pacchetto fiscale.

A partire dal decreto per l’attuazione del primo modulo della riforma dell’Irpef, rinviato dalla scorsa riunione per consentire un coordinamento con la manovra: il decreto deve ricevere dal cdm il via libera definitivo, con cui potrà partire da gennaio il nuovo sistema a tre scaglioni. In arrivo, come promesso dal viceministro dell’Economia Maurizio Leo, a dimostrazione del fatto che la riforma fiscale “prosegue a ritmi serrati”, anche altri tre decreti delegati: quelli sul contenzioso e sull’adempimento collaborativo, cui manca l’ok definitivo, e quello sullo Statuto del contribuente che arriva per l’esame preliminare. Intanto la manovra ha iniziato l’esame alla Camera, dove è atteso venerdì 29 dicembre il voto finale. La commissione Bilancio si è riunita in mattinata per svolgere la discussione generale: una ventina i deputati che hanno partecipato, 6 presenti e il resto da remoto, compresi relatori e governo. Si riprende dopo le feste, mercoledì 27 per votare gli emendamenti. Sul tavolo ci sono circa mille proposte di modifica, tutte delle opposizioni. La commissione dovrà fare i salti mortali: il giorno successivo il testo è atteso in Aula.

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Folla commossa a Santa Maria Maggiore per salutare Papa Francesco

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All’alba, una lunga coda si era già formata davanti alla Porta Santa della basilica di Santa Maria Maggiore, dove è sepolto Papa Francesco. Ad aprire i cancelli, alle 7 in punto, è stato il rettore della basilica, il cardinale Rolandas Makrickas, che con emozione e un sorriso ha accolto i primi fedeli. Un’affluenza straordinaria che testimonia l’enorme affetto verso il Pontefice che ha scelto come ultima dimora il cuore multietnico dell’Esquilino.

Trentamila fedeli in poche ore

Alle 14, i visitatori erano già 30mila, e si prevede che a fine giornata possano raddoppiare. Famiglie, religiosi, scout e cittadini da ogni parte del mondo hanno reso omaggio a Francesco, il Papa dei poveri e della semplicità. La gente dell’Esquilino si è stretta attorno alla basilica, orgogliosa di avere come “vicino di casa” un Pontefice amato universalmente.

Le testimonianze di una devozione senza confini

Tra i tanti fedeli, Maria arrivata da Agrigento ha sottolineato la semplicità della tomba, specchio dello stile di Francesco. Florentine, da Grenoble ma originaria del Benin, ha parlato di una “grande emozione”. Roberto, romano e ateo, ha ricordato una frase che lo aveva colpito: «È meglio vivere da ateo che vivere da cristiano e parlare male degli altri». Dalla Finlandia, Sinika ha definito Francesco “il miglior Papa che i poveri possano avere”, fiera di indossare una maglietta con il suo ritratto.

Il ricordo che si fa simbolo

Nel quartiere, il volto di Francesco campeggia tra le vetrine, mentre striscioni di ringraziamento spuntano sui palazzi. Nella basilica, intanto, le celebrazioni liturgiche si alternano alla lunga processione dei fedeli: messe solenni, canti e l’omaggio di oltre cento cardinali. I tempi di attesa sono lunghi, ma il desiderio di sostare anche solo pochi secondi davanti alla lapide di “Franciscus” è fortissimo.

Roma prepara un afflusso senza precedenti

La fila continuerà oggi fino alle 22 e riprenderà domani mattina. Il sindaco Roberto Gualtieri ha annunciato una pianificazione straordinaria per gestire l’enorme afflusso di pellegrini: «Mercoledì ci sarà una riunione in Prefettura per organizzare al meglio l’accoglienza». Intanto, la rosa bianca – fiore caro a Francesco per la sua devozione a Santa Teresina – è diventata il simbolo silenzioso di questo tributo d’amore.

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Referendum e regionali, la sfida delle opposizioni

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Per le opposizioni, le regionali saranno il “test prima delle politiche”. La definizione è del presidente Pd Stefano Bonaccini. La tornata d’autunno, quindi, come un esame di compattezza, come una prova di forza per vedere se nel 2027 il centrosinistra potrà evitare il Meloni bis. Al voto andranno: Marche, Veneto, Campania, Puglia, Toscana e Valle d’Aosta. Le prime due sono governate dal centrodestra, le altre dal centrosinistra. Qualche mese prima, l’8 e 9 giugno, ci sarà un altro esame: i cinque referendum su lavoro e cittadinanza. Le opposizioni si stanno spendendo anche per quelli, specie Pd, M5s e Avs, mentre i centristi sono meno partecipi. Già raggiungere il quorum del 50% dei votanti farebbe ben sperare il fronte dei sostenitori dei “sì”.

In vista delle regionali, per il momento il lavoro dei partiti d’opposizione è orientato soprattutto alla definizione delle coalizioni. L’obiettivo della segretaria Pd Elly Schlein è rodare lo schieramento, nell’auspicio che sia il più largo possibile e che si presenti nel maggior numero possibile di Regioni. Sui nomi dei candidati i giochi sono fatti solo nelle Marche, dove per la carica di governatore corre l’eurodeputato Pd ed ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci: l’alleanza è in via di costruzione, ma c’è la speranza che alla fine possa comprendere sia il M5s sia i centristi. In Puglia dovrebbe essere in campo l’altro eurodeputato Pd ed ex sindaco di Bari Antonio Decaro. L’accoppiata Pd-M5s parte in discesa, visto che ha già fatto le prove con la giunta ora guidata da Michele Emiliano.

In Toscana, il trascorrere del tempo fa crescere le quotazioni di una ricandidatura del governatore uscente Eugenio Giani, del Pd, già alleato a Iv, che auspica di imbarcare anche M5s e Avs. Mentre Azione ha già dato il suo placet. Giochi aperti in Campania, dove Pd e M5s stanno lavorando al candidato, che potrebbe essere l’ex presidente della Camera Roberto Fico. In ballo c’è anche l’attuale vicepresidente di Montecitorio Sergio Costa.

Entrambi sono del M5s. Fico sembra favorito, anche se per adesso è “bloccato” dal limite dei due mandati: la Costituente del Movimento ha dato indicazione di togliere il vincolo, ma ancora devono essere definiti i criteri, che dovranno passare la vaglio del voto degli iscritti. Sembrava che la chiusura dell’iter potesse arrivare prima di Pasqua. I tempi, comunque, dovrebbero essere maturi. Resta in ogni caso da capire quali saranno le indicazioni del governatore uscente Vincenzo De Luca. Partita aperta in Veneto, dove il centrosinistra è alla ricerca del candidato, che potrebbe essere sostenuto sia da Pd sia dal M5s.

Dinamica a sé in Valle D’Aosta, dove il voto è sostanzialmente proporzionale: spetta poi agli eletti formare una maggioranza in consiglio regionale e individuare il governatore. La prima prova generale delle opposizioni, però, ci sarà fra un mese e mezzo, con i referendum sul lavoro promossi dalla Cgil, che sostanzialmente aboliscono il jobs act, e quello per rendere più facile l’acquisizione della cittadinanza promosso da un comitato con Più Europa. Pd e Avs hanno dato indicazione per cinque sì. Quattro sì per il M5s, che lascerà libertà di coscienza sulla cittadinanza. Per una volta, indicazioni analoghe da Azione e Iv: “sì” solo alla cittadinanza, “no” agli altri.

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‘Commemorazione di Gramsci, bandiere rosse vietate’

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“Bandiere rosse vietate alla commemorazione di Antonio Gramsci”. Lo sostiene Rifondazione comunista, in una nota firmata dal co-segretario della federazione romana del partito, Giovanni Barbera. Lo stop sarebbe stato dato dalla direzione del Cimitero Acattolico di Roma, dove riposano le spoglie di Gramsci.

“Durante la commemorazione dell’anniversario della morte di Antonio Gramsci – scrive Barbera – si è consumato un atto di censura senza precedenti. Per la prima volta, in decenni di celebrazioni, è stato impedito l’ingresso delle nostre bandiere rosse, che da sempre, nel rispetto della memoria storica, hanno accompagnato il ricordo di Gramsci”. La spiegazione del divieto, continua Barbera, offerta dalla direttrice del cimitero è stata che “il colore rosso sarebbe divisivo”.

Arrivando così a vietare “perfino l’uso di un semplice drappo rosso, senza scritte né simboli”. Alla cerimonia – hanno raccontato altri presenti – ha partecipato almeno un centinaio di persone. Fra loro molti esponenti politici, con delegazioni anche del Pd (composta da Cecilia D’Elia, Michele Fina, Roberto Morassut, Andrea Casu ed Eugenio Marino) e di Sinistra Italiana (guidata da Marilena Grassadonia). Una commemorazione “partecipata, più degli anni passati, e tranquilla – è stato il racconto – che si è chiusa con l’esecuzione di un brano musicale”.

Fra i rappresentanti delle altre forze politiche c’è chi ha confermato che è stato chiesto di non portare bandiere di partito nel cimitero, senza però che questo abbia sollevato particolari polemiche. Qualcuno aveva la bandiera della pace, mentre simboli e nomi delle forze politiche erano comunque presenti sugli omaggi lasciati sulla tomba di Gramsci: mazzi di fiori e corone. Dura, invece, Rifondazione comunista: “Negare la presenza dei nostri simboli alla commemorazione di Antonio Gramsci (uno dei più grandi pensatori del Novecento, fondatore del Partito Comunista d’Italia e martire del fascismo) nel giorno della sua morte, è un atto di ignominia che merita la più dura condanna”.

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