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Corona Virus

Covid: nasce progetto per proteggere pazienti immunocompromessi

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Pur rappresentando solo il 4% circa della popolazione totale, il 24% di decessi, il 22% delle ospedalizzazioni e il 28% dei ricoveri in Unita’ di Terapia Intensiva sono costituiti da pazienti immunocompromessi: questi sono alcuni dei dati emersi dallo studio INFORM, che ha dimostrato come i pazienti immunocompromessi siano a maggiore rischio di incorrere in gravi conseguenze da Covid-19 rispetto alla popolazione generale. Dai risultati italiani recentemente pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanita’ relativi agli individui vaccinati, i pazienti immunocompromessi, rispetto alla popolazione senza condizioni di rischio, presentano un rischio di ospedalizzazione correlato a Covid-19 circa 3 volte maggiore e un rischio di decesso correlato a Covid-19 quasi 4 volte superiore. Questa sottopopolazione di pazienti presenta un sistema immunitario compromesso a causa di una o piu’ patologie, e risulta quindi a maggior rischio di contrarre virus e infezioni di forma severa, necessita pertanto di essere protetta con le opzioni terapeutiche disponibili anti Covid-19 e la Profilassi Pre-Esposizione (PrEP) con anticorpi monoclonali. Per elaborare delle linee di indirizzo che possano semplificare la gestione della PrEP, dall’identificazione alla presa in carico dei pazienti immunocompromessi, e’ nato il progetto Prevention Management LAboratory (PMLAb), ideato da Dephaforum con il sostegno di AstraZeneca Italia. L’obiettivo del progetto e’ proporre un modello organizzativo condiviso a livello nazionale che possa, con il rispetto delle autonomie regionali e locali, facilitare la selezione e l’identificazione dei pazienti immunocompromessi potenzialmente eleggibili alla PrEP e aumentare la consapevolezza in merito all’importanza e al valore della PrEP di Covid-19 con anticorpi monoclonali, lavorando al contempo alla costruzione di una rete multidisciplinare di professionisti sanitari che permetta di efficientare il percorso e la presa in carico dei pazienti.

“Il virus SARS-Cov-2 continua a circolare, nonostante in questa fase endemica risulti meno pericoloso per la popolazione sana rispetto agli anni passati – spiega Stefano Vella, Professore di Metodologia della Ricerca Clinica & Global Health, Universita’ degli Studi di Roma Tor Vergata -. Questo significa che rimane oggi fondamentale proteggere soprattutto i pazienti immunocompromessi, sia quelli che nonostante il completamento del ciclo vaccinale presentano una condizione di immunocompromissione che non permette loro di sviluppare un’adeguata risposta immunitaria, sia coloro che non hanno potuto vaccinarsi per varie cause tra cui le proprie condizioni di salute. Da un’analisi del livello di anticorpi anti SARS-CoV-2 di pazienti oncoematologici che avevano completato il ciclo di vaccinazione contro il Covid-19, e’ emerso che il 55,3% non rispondeva al vaccino. Nel 2022, il 46,8% dei pazienti con malattia renale allo stadio terminale e il 24,6% di chi aveva subito un trapianto di cellule staminali ematopoietiche o un trapianto di organo solido che avevano contratto il Covid-19 sono stati ospedalizzati, contro il 3,7% della popolazione generale. Questi dati dimostrano la presenza di un bisogno non ancora soddisfatto e l’importanza della Profilassi Pre-Esposizione con anticorpi monoclonali come protezione per questa sottopopolazione di pazienti a rischio di mancata o ridotta risposta o non eleggibilita’ alla vaccinazione e quindi ad un aumentato rischio di sviluppare forma severe di infezione da SARS-CoV-2, ospedalizzazione Covid-19 correlata e morte. E’ fondamentale il ruolo del medico specialista nell’approfondire l’opportunita’ offerta dagli anticorpi monoclonali nella protezione del paziente immunocompromesso, attraverso l’informazione sulle opzioni esistenti. Al tempo stesso e’ altrettanto importante la collaborazione con la Medicina Generale nell’identificazione del paziente a rischio e nella sensibilizzazione a un confronto con lo specialista. Il progetto PMLAb ha previsto la costituzione di un team multisciplinare di esperti che ha elaborato una proposta di linee di indirizzo relative al modello organizzativo ideale per la PrEP di Covid-19 dalla presa in carico alla gestione del paziente immunocompromesso. Per tracciare anche a livello locale la gestione della Profilassi con anticorpi monoclonali, il progetto ha previsto degli incontri multidisciplinari in diverse Regioni Italiane in cui la proposta di linee di indirizzo e’ stata discussa e validata, al fine di realizzare un Documento di Consenso che tenesse conto sia dell’esperienza nazionale che regionale.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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