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Capire la crisi Ucraina

Crisi Ucraina, ecco perché siamo sull’orlo di una guerra vera nel cuore dell’Europa

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Diciamo subito, a scanso d’ogni equivoco, che verso Vladimir Putin non abbiamo davvero simpatia. Il fatto è, però, che il Presidente parla e nessuno lo ascolta. La Russia chiede agli “occidentali” delle cose –e ciò non da oggi o da ieri, bensì da trent’anni- ma nessuno è disposto a dargliele. Di più: nessuno si cura di inviare a Mosca una qualche risposta.

Vladimir Putin. La Russia chiede alla Nato uno stop all’allargamento verso Est

Come dite? Cosa chiede la Russia? Béh, semplice se non ci si gira attorno: chiede garanzie per la propria sicurezza. Garanzie articolate su tre punti:

  1. Stop all’allargamento verso Est della NATO che, dopo aver inglobato i Paesi dell’ex “Patto di Varsavia” e le repubbliche baltiche ex-sovietiche, si accinge –secondo il punto di vista russo- ad accogliere anche l’Ucraina, che non è certo un campione di democrazia e di trasparenza. Insomma, da organizzazione militare difensiva che federava in qualche modo il “mondo libero”, la NATO sarebbe diventata oggi un’alleanza che, in una prospettiva russa che non si può certo ignorare, priva dello scopo originario, acquista sempre più evidenti caratteri offensivi. Del resto, l’annessione russa della Crimea nel 2014, si capisce in tutta la sua valenza geopolitica solo in funzione di rottura dello schema di accerchiamento NATO. 
  2. Il ritiro delle truppe NATO dai Paesi dell’Europa orientale (diciamo ex Patto di Varsavia).
  3. Infine, a 30 anni dalla fine della guerra fredda e quindi dallo smantellamento del sistema sovietico, il ritiro delle armi nucleari americane dislocate in Europa.

La Nato con la Crimea (in blu) e senza la Crimea (in rosa).

La sordità americana di fronte a queste preoccupazioni di Mosca è palese. Essa si unisce alla preoccupante incapacità dell’UE di sviluppare una sua propria Ostpolitik e, dunque, con singoli Stati che vanno per conto loro, a cominciare dalla Germania e dalla Francia. Ed alimenta altresì, quella sordità americana, una poco meno che grottesca posizione del Regno Unito che, per bocca del suo non si sa quanto affidabile Primo Ministro, minaccia sfracelli contro la Russia, facendo addirittura fare alla regina, che si trova a Buckingham Palace, la figura di essere più realista del re, che si trova alla Casa Bianca.

Tutto ciò comporta alcune conseguenze che si possono riassumere nel modo seguente:

  1. Accelerazione del riavvicinamento della Russia alla Cina.
  2. Caduta dei canali di mediazione europei e dunque dialogo sempre più diretto e perciò “difficile” di Mosca con Washington.
  3. Sostegno di Putin, se possiamo dire, alla propria voce che si perde nel deserto con azioni dimostrative come le manovre militari congiunte con la Bielorussia; la concentrazione di truppe e armamenti ai confini settentrionali e orientali dell’Ucraina e nel Mar Nero; il tentativo di rompere in ogni modo la compattezza di una NATO egemonizzata –nella visione non proprio fantasiosa di Mosca- dagli Stati Uniti.

Joe Biden. Il Presidente Usa è in crisi di leadership

Forse gli USA hanno qualche buona ragione per irrigidire la loro posizione nei confronti della Russia. La popolarità del loro Presidente è in caduta libera e un accorto uso interno della politica estera, come si sa, può ribaltare o almeno attenuare tendenze di questo tipo. Lo spauracchio del “nemico esterno”, d’altronde, sortisce anche a Washington l’effetto di unire gli opposti, democratici e repubblicani, d’accordo su poco o niente, per il resto. Infine è in ballo, notiamo, un budget militare stratosferico: 768 miliardi di $, ben 25 miliardi in più di quelli richiesti dal Pentagono, allocati dal Senato a metà del dicembre scorso.

Ucraina. Gli Usa ritengono un attacco russo imminente e potrebbero evacuare tutto il personale e chiudere l’ambasciata a Kiev

Tutto ciò si capisce. All’opposto, non si capisce quale sia l’interesse dell’Europa in questa crociata anti-russa. Il riconoscimento a Mosca di interlocutore autorevole e perfino privilegiato è assolutamente vitale per noi come per i russi: per la sicurezza non meno che per i buoni affari di entrambi. Ci chiediamo tutti, con un certo sgomento, come pensa Bruxelles di affrontare, all’interno della “Transizione Ecologica”, il capitolo delicatissimo delle politiche energetiche senza un partenariato forte e stabile con Mosca. E ciò, preferibilmente, prima delle prossime bollette che dissangueranno ancor più le nostre imprese.

Truppe sul campo. L’esercito russo è schierato da tempo

I media ci affliggono in questi giorni con immagini ridondanti e belluine, che evocano propositi di invasione russa nei confronti dell’Ucraina. Queste “notizie” alimentano quella che conosciamo bene ormai e che chiamiamo “fuzziness informativa”. Si tratta, di fatto, di “presupposizioni” che abbiamo già visto all’opera, ahimé!, in altre circostanze per motivare altre disastrose operazioni militari “preventive”: per tutte, l’invasione americana dell’Iraq. 

Certo, la fuzziness informativa non fa bene alla politica che, come in questi giorni vediamo, sembra nutrirsi ormai solo di minacce e ultimatum: ammassamenti di truppe alle frontiere NATO (cioè ai confini della Russia), sanzioni economiche, restrizioni finanziarie. E non vorremmo che, in queste condizioni, entrassero in gioco le “profezie autorealizzatrici” in forza delle quali ciò che si paventa alla fin fine si invoca e, un passo dopo l’altro, precipitasse tutti nel baratro di una guerra vera.  

Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.

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Ucraina: tre anni di guerra, centinaia di migliaia di morti… per cosa?

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Dunque, facciamo un riassunto. Tre anni fa, il 24 febbraio 2022, la Russia invadeva l’Ucraina. L’idea di Putin era chiara: una blitzkrieg, due giorni per arrivare a Kiev, eliminare il governo e sostituirlo con una marionetta del Cremlino. Facile, no? Peccato che la storia non abbia seguito il copione scritto a Mosca.

La “non-guerra” russa e l’ecatombe in corso

In Russia, guai a chiamarla guerra. È una “operazione speciale militare”, un po’ come definire il Titanic “un incidente nautico di lieve entità”. Eppure, questa non-guerra ha prodotto una ecatombe: centinaia di migliaia di soldati russi morti, oltre 80mila ucraini caduti. E queste sono solo le stime ufficiali, perché il numero reale di vittime potrebbe essere ancora più tragico.

Ma non parliamo di numeri. Parliamo di morti, di una carneficina che ha lasciato città distrutte, milioni di sfollati e un’Europa che per tre anni ha investito miliardi per difendere l’integrità territoriale ucraina, la democrazia e i principi cardine del diritto internazionale.

L’Occidente che armava Kiev (fino a ieri)

Per tre anni, l’Europa e gli Stati Uniti di Joe Biden hanno riversato in Ucraina decine di miliardi di euro e dollari, inviando armi, addestrando soldati, costruendo difese, imponendo sanzioni alla Russia e isolando il Cremlino. La NATO ha fatto il possibile per tenere l’Ucraina in vita, ma soprattutto per tenere i russi fuori dai confini europei.

E nonostante tutto, la grande Armata Rossa non ha mai sfondato. Putin ha mandato in battaglia galeotti, ha chiesto aiuto ai nordcoreani, ha arruolato mercenari, ha schierato la famigerata Wagner. Eppure, gli ucraini non hanno ceduto. Hanno preferito morire piuttosto che tornare sotto la sferza russa.

L’Unione Europea accelerava per accogliere Kiev nell’UE. La NATO era pronta a fare dell’Ucraina un suo membro. Ma poi…

Trump entra alla Casa Bianca, Putin sorride

Il 20 gennaio 2025 Donald Trump torna presidente degli Stati Uniti d’America. In meno di un mese, qualcosa cambia. Washington e Mosca riprendono a parlarsi, Trump e Putin si sentono al telefono come vecchi amici. E soprattutto, decidono che la guerra deve finire.

Come? Semplice. L’America di Trump smette di inviare armi e suggerisce che gli ucraini devono rassegnarsi a perdere pezzi del loro Paese. Niente NATO per Kiev, niente resistenza fino alla fine. E soprattutto, gli Stati Uniti vogliono le terre rare ucraine, quelle risorse minerarie fondamentali per l’industria tecnologica.

Dunque, riepiloghiamo: tre anni di guerra, centinaia di migliaia di morti, miliardi di euro investiti per difendere l’Ucraina… e ora tutto si risolve così? Trump e Putin spartiscono il Paese, gli ucraini devono ingoiare il rospo, e il mondo guarda in silenzio.

La spartizione dell’Ucraina e il nuovo ordine mondiale

Il nuovo accordo sembra scritto con un righello:

  • Un pezzo all’Ucraina (giusto per non cancellarla del tutto).
  • Un pezzo alla Russia, che si tiene le terre occupate.
  • Un pezzo agli Stati Uniti, che si prendono le risorse minerarie strategiche.
  • Un pezzo ai caschi blu dell’ONU, o a qualche “forza internazionale” che piaccia a Putin.

Nel frattempo, Trump pensa in grande: riannettere il Canale di Panama, erigere nuovi muri con il Messico, ribattezzare il Golfo del Messico in “Golfo d’America”, comprare la Groenlandia, annettere il Canada. Sì, perché gli Stati Uniti hanno bisogno di espandersi, non solo in Ucraina, ma ovunque Trump voglia lasciare il segno.

Tre anni di guerra… per cosa?

Alla fine, quello che per tre anni era stato un punto fermo – la difesa dell’Ucraina, della democrazia, dei confini europei – non conta più nulla. Si fa come decidono Trump e Putin. L’Ucraina viene smembrata. I morti? Un dettaglio di cui nessuno parlerà più.

E noi, in Europa, guardiamo in silenzio. Perché, alla fine, sembra che la storia sia scritta sempre dai più forti. E gli ideali? Quei principi che hanno giustificato tre anni di guerra, le parole sulle libertà, la sovranità, la democrazia? Tutto inutile. Basta una stretta di mano tra due uomini e il destino di una nazione cambia per sempre.

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Cremlino, è Kiev che non vuole colloqui di pace

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“Mosca è pronta a risolvere il conflitto ucraino attraverso colloqui di pace, ma Kiev rifiuta di impegnarsi in questo processo”: così il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov (foto in evidenza) commentado le parole del premier ungherese Viktor Orban, secondo cui il conflitto armato in Ucraina finirà nel 2025, “o attraverso un trattato di pace o dopo il crollo di uno dei belligeranti”. “Vladimir Putin ha ripetutamente sottolineato che siamo aperti a risolvere le nostre divergenze attraverso colloqui di pace. Tuttavia, poiché l’Ucraina attualmente si rifiuta di impegnarsi nei colloqui, continuiamo la nostra operazione”, ha detto il responsabile alla Tass. “Per noi è importante raggiungere tutti gli obiettivi che abbiamo di fronte per garantire la sicurezza del nostro Paese”, ha ribadito.

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La spia che venne dagli Usa, l’uomo di Mosca nel Donbass

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Le prime foto di lui, con il viso pixelato e abbracciato a un soldato, erano apparse sui canali di blogger militari russi il 28 ottobre, subito dopo l’operazione che lo aveva esfiltrato dal territorio ucraino. Ma oggi Daniel Martindale si è presentato a volto scoperto e mostrando i suoi documenti di americano davanti ai giornalisti a Mosca, affermando di aver operato per oltre due anni dietro le linee nemiche fornendo preziose informazioni alle truppe di Mosca nel Donbass. Ora Martindale, che ha 33 anni, dice di voler farsi una vita e una famiglia in Russia e lavorare come agricoltore.

Oltre che acquisire la cittadinanza russa. Come Edward Snowden, l’informatico e attivista statunitense già tecnico della Cia che dal 2013 vive in Russia dopo aver rivelato i dettagli di diversi programmi top secret di sorveglianza di massa del governo di Washington e quello di Londra. E non sarà certo una sorpresa se Mosca deciderà di concedere la cittadinanza anche al nuovo transfuga, che promette di diventare una importante pedina della macchina propagandistica. “Dal 2005 considero gli Usa il mio nemico”, ha dichiarato Martindale, presentatosi alla stampa in camicia arancione e un cappellino nero con visiera. Quello che accade in Ucraina, ha insistito, “è un tentativo dell’America di contenere la Russia per non permetterle di competere ad armi pari con gli Stati Uniti”.

Poi un messaggio diretto a Washington: “Se qualcosa succede a me o a qualche mio parente non sarà un incidente, ma opera delle autorità americane per costringermi a tornare negli Usa e accusarmi di tutti i peccati”. Martindale ha detto di essere stato un “missionario” in Polonia. Quando ha capito che stava per scoppiare una guerra, si è trasferito in Ucraina e, dopo essere passato per Kiev, è arrivato nel territorio della regione di Donetsk controllato dalle forze governative solo una decina di giorni prima dell’attacco russo. Da lì, ha detto, si è messo in contatto con le forze separatiste filorusse scrivendo sul loro canale Telegram. Lo stesso sistema ha utilizzato per mantenere poi i contatti con le agenzie di sicurezza russe, che gli hanno fatto arrivare un nuovo telefono cellulare con un drone.

La settimana scorsa le forze speciali della 29/a Armata hanno fatto un’incursione in territorio ucraino per farlo uscire, dopo che, sostengono i canali degli osservatori militari russi, aveva avuto “un ruolo chiave nella preparazione dell’assalto al villaggio di Bogoyavlenka”, caduto in mano russa qualche giorno fa. Anche oggi Mosca ha annunciato la conquista di nuovi villaggi, quelli di Kurakhivka nella regione di Donetsk e quello di Pershotravneve nella regione di Kharkiv, in un’avanzata nell’est dell’Ucraina che ha accelerato nelle ultime settimane. Le truppe ucraine stanno affrontando una delle più “potenti” offensive della Russia dall’inizio dell’invasione, ha detto il comandante delle forze armate, Oleksandr Syrsky. La situazione è difficile, e “le ostilità in alcune aree richiedono un costante rinnovamento delle risorse delle unità ucraine”, ha aggiunto.

Difficoltà confermate dall’intelligence militare dell’Estonia, secondo la quale solo nell’ultima settimana le forze russe hanno occupato circa 150 chilometri quadrati di territorio nella regione di Donetsk. Il presidente Volodymyr Zelensky ha denunciato massicci attacchi di droni nella notte su varie regioni, compresa Kiev, dove le autorità locali hanno parlato di incendi scoppiati in vari edifici residenziali. Due feriti sono segnalati nella capitale e cinque, di cui tre bambini, a causa di un bombardamento di artiglieria nella città meridionale di Kherson. “I costanti attacchi terroristici contro le città ucraine provano che la pressione esercitata sulla Russia e i suoi complici non è sufficiente”, ha affermato Zelensky. Le autorità russe hanno invece detto che quattro civili sono rimasti feriti in attacchi di droni ucraini sulla regione frontaliera di Kursk e uno su quella di Belgorod. Oltre a due persone rimaste ferite in un attacco di artiglieria delle forze di Kiev a Gorlovka, località nel Donetsk controllata dalle truppe di Mosca.

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