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Politica

Conte prende tempo ma Pd, subito Recovery in Cdm

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Lascia che le polveri si posino, Giuseppe Conte. Non sembra disposto a cedere la delega ai Servizi, come gli chiedono Pd e Iv. E per ora non apre – ma non lo esclude piu’ – il dossier rimpasto. Rimette in fila le richieste dei partiti di maggioranza e si prepara ad affrontare, con una bozza di programma davanti, il vertice con i leader che potrebbe far entrare nel vivo la verifica di governo. Se tutto andra’ bene, sintetizza un renziano, l’esito potrebbe essere la nascita di un “Conte ter”, se tutto va male del “Draghi 1”. Se tutto va male, “si va al voto”, ribatte invece Andrea Orlando. Ma in queste ore tra i Dem come dentro Iv, con toni ben diversi, a prevalere e’ l’irritazione per il passo felpato del premier. Nicola Zingaretti ribadisce la richiesta fatta pervenire anche in privato a Conte dai ministri Dem: portare in Consiglio dei ministri al piu’ presto – magari nella riunione che potrebbe tenersi mercoledi’ – la bozza aggiornata del Recovery plan da inviare in Parlamento. Il rischio – avverte il Pd – e’ arrivare in ritardo all’appuntamento con l’Europa. Ma Matteo Renzi quel piano chiede di riscriverlo: senza un accordo il passaggio in Cdm sarebbe a forte rischio spaccatura. E’ carico di tensioni il giorno dopo il varo del decreto che rende il Natale “zona rossa”. Zingaretti interviene a rivendicare la scelta del Pd di spingere per la linea dura e chiedere in Cdm ristori immediati. E sotto traccia trapelano perplessita’, tra le truppe parlamentari, per la deroga voluta da Conte che consente di muoversi in due, in tutto il periodo natalizio, nel territorio della propria Regione per andare in case private: “Impossibile controllare, e’ chiaro che si offre la scorciatoia per cenoni e veglioni con amici e parenti”, osserva un senatore Dem. E le foto degli assembramenti nelle vie dello shopping fanno intravedere lo spettro della terza ondata dei contagi, che renderebbe ancor piu’ difficili i primi mesi del 2021. Per affrontare una crisi che, come ammesso da Conte, minaccia di mordere fino a tutto il 2022, e’ urgente mettere in sicurezza il Recovery plan. “Bisogna approvare presto la bozza, avviare il percorso parlamentare e coinvolgere il Paese nelle scelte strategiche sul futuro”, ribadisce Zingaretti. I ministri Dem sperano in convocazioni a breve, che consentano di portare la bozza sul tavolo del preconsiglio previsto martedi’ e in Cdm mercoledi’. Ma per ora tutto tace. Anche in casa Iv ribadiscono che non daranno il via libera a bozze non condivise: disponibili a parlare di una struttura di missione (senza supermanager) anche a Palazzo Chigi, per monitorare l’attuazione, ma prima vanno rivisti i saldi. Agli atti resta l’ultimatum di Matteo Renzi: senza risposte entro i primi giorni di gennaio, Iv aprira’ la crisi. Gli alleati provano a stemperare: i vertici M5s, alle prese con gruppi parlamentari sempre piu’ in fibrillazione, riuniscono gli Stati generali tematici, per puntare i fari sui temi. Dal Pd Orlando torna a invocare “un nuovo metodo di lavoro del governo” e un “cronoprogramma”. Il Nazareno non mette in discussione Conte ma se si sta ancora fermi, avverte il vicesegretario Pd, il rischio di un “incidente parlamentare” che faccia saltare il governo e’ sempre piu’ forte. Le prossime due settimane serviranno al premier per provare a mettere d’accordo i leader di maggioranza su un rinnovato patto di legislatura. Ma il passaggio risolutivo – osservano dirigenti di tutti i partiti – potrebbe essere un rimpasto corposo, con figure di primo piano dei partiti in ministeri di peso, accompagnato da un (rischioso) voto di fiducia in Parlamento che porti alla nascita di un “Conte ter”. Per ora, sotto i riflettori c’e’ la delega ai Servizi segreti. Conte l’ha tenuta per se’ e, spiega piu’ di un ministro, non sembra intenzionato a cederla, nonostante il pressing sempre piu’ forte di Iv e Pd. C’e’ chi non esclude – ma ad ora pare poco piu’ di un auspicio – che il premier alla fine scelga di delegare una figura tecnica, come un ambasciatore o consigliere di Stato. Ma tra i Dem c’e’ chi, come Enrico Borghi, dice apertamente che la delega dovrebbe andare al Pd. Tra i nomi circola quello del ministro della Difesa Lorenzo Guerini, che frena: “E’ legittimo parlarne – dice – ma e’ il presidente del Consiglio a decidere”.

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Napoli

De Luca: Manfredi smentisca consulenze a docenti Federico II

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Il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, chiede al commissario di Bagnoli, vale a dire il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, di smentire quanto “sostengono gli esponenti di Fratelli d’Italia di Napoli in merito alle consulenze a docenti della Federico II”. “Io suggerirei al commissario di smentire queste illazioni oppure di fornire l’elenco delle consulenze date a docenti della Federico II per stroncare e bloccare eventuali speculazioni”, ha sottolineato De Luca.

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In Evidenza

Ancora un Commissario: per il granchio blu e per la peste suina

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Parola mantenuta sul decreto di sostegno all’agricoltura preannunciato, a metà marzo a Roma, dal ministro Francesco Lollobrigida alla Conferenza organizzativa della Cia-Agricoltori Italiani, e frutto della collaborazione di più ministeri, – a partire da Difesa, Ambiente, Salute, Turismo – , nonché di ulteriori confronti con tutte le organizzazioni di rappresentanza del settore primario. Oggi ha preso forma in dodici articoli e verrà presentato la prossima settimana in Consiglio dei ministri. Al traguardo di un working in progress reso noto in più occasioni dallo stesso ministro Lollobrigida, ma senza fornire i dettagli sulle misure di aiuto “per rispetto – ha detto – del Cdm dove verrà discusso”. L’obiettivo dichiarato, durante la 75/ma assemblea di Fruitimprese, è quello di affrontare non solo le situazioni critiche ma anche per mettere in campo una strategia volta a migliorare i controlli del settore e altre questioni che riguardano “un mondo che deve essere protetto, salvaguardato e promosso”, ha sottolineato Lollobrigida.

Stando all’ultima bozza del provvedimento, il dl Agricoltura di prossimo varo prevede aiuti alle imprese danneggiate dalla guerra in Ucraina ma anche dal proliferare del granchio blu per cui arriva un commissario straordinario nazionale in carica fino al 2026, o per i produttori colpiti dalla “moria dei kiwi”, oltre a nuovi interventi per arginare la peste suina e il rafforzamento del contrasto alle pratiche sleali. E per limitare l’uso del suolo agricolo si dispone che “le zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici sono aree non idonee all’istallazione degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra”. La società “Sistema informatico nazionale per lo sviluppo dell’Agricoltura – Sin Spa” viene incorporata nell’Agenzia per le erogazione in Agricoltura, Agea.

Inoltre per far fronte alla complessa situazione epidemiologica derivante dalla diffusione delle Peste suina africana (Psa) i piani di contrasto al proliferare dei cinghiali lungo l’intera Penisola verranno attuati anche mediante il personale delle Forze armate, previa frequenza di specifici corsi di formazione e mediante l’utilizzo di idoneo equipaggiamento. Sarà coinvolto un contingente di massimo 177 unità, e per un periodo non superiore a 12 mesi, con spese a carico, viene precisato nel testo, del Commissario straordinario preposto al contrasto Psa.

Il decreto guarda anche al settore pesca e dell’acquacoltura per contenere gli effetti della crisi economica conseguente alla diffusione del granchio blu. Le imprese della comparto che nel 2023 hanno subito una riduzione del volume d’affari, pari almeno al 20 per cento rispetto all’anno precedente, previa autocertificazione potranno avvalersi della sospensione per 12 mesi delle rate dei mutui e degli altri finanziamenti a rimborso rateale, cambiali agrarie comprese. “In questo provvedimento – ha sottolineato Lollobrigida uscendo da Palazzo Chigi – ci saranno alcune delle cose che avevamo garantito. Sul granchio blu abbiamo fatto molto, e bisogna fare ancora di più: bisogna avere una strategia di carattere italiano ed europeo non solo per arginare i danni che vengono provocati ma anche per trovare una soluzione definitiva”.

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Politica

Pichetto: norme per il nucleare entro la legislatura

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Entro questa legislatura, il governo Meloni vuole varare tutta la normativa necessaria per reintrodurre il nucleare in Italia. Questo perché i primi reattori a fissione di 4/a generazione, quelli su cui punta l’esecutivo, dovrebbero andare in produzione alla fine del decennio. E per quella data, il governo vuole avere pronto il quadro giuridico per installarli e farli funzionare. Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, ha annunciato i suoi obiettivi in una intervista a Radio 24. Alla domanda del giornalista se entro la legislatura potrà essere cambiato il quadro legislativo sul nucleare, Pichetto ha risposto “sì. Io ce la metto tutta. Questo è il mandato del governo e del Parlamento”.

Il ministro ha spiegato più volte che non vuole tornare alle grandi centrali, come in Francia, ma puntare sugli “small modular reactors”, il nucleare di 4/a generazione: in pratica, motori di sommergibili chiusi dentro cilindri di metallo, economici e facili da costruire e da gestire. Quattro moduli da 100 megawatt, installati insieme, forniscono l’elettricità di una centrale a gas. Secondo Pichetto, potrebbero essere direttamente i consorzi industriali a farsi la “loro” centrale. Ma i tempi per avere i piccoli reattori modulari, ha spiegato oggi il ministro, “sono 2, 3, 4 anni, il prodotto non c’è ancora.

Si parla di avere le condizioni di produzione di questi piccoli reattori alla fine di questo decennio. Vuol dire che in questa legislatura dobbiamo avere tutto a posto” dal punto di vista giuridico. Pichetto il 27 aprile ha incaricato il giurista Giovanni Guzzetta di di costituire un gruppo di lavoro per ridisegnare tutta la normativa sul nucleare in Italia, in vista del ritorno delle centrali atomiche nel nostro paese. La questione non è secondaria.

Dopo l’abbandono del nucleare nel 1987, nel nostro Paese non c’è più una disciplina sulle autorizzazioni degli impianti e sul loro funzionamento. E non ci sono neppure le fondamentali normative sulla sicurezza. Senza leggi e regolamenti, non si possono riaprire le centrali. Il ceo di Newcleo, la principale società italiana per il nucleare, Stefano Buono, giorni fa fa ha dichiarato che “se il quadro normativo verrà stabilito rapidamente, potremmo prevedere di dispiegare i primi Small Modular Reactors in Italia entro il 2033”. Ma il rinnovo delle regole non è l’unico problema.

Gli italiani hanno detto no al nucleare due volte, con i referendum del 1987 e del 2011. Il governo sostiene che questi no non sono più validi, perché si riferiscono alle grandi centrali di 3/a generazione, e non agli small modular reactors. Ma l’opposizione all’atomo resta forte nel Paese: l’opposizione di sinistra è contraria, e così gli ambientalisti, convinti che il nucleare sia inutile e costoso, e che occorra invece puntare sulle rinnovabili. In caso di ritorno all’atomo, un nuovo referendum è un’ipotesi tutt’altro che improbabile, e dall’esito incerto. E poi c’è la questione del deposito nazionale delle scorie nucleari, mai realizzato da decenni, per le fortissime opposizioni popolari. Pichetto ha detto che punta a individuare il sito entro la legislatura, fra le 51 ipotesi individuate dalla Sogin (la società pubblica per lo smantellamento delle centrali), in Piemonte, Lazio, Basilicata, Puglia, Sicilia e Sardegna.

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