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Corona Virus

Covid: in autunno le vaccinazioni contro le varianti

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Sono attesi in settembre i primi vaccini attivi contro le varianti del virus SarsCoV2 e la campagna di vaccinazione potrebbe prendere il via in autunno: l’annuncio dell’Agenzia Europea dei Medicinali (Ema) rafforza la speranza di poter affrontare il ritorno della stagione fredda con nuove armi, ancora piu’ efficaci, nel combattere una pandemia che, secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanita’ (Oms), fra il 2020 e il 2021 ha ucciso nel mondo fra 13,3 e 16,6 milioni di persone. In Italia, intanto, le curve dell’epidemia cominciano a piegarsi verso il basso. Le terapie intensive si stanno svuotando, come indicano i dati della Fondazione Gimbe, che registrano un calo dei ricoveri del 10,5% nelle rianimazioni e del 6,1 nei reparti ordinari. Sempre la Fondazione rileva nell’ultima settimana un calo dei contagi dell’8,9% e dei decessi del 7%. I numeri sono pero’ ancora alti, tanto che il ministro della Salute, Roberto Speranza, e’ tornato a raccomandare di tenere alta la guardia. “Siamo ancora dentro la pandemia. Anche se e’ stato superato lo stato di emergenza – ha detto il ministro – e abbiamo strumenti importantissimi per gestire il Covid, come vaccini e farmaci, dobbiamo ancora tenere alto il livello di attenzione e la cautela”. Invita alla prudenza anche il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, per il quale la circolazione del virus SarsCoV2 “resta elevata” e “ampiamente sottostimata”. Di conseguenza, ha aggiunto, e’ “fondamentale continuare ad utilizzare le mascherine al chiuso”, indipendentemente dalle nuove misure. Quanto i numeri dell’epidemia in Italia siano alti lo indicano anche i dati giornalieri del ministero della Salute, che nelle ultime 24 ore segnalano 48.255 nuovi casi (il giorno prima erano stati 47.039) e 138 decessi (14 in meno rispetto al giorno prima). I casi positivi sono stati individuati per mezzo di 327.178 test, fra molecolari e antigenici rapidi (335.275 il giorno prima). Il tasso di positivita’ e’ passato dal 14% al 14,7%. Per quanto riguarda i ricoveri, nelle terapie intensive sono complessivamente 369, ossia 2 in meno in 24 ore nel saldo tra entrate e uscite, e gli ingressi giornalieri sono stati 32; nei reparti ordinari i ricoverati sono 9.384, ossia 230 in meno in 24 ore. Fra le regioni, l’incremento giornaliero maggiore si e’ rilevato in Lombardia, con 6.362 nuovi casi, seguita da Veneto (5.344) e Campania (5.112). Commentando i dati italiani, il fisico Enzo Marinari, dell’Universita’ Sapienza di Roma, ha osservato che “i contagi hanno avuto un piccolo rimbalzo dopo Pasqua, ma adesso nella curva si vede una discesa. In seguito a questo picco – ha aggiunto – non c’e’ stata una risalita dei decessi, che hanno continuato a mantenersi costanti. Mi aspetterei che fra una decina di giorni comincino a scendere”. In questo quadro, il ruolo dei vaccini e’ fondamentale e lo sara’ a maggior ragione quando saranno disponibili quelli progettati per contrastare le varianti del virus SarsCoV2 in circolazione. C’e’ una probabilita’ “abbastanza alta” di vedere il primo approvato entro settembre a livello Ue, ha detto il capo della task force sui vaccini dell’Ema, Marco Cavaleri. “La nostra priorita’ – ha aggiunto – e’ assicurare l’approvazione di vaccini adattati entro settembre al piu’ tardi, in modo da poter cominciare la campagna vaccinale nell’Ue in autunno”. L’Ema ha inoltre cominciato a esaminare la domanda di autorizzazione di Moderna per estendere l’uso del suo vaccino anti-Covid, lo Spikevax, ai bambini di eta’ compresa tra i 6 mesi e i 5 anni. Anche per Cavaleri la guardia va tenuta alta perche’ la “situazione nell’Ue si e’ stabilizzata, ma i casi nel mondo sono ancora milioni e la pandemia non e’ finita”. E’ importante “restare vigili in caso di un nuovo aumento dei casi il prossimo inverno”. I vaccini, ha ribadito, “sono il pilastro centrale della nostra risposta, hanno salvato oltre 500mila di vite in Europa” e il completamento del ciclo vaccinale nella popolazione “resta la priorità”.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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