Nel cuore dei Campi Flegrei, il Castello Aragonese di Baia custodisce una storia drammatica e toccante che, a distanza di decenni, continua a lasciare il segno. Negli anni ’30, il castello divenne sede di un orfanotrofio militare, un luogo dove i giovani orfani vivevano in condizioni disumane, tra fredde stanze anguste e sofferenze indicibili. Il 14 novembre 1976, però, la voce di quindici bambini, intrappolati in quel “paradiso fuori, inferno dentro”, arrivò a Maurizio Valenzi, sindaco di Napoli, cambiando per sempre il corso della loro vita e della storia del castello.
La lettera che scosse le coscienze
La denuncia arrivò sotto forma di una lettera, firmata da quindici bambini, che raccontava una realtà agghiacciante: «Ci picchiano. Viviamo tra i topi. Mangiamo solo brodino. Non facciamo la doccia da un mese». Le accuse erano chiare: maltrattamenti, umiliazioni, punizioni corporali e cibo insufficiente.
Maurizio Valenzi, colpito da quelle parole, non esitò a intervenire. Insieme all’assessore Emma Maida, visitò l’orfanotrofio il giorno successivo, mettendo fine alle sofferenze di centinaia di bambini. Fu un gesto che segnò profondamente la comunità di Bacoli e il Castello di Baia, trasformandolo da luogo di dolore in un simbolo di riscatto culturale.
L’omaggio a Maurizio Valenzi
Ieri, in una cerimonia emozionante, il belvedere del Castello di Baia è stato intitolato a Maurizio Valenzi, riconoscendo il suo operato come antesignano della figura di sindaco metropolitano. Durante l’evento, il sindaco di Bacoli, Josi Gerardo Della Ragione, ha sottolineato l’importanza di quel momento storico: «Da quella liberazione ebbe inizio un processo di riscatto culturale che ha trasformato il castello nel Museo Archeologico dei Campi Flegrei, tra i più importanti d’Italia».
Tra i presenti, l’ex sindaco di Napoli Antonio Bassolino ha elogiato il ruolo dei sindaci come figure vicine ai cittadini, ribadendo che le azioni di oggi sono frutto del lavoro di ieri. La targa commemorativa è stata scoperta dalla figlia di Valenzi, Lucia, oggi presidente della Fondazione Maurizio Valenzi.
Un monito per il presente
Lucia Valenzi ha lanciato un forte messaggio ai politici di oggi: «La terribile condizione di quei ragazzini non appartiene solo al passato. Ancora oggi esistono sacche di sofferenza dove i diritti umani non vengono rispettati. La politica con la “P” maiuscola deve ascoltare le persone, anche le meno colte e meno attrezzate».
Queste parole richiamano l’essenza del gesto di Valenzi: la capacità di ascoltare, di agire concretamente e di dare speranza anche a chi non ha voce.
Il Castello di Baia: da luogo di dolore a simbolo di cultura
Oggi il Castello di Baia è un centro culturale di primaria importanza, ospitando il Museo Archeologico dei Campi Flegrei. La sua trasformazione è il risultato di un lungo percorso di riscatto, iniziato con quell’intervento decisivo del 1976.
L’intitolazione del belvedere a Maurizio Valenzi non è solo un omaggio alla memoria, ma un invito a continuare a credere nella forza del cambiamento e nella capacità della politica di fare la differenza.
Incredibile ma vero: 23 liste si sono presentate per le elezioni amministrative di Bisegna, minuscolo comune abruzzese in provincia dell’Aquila, con appena 212 abitanti. Un numero spropositato che nasconde una realtà scandalosa: 21 liste su 23 sono composte da agenti della polizia penitenziaria che si sono candidati non per partecipare davvero al processo democratico, ma per usufruire di un mese di aspettativa retribuita, garantita dalla legge, con la scusa della campagna elettorale.
Il vero scopo: un mese di ferie pagate
Delle 23 liste, solo due rappresentano candidati locali che hanno a cuore il futuro del paese. Le altre sono state messe in piedi esclusivamente per consentire ai candidati di prendere ferie retribuite: un abuso normativo che trasforma le elezioni, fondamento della democrazia, in una comoda vacanza a spese dei contribuenti. Una beffa clamorosa, soprattutto se si pensa che alle ultime elezioni hanno votato solo 150 persone.
Un meccanismo che tradisce la fiducia nelle istituzioni
Questa vicenda getta un’ombra pesante sulla credibilità del sistema elettorale locale. Organizzare liste fittizie per ottenere privilegi economici senza alcuna intenzione di governare o migliorare la vita di una comunità tradisce lo spirito delle elezioni, nate per consentire ai cittadini di scegliere chi li rappresenterà davvero.
Un caso che chiede risposte immediate
La situazione di Bisegna impone una riflessione urgente: è inaccettabile che le regole, pensate per garantire la partecipazione democratica, vengano piegate a interessi personali. Serve un intervento normativo che blocchi questi abusi e ristabilisca il rispetto per un diritto fondamentale come quello del voto.
Un giovane di 19 anni, di origine nigeriana, è morto questa sera in un incidente stradale avvenuto lungo via Roma, a Roscigno, nel Salernitano. Secondo una prima ricostruzione, il ragazzo, ospite del centro di accoglienza Sai del comune degli Alburni, stava rientrando dopo aver fatto la spesa quando ha perso il controllo della bicicletta ed è finito contro un albero sul lato opposto della carreggiata. Restano da chiarire le cause dell’impatto: al momento non si esclude alcuna ipotesi, dal coinvolgimento di altri veicoli a una manovra improvvisa per evitare un ostacolo. Possibile anche che il giovane abbia avuto difficoltà a gestire le buste della spesa durante la pedalata. Sul posto sono intervenuti i sanitari del 118, ma per il 19enne non c’era più nulla da fare. Per risalire all’esatta dinamica dell’incidente indagano i carabinieri della compagnia di Sala Consilina.
Il principale, grande nodo che i cardinali che si riuniranno nella Sistina dovranno sciogliere nell’individuare la figura del nuovo Pontefice sarà su chi potrà raccogliere la grande eredità di papa Francesco. I tanti cantieri aperti lasciati dal Pontefice scomparso, i “processi avviati” come li chiamava lui, sono altrettanti capitoli di cui scrivere un futuro e su cui, se possibile, non fermarsi, né tanto meno tornare indietro. Quando dodici anni fa si dimise Benedetto XVI, la Chiesa attraversava una grave crisi, provata dagli scandali come il primo Vatileaks, le ondate di rivelazioni sugli abusi sessuali – peraltro favorite proprio da Ratzinger, il primo a promuovere la ‘tolleranza zero’ -, e la stessa rinuncia del Papa per l’età avanzata e le difficoltà nel fare fronte alle resistenze interne, che avevano fatto fortemente ondeggiare la ‘barca di Pietro’.
E il mandato dei cardinali a chi sarebbe diventato il nuovo Papa era stato di rifondare la Chiesa su una nuova base di rinascita cristiana e di rilanciata missione evangelizzatrice. Proprio quello che ha perseguito, non senza pesanti ostacoli, Jorge Mario Bergoglio in questi dodici anni di pontificato, con le riforme in primo luogo finanziarie, poi della Curia con l’inedito mandato ‘di governo’ anche ai laici e alle donne, sulla protezione dei minori, e col proprio atteggiamento personale di radicalità cristiana, di vicinanza ai più poveri, ai migranti, agli ‘scartati’, di indefessa abnegazione in favore della pace, della fratellanza umana e del dialogo con le altre religioni. Un insieme di spinte in avanti che rimettono in primo piano molti dei propositi ancora inattuati del Concilio Vaticano II, finora gravati da contrarietà e passività all’interno della Chiesa.
Senza contare l’ultimo grande cantiere aperto da Francesco, quello della Chiesa ‘sinodale’, su cui a parte i due Sinodi già svolti il Papa defunto ha indetto un ulteriore triennio per l’attuazione, con una grande e finale “assemblea ecclesiale” già programmata per l’ottobre del 2028. Un’eredità, quindi, in buona parte già scritta quella che dovrà raccogliere il prossimo, e 266/o, successore di Pietro. Che dovrà riprendere in mano tutte le riforme e portarle avanti secondo le proprie sensibilità e priorità. Oltre che con la necessaria autorevolezza e capacità di governo, qualità indispensabili per il pastore universale di un organismo della complessità e vastità della Chiesa cattolica.
Questo, insomma, sarà l’identikit del nuovo Papa, almeno per chi pensa che sulla rivoluzione imposta da Bergoglio in tanti settori ecclesiali “non si può tornare indietro”. E, a parte gli elenchi dei papabili e i possibili fronti contrapposti, nelle congregazioni generali pre-Conclave, come accadde proprio nel 2013 con la successiva elezione di Francesco, avrà la meglio chi nei propri interventi riuscirà a trasmettere carisma e a catalizzare maggiormente i convincimenti dei confratelli. Non mancherà certo l’assalto dei restauratori, di chi nel Collegio cardinalizio vorrebbe riportare indietro l’orologio della storia e fare piazza pulita di molte delle innovazioni di Francesco, in particolare in campi come la pastorale della famiglia (c’è chi non nasconde di non aver ancora digerito la comunione ai divorziati risposati) o peggio ancora le benedizioni alle coppie gay, o anche i rapporti con le altre religioni, oppure certe fughe in avanti tuttora mal sopportate.
Il fatto che ben 108 dei 135 cardinali elettori, cioè l’80 per cento, siano stati nominati da Francesco non garantisce sul risultato finale: si tratta di un gruppo molto composito, tra cui molti non si conoscono fra loro, e che comprende anche fieri oppositori della linea di Bergoglio. Un nome per tutti, l’ex prefetto per la Dottrina della fede, Gerhard Ludwig Mueller, fiero oppositore della linea bergogliana. L’esito del Conclave è dunque molto incerto. E a parte i favoriti elencati finora dai media, è possibile che alla fine prevalga un nome del tutto a sorpresa.