Collegati con noi

In Evidenza

Controllo biometrico per i dirigenti scolastici, è questa l’urgenza del Parlamento per la scuola che cade a pezzi?

Pubblicato

del

Il disegno di legge “Concretezza” è stato approvato dalla Camera dei deputati e ora passa al Senato. È previsto il controllo biometrico per i dirigenti scolastici e per gli ATA ma non per i docenti. Probabilmente la scuola non aveva bisogno di ulteriori spaccature al suo interno. Probabilmente un sistema a legami deboli, cioè un sistema adattabile, aperto verso l’ambiente esterno, autonomo, dinamico e flessibile, come la gestione della complessità richiede, non aveva bisogno di essere ricondotto, tra l’altro solo per una sua parte, ad un paradigma di “razionalità” dove i legami vengono pensati come rigidi, dove le azioni necessarie vengono decise secondo ragione e si realizzano come si trattasse di ingranaggi di una macchina. Ai dirigenti scolastici è assegnato un ruolo preciso, di organizzazione e gestione di fenomeni complessi, al fine di implementare processi di innovazione, garantendo il costante dialogo tra ambiente interno e ambiente esterno. Rispondono quindi dei risultati raggiunti sulla base di costanti obiettivi di miglioramento. Per accertare il buon andamento dell’amministrazione e il raggiungimento degli obiettivi vengono controllati dagli organi sovraordinati e, unici nel sistema scolastico, valutati da Nuclei esterni di valutazione. I controlli non avvengono su dove sono fisicamente ma su cosa fanno. Infatti rispondono di risultati che difficilmente si possono ottenere restando chiusi in un ufficio. Tra l’altro i dirigenti scolastici di sedi ne hanno diverse, troppe, e non per loro scelta. Tutte le opportunità, oltre lo standard nazionale, che un dirigente riesce a portare nella scuola e a offrire ai propri studenti si realizzano, in sinergia con docenti e ATA, soprattutto costruendo relazioni all’esterno, con il territorio, lavorando in rete con altre realtà. Senza questo lavoro costante avremmo un incredibile impoverimento dell’offerta formativa. 

Quello che preoccupa è che ancora una volta a pagare potrebbero essere proprio gli studenti. Le forme di controllo sono fondamentali, ma devono essere quelle più idonee in base alla tipologia di lavoro. Concentriamoci allora tutti su cosa veramente serve per migliorare il servizio offerto. Non è utile attaccare e munirsi di rabbia per affrontare un problema. Occorre essere lucidi. Tutte le famiglie dovrebbero chiedere, perché è in gioco il bene dei propri figli, un’attenta valutazione pubblica del rapporto costi benefici di un intervento normativo. Quanto costa e quanto ottengo? Serve davvero? È prevista una verifica dei benefici in termini di valore aggiunto al servizio offerto? È possibile avere dati in merito? 

Qui si tratta di spendere soldi pubblici. E quali sono le reali emergenze nella scuola? Quanti milioni di euro si spenderanno e a che pro? Nel mentre gli edifici scolastici non sono quasi mai a norma, senza certificazioni e fatiscenti. Non sarebbe meglio ragionare sulla base di priorità e di opportunità? Si stanno per investire i soldi di tutti noi e io personalmente mi preoccuperei più di mettere in sicurezza i luoghi in cui i miei figli passano la maggior parte del loro tempo che di altro. Meglio un solaio crollato in meno che qualche rilevatore in più. Detto questo, poi mi chiederei se da un certo tipo di investimento c’è da guadagnare qualcosa in termini di qualità del servizio.

Che dati abbiamo in merito a questo punto? Su tutto direi che per valutare bene, per farsi un’idea di cosa sia più giusto fare, occorre studiare e conoscere una realtà. Approfondire e pretendere approfondimenti. Il sistema di valutazione dei dirigenti è stato recentemente svincolato dalla retribuzione, il che significa che, in termini di guadagno, se uno lavora bene o male non c’è differenza.

Ripristinare un valido sistema di valutazione dei risultati collegato alla retribuzione ho il sospetto che porterebbe maggiori vantaggi alla scuola di un rilevatore di presenza con impronte digitali, che neanche ai carcerati impongono, di uno (in questo caso il dirigente) che per adempiere agli impegni previsti dalla legge e dal contratto di lavoro non può anzi non deve stare obbligatoriamente in ufficio.

Certo si potrebbe immaginare di comunicare i propri spostamenti ogni volta ma sono tanti e soprattutto, molto spesso, imprevisti. Questo aggiungerebbe ulteriore farraginosità a processi già ingabbiati in un eccesso di burocrazia che notoriamente rallenta la crescita del nostro paese. Altro che smartworking!  I paesi avanzati in genere “avanzano”, qui si ha la sensazione di tornare indietro. E allora meno autonomia, minore libertà di azione ma direi a questo punto anche meno responsabilità. La conseguenza potrebbe anche essere l’impoverimento del servizio educativo e più in generale di tutta la scuola. Se ne accorgeranno per primi gli studenti, dei cui interessi qualcuno, prima o poi, dovrà preoccuparsi. Sarebbe quindi opportuno chiederlo ai fruitori del servizio, innanzitutto a famiglie e studenti, se sono queste le azioni che avevano immaginato per adeguare il servizio delle nostre scuole ai cambiamenti sociali e culturali in atto. Le mie ovviamente sono ipotesi, considerazioni che potrebbero, con dati alla mano, essere confermate o contradette. Occorre un dibattito pubblico strutturato. Forse ho posto troppe domande ma il punto è che, senza pretesa di aver ragione, qualche dubbio c’è!

Valter Luca De Bartolomeis

Dirigente dell'Istituto ad indirizzo raro Caselli - De Sanctis e della Real Fabbrica di Capodimonte. Laurea in architettura, Dottore di ricerca in Tecnologia dell'Architettura, Perfezionamento in Arredamento, Design e Grafica, Specializzazione in Disegno industriale, presso la Facoltà di Architettura di Napoli Federico II. Ha partecipato all'organizzazione e al coordinamento scientifico di workshop, seminari, mostre e convegni. Ha collaborato ad iniziative della rete nazionale SDI, Sistema Design Italia, nella Unità di Napoli "Federico II". Membro del comitato scientifico del Wd Workshop design selezione Compasso d'oro 2004 e del progetto di ricerca-azione INPORCELLANE per il comparto della porcellana di Capodimonte. Autore di numerosi libri e saggi su design e comunicazione per la valorizzazione del patrimonio culturale e del territorio. Docente di Graphic Design presso l'Accademia di Belle Arti di Frosinone.

Advertisement

Esteri

Pressing degli Usa per la tregua, Mosca attacca l’Europa

Pubblicato

del

Il faccia a faccia tra Volodymyr Zelensky e Donald Trump nella Basilica di San Pietro, fortemente sostenuto anche dalla Santa Sede, ha ridato speranza agli ucraini di ottenere una pace che non sia una resa, ma il percorso continua ad essere pieno di incognite. Kiev in questa fase rilancia gli appelli ai partner per spingere Mosca ad accettare almeno una tregua, mentre il Cremlino prova a tenersi stretti gli americani assicurando che sulla soluzione del conflitto le posizioni sono “coincidenti in molti punti”, mentre sono gli ucraini e gli europei a voler mettersi di traverso.

A Washington, tuttavia, questo stallo viene vissuto con crescente insofferenza. Ed ora la nuova richiesta alle parti in conflitto è di accettare concessioni reciproche entro la prossima settimana. I colloqui tra Zelensky, Trump e i leader dei volenterosi, a margine dei funerali del Papa, hanno in qualche modo reindirizzato la pressione diplomatica verso la Russia. Tanto che lo stesso presidente americano, nel volo di rientro da Roma, si è lasciato andare ad un’insolita sfuriata nei confronti di Putin, accusandolo di “prendere in giro” gli sforzi di pace con i suoi raid sui civili, e minacciando nuove sanzioni. Mosca ha provato a schivare questi strali rimarcando le distanze all’interno del blocco transatlantico.

Ha iniziato il portavoce di Vladimir Putin, Dmitry Peskov, assicurando che il lavoro con gli americani continua, “in modo discreto e non in pubblico”. E ricordando le convergenze tra le due potenze, a partire dall’idea che la Crimea sia russa e che Kiev non potrà mai entrare nella Nato. A rafforzare il concetto ci ha poi pensato Serghiei Lavrov. Il ministro degli Esteri ha accusato gli europei di “voler trasformare, insieme a Zelensky, l’iniziativa di pace di Trump in uno strumento per rafforzare l’Ucraina”, a dispetto delle idee della Casa Bianca. Mosca, in particolare, conta sul fatto che le rivendicazioni territoriali di Kiev, così come le garanzie di sicurezza, non interessino più di tanto a Washington.

Gli ucraini al contrario vogliono ricompattare i loro alleati. Zelensky, pur smentendo la resa nel Kursk, ha ammesso che la situazione al fronte è difficile per gli incessanti raid russi ed ha sottolineato che il nemico insiste nell'”ignorare la proposta degli Stati Uniti di un cessate il fuoco completo e incondizionato”. Nel frattempo il leader ucraino ha continuato a tessere la sua tela diplomatica. Così, in occasione dei funerali del Papa, ha cercato la sponda dei partner, ma anche del Vaticano. Come dimostrano gli incontri con il segretario di Stato Pietro Parolin ed il presidente della Cei Matteo Zuppi, che in passato erano stati mandati da Papa Francesco in missione a Kiev e l’arcivescovo di Bologna anche a Mosca.

Al termine dei quali Zelensky si è detto “grato per il sostegno al diritto all’autodifesa dell’Ucraina e anche al principio secondo cui le condizioni di pace non possono essere imposte al paese vittima. In seguito, l’ambasciatore ucraino, Andrii Yurash, ha fatto sapere che anche il faccia a faccia Zelensky-Trump ha “avuto il sostegno della Santa Sede: di tutti, non di una persona in particolare”. E se una trattativa diretta tra Mosca e Kiev ancora non appare all’orizzonte, gli Stati Uniti provano a stringere i tempi. “Questa settimana – ha spiegato il segretario di Stato Marco Rubio – cercheremo di determinare se le due parti vogliono veramente la pace e quanto sono ancora vicine o lontane dopo circa 90 giorni di tentativi”. E l’avvertimento è chiaro: “L’unica soluzione è un accordo negoziato in cui entrambi dovranno rinunciare a qualcosa che affermano di volere e dovranno dare qualcosa che non vorrebbero dare. In questo modo si mette fine a una guerra e questo è quello che stiamo cercando di fare”.

Continua a leggere

Esteri

Verso summit con Trump, von der Leyen sente Meloni

Pubblicato

del

Le poche parole scambiate sul sagrato di San Pietro sono bastate a riaprire un canale che sembrava chiuso. Dalla stretta di mano fra Ursula von der Leyen e Donald Trump, a margine dei funerali del papa, a Bruxelles si è cominciato a lavorare per trasformare una promessa informale in un incontro ufficiale. Appena rientrata da Roma, la presidente della Commissione europea ha sentito la premier Giorgia Meloni per fare il punto su “tutte le questioni di interesse comune attuale” e coordinarsi sui dossier più urgenti del sostegno all’Ucraina e dei dazi. E, dietro le quinte, i pontieri Ue lavorano per definire i tempi e le condizioni migliori di un appuntamento che potrebbe riannodare i fili dei rapporti transatlantici. Il calendario offre a von der Leyen due occasioni certe per incrociare Trump, entrambe a giugno: il G7 di Calgary e il vertice Nato all’Aja. Ma a Palazzo Berlaymont si punta ad accorciare i tempi.

Se il negoziato su Kiev e le garanzie di sicurezza dovesse accelerare, i giorni successivi al 16 maggio – quando Trump concluderà la visita in Arabia Saudita e potrebbe incontrare Vladimir Putin (si è parlato anche di Istanbul come sede del loro confronto) – potrebbero rappresentare la finestra giusta per una tappa continentale del presidente statunitense e il primo vero faccia a faccia con von der Leyen, magari a Bruxelles. Roma, la cornice immaginata al rientro da Washington di Meloni, sarebbe sostanzialmente sorpassata come ipotesi ma “poco cambia, l’importante non è dove si farà ma il risultato”, dicono dal suo entourage, ricordando che dalla missione alla Casa Bianca la premier era riuscita a ottenere la disponibilità del tycoon a valutare un incontro Ue-Usa. Nei corridoi delle istituzioni comunitarie si sottolinea che non c’è alcuna intenzione di escludere la premier italiana, anzi: se creerà uno spazio di dialogo, sarà valorizzato.

Ma se l’occasione dovesse maturare in altro modo, l’Ue è pronta a coglierla, consapevole della necessità di chiudere sui dazi entro giugno. A Bruxelles si ragiona comunque con realismo, sapendo che quando Trump attraversa l’Atlantico lo fa seguendo logiche e priorità sue. Anche per questo non è esclusa l’ipotesi di una missione di von der Leyen a Washington per guidare in prima persona una trattativa commerciale che – per competenza – spetta esclusivamente alla Commissione. Uno scenario che avrebbe i contorni del déjà-vu: nel luglio 2018, Jean-Claude Juncker volò alla Casa Bianca per fermare la tempesta commerciale in corso e bloccare la minaccia di dazi sulle auto europee dopo che Washington aveva già colpito acciaio e alluminio. Un confronto teso, ma alla fine produttivo.

Nello Studio Ovale, l’ex presidente Ue riuscì a strappare un accordo che portò al congelamento di nuovi dazi, alla cooperazione sui regolamenti tecnici e a spalancare le porte del mercato europeo al gnl americano. Tutti temi che, a distanza di sette anni, sono di nuovo sul tavolo Ue-Usa accanto all’impegno europeo di acquistare più armi americane, al pressing per far salire la spesa militare continentale e alla sfida sul terreno strategico della Big Tech. La Casa Bianca, dal canto suo, ha pronta una roadmap per velocizzare le trattative con i governi di tutto il mondo sui dazi reciproci annunciati nel Liberation day. L’amministrazione Trump, stando alle indiscrezioni del Wall Street Journal, punta a trattare con i 18 principali interlocutori muovendosi lungo quattro direttrici: dazi, barriere non tariffarie, commercio digitale, sicurezza economica. E i colloqui proseguiranno a rotazione con ciascun partner fino alla scadenza della tregua, l’8 luglio. Senza accordi – e salvo nuovi capovolgimenti -, le sovrattasse scatteranno.

Anche in questo quadro potrebbe aprirsi lo spazio per un incontro fra l’Europa e gli Stati Uniti. Per ora il negoziato resta nelle mani degli esperti, impegnati a preparare il terreno per la ripresa “quando opportuno” dei contatti politici e abbozzare un’intesa di principio. Il lavoro, è l’ammissione di Bruxelles, “è ancora molto”. L’esito resta incerto. Per questo il piano B è già predisposto: i contro-dazi Ue sui prodotti iconici Usa sono pronti a partire il 14 luglio. E il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, lavora a un possibile vertice straordinario a 27 nell’ultima settimana di maggio, quando anche Berlino avrà il suo nuovo cancelliere, Friedrich Merz.

Continua a leggere

In Evidenza

Corsa al Coni, domani altro incontro tra i n.1 federali

Pubblicato

del

Un ‘conclave’, seppur sportivo, la cui fumata bianca sembra ancora lontana. Appuntamento a domani pomeriggio, a Palazzo H, per il secondo incontro tra i presidenti federali e il n.1 del Coni, Giovanni Malagò, dopo quello andato in scena già prima di Pasqua.

Sul tavolo ci sono le elezioni presidenziali del comitato olimpico nazionale italiano con l’obiettivo di convergere all’unanimità, o quasi, verso un nome che possa rappresentare gli organismi sportivi per il prossimo quadriennio. Le elezioni sono fissate per il 26 giugno al CPO Giulio Onesti, le candidature potranno esser presentate fino al 5 di giugno e oggi sono tre i nomi: quello di Luciano Buonfiglio (presidente Federcanoa), Luca Pancalli (n.1 Cip in uscita) ed Ettore Thermes (velista e unico ad aver già oggi depositato la candidatura). E mentre Sport e Salute sembra stare alla finestra perché l’obbiettivo naturale è quello di una collaborazione con il Coni del futuro, nella riunione di domani i presidenti entreranno più nel vivo del dibattito.

Una parte di loro appoggia la candidatura di Buonfiglio anche se nessuno si sbilancia ancora sul n.1 FICK, nemmeno Malagò, che continua a tessere la tela e comunque per il suo ruolo Cio farà parte della prossima Giunta, a prescindere dall’eventualita’ che in caso di successo del suo candidato gli venga riconosciuto un ruolo onorifico, come fu per Nostini. Insomma, si attende domani; non si può escludere che esca anche un altro nome, ancora riservato, ma sempre interno al mondo federale verso il quale confluire i voti. Di contro c’è Pancalli, la cui candidatura, in questo momento, resta, seppur silenziosa, dopo il suo annuncio di voler concorrere alla poltrona Coni.

Dai primi exit poll se le elezioni fossero oggi e i candidati quelli citati, Buonfiglio sarebbe in vantaggio sul n.1 Cip, ma in due mesi possono succedere ancora tante cose e a fare da sfondo c’è sempre l’augurio di Gianni Petrucci, presidente FIP, a prescindere da chi sarà il prossimo presidente Coni. “Mi auguro che il successore di Malagò porti a una rappacificazione in Consiglio Nazionale perché abbiamo bisogno anche di Barelli e Binaghi”, aveva detto in occasione dell’ultima riunione, per un aspetto che potrebbe avere anche un peso nella scelta di quale candidato appoggiare il prossimo 26 giugno.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto