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Conte lancia tregua sul Mes: si deciderà solo alla fine

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“Non ha senso ora discutere del Mes”. E’ tutta in questa frase la tregua che, alla fine di una giornata logorante sui mercati (con lo spread che tocca un massimo di 245 punti base), Giuseppe Conte lancia a Pd e M5S. Tregua necessaria, perche’ sul fondo salva-Stati il governo rischia di finire nel baratro. Il capo del governo lo sa. Come sa che mostrare all’Europa una maggioranza sfilacciata gia’ prima di sedersi al tavolo del Consiglio Ue e’ controproducente. “La trattativa e’ in corso, e’ inutile esporsi prima”, spiega una fonte molto vicina al dossier europeo poco prima che Conte invii alla maggioranza la sua proposta di tregua. Gia’ nella mattinata era chiaro un dato: il presidente del Consiglio aveva deciso che era meglio evitare la conta in Parlamento prima del Consiglio Ue. Martedi’, alla Camera, e’ prevista un’informativa – e non le comunicazioni – di Conte. Nessuna risoluzione di maggioranza e d’opposizione quindi, con un semplice “escamotage”: la riunione dei leader Ue del 23 aprile e’ straordinaria, non sovrapponibile ai Consigli Ue convocati. Da qui la possibilita’, per il premier, di fare un’informativa. Lega e Fdi, gia’ in capigruppo a Montecitorio, protestano. “Vogliamo un voto in Aula subito, per il Colle e’ tutto normale?”, sbotta Matteo Salvini rilanciando la sua battaglia anti-Mes. Battaglia in cui, tra l’altro, si e’ sfilato nettamente Silvio Berlusconi. “Non mi interessa, dica cio’ che vuole”, taglia corto l’ex ministro. Che tuttavia, nel pomeriggio, tiene una riunione con i suoi alla Camera per fare, evidentemente, il punto sulla strategia. L’evitare il voto in Aula e’ al momento l’unica strada per non spaccare la maggioranza. M5S e Pd viaggiano su binari paralleli.

“E’ un successo aver ottenuto il Mes senza condizionalita’”, sottolinea il capogruppo Dem Graziano Delrio. “Lui va alla cieca contro la linea del governo”, ribatte il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano solo poche ore dopo che Vito Crimi, dalle pagine del Fatto Quotidiano, quasi evocava una fiducia: “serve che il Pd chiarisca al Paese perche’ ha cambiato posizione”. La situazione, con il passare delle ore, si aggroviglia. Anche il presidente della Camera Roberto Fico interviene contro il Fondo spiegando che lui, al momento, “non si fiderebbe” del Mes. Tra i Dem, spiega una fonte di maggioranza, c’e’ irritazione anche perche’, sostenendo che il Mes abbia delle condizionalita’, i 5 Stelle confutano la linea tenuta da Roberto Gualtieri all’Eurogruppo. Il rischio slavina e’ dietro l’angolo. Ed e’ qui che il premier interviene, sentendo prima i due capidelegazione di Pd e M5S, e poi lanciando la sua proposta: “e’ inutile disquisire del Mes ora. Se ci saranno condizionalita’ o meno lo vedremo alla fine”, scandisce. Al Consiglio Ue il premier vuole andare con le carte coperte e senza la “zavorra” di una spaccatura in Aula della sua maggioranza. Anche perche’ la partita e’ lunga e sul tavolo vedra’, da un lato il Mes “light”, dall’altro i “coronabond”. “Prima c’e’ la battaglia perche’ non ci siano condizioni vessatorie di alcun tipo, poi si decidera’”, spiega Conte E, sottolinea, allora ci sara’ un voto dell’Aula. “Questa discussione dovra’ avvenire in modo pubblico e trasparente, dinanzi al Parlamento, al quale spettera’ l’ultima parola”. Parlamento che il giorno dopo il Consiglio Ue votera’ il nuovo scostamento di bilancio per il decreto aprile. La tregua ha effetto. “Non e’ il tempo di posizioni pregiudiziali, da Conte parole ragionevoli”, sottolinea Dario Franceschini. “Piena fiducia in Conte”, gli fa eco Alfonso Bonafede mentre, poco prima, anche Luigi Di Maio ammoniva: “la maggioranza giochi da squadra”. Del resto, il Mes tormenta al suo interno lo stesso Movimento: l’ala filo-sovranista lo considera alla stregua del diavolo, l’ala piu’ governativa la pensa, di fatto, come Conte. Un primo voto sul Mes – e sugli eurobond – si avra’ venerdi’ all’Europarlamento sulla proposta dei partiti di maggioranza. E, nelle prossime ore, gli eurodeputati si riuniranno per decidere la linea: il rischio che si opti per un’astensione che non spacchi il gruppo e’ alto.

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Politica

L’Italia a giudizio alla Cedu per la legge elettorale

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L’Italia dovrà spiegare all’Europa se le diverse modifiche apportate negli ultimi anni alla legge elettorale hanno violato la libertà di voto dei cittadini: la Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha ammesso il ricorso avanzato dall’ex segretario dei Radicali italiani Mario Staderini e da alcuni cittadini secondo i quali proprio quei cambiamenti hanno comportato la violazione dei diritti nelle elezioni politiche del settembre 2022, quelle vinte da Giorgia Meloni. L’accoglimento del ricorso risale a febbraio ma la notizia si è diffusa oggi e ora il governo ha tempo fino al 29 luglio per replicare. Palazzo Chigi sta preparando la memoria difensiva: “la Cedu ha posto delle questioni – dice il sottosegretario Alfredo Mantovano – e si sta lavorando. Ovviamente riteniamo il ricorso non fondato”.

Il ricorso è stato depositato alla fine di gennaio del 2023 da Staderini – segretario dei Radicali Italiani dal 2009 al 2013 – e da diversi cittadini: alle elezioni del 2022 in circa 500 sono andati ai seggi verbalizzando il loro dissenso e spiegando le ragioni dell’astensione. E quella documentazione è alla base della richiesta alla Cedu, che riguarda “l’instabilità della legge elettorale e la compatibilità” del Rosatellum “con il diritto a libere elezioni, garantito dall’articolo 3 del protocollo 1 della Convenzione europea dei diritti umani”. “Negli ultimi 20 anni – sottolinea Staderini – ci hanno costretto ad eleggere parlamenti con leggi incostituzionali o introdotte e modificate a ridosso del voto, ingenerando l’idea che i sistemi elettorali siano uno strumento che chi esercita il potere manovra a proprio favore e che il voto dell’elettore serva a poco. Prima il Porcellum, poi il Rosatellum, domani chissà cosa”.

Lo individua il deputato di Alleanza Verdi e sinistra Angelo Bonelli, il ‘cosa’: la decisione della Cedu “mette in seria discussione il premierato voluto da Meloni”. Nel ricorso si afferma che prima delle elezioni del 2022 il sistema elettorale è stato modificato tre volte: con la legge costituzionale numero del 2019 che ha ridotto il numero dei parlamentari, con la legge 177 del dicembre 2020 sulla redistribuzione elettorale e con la legge del giugno 2022 che ha esentato alcuni partiti all’obbligo di raccolta delle firme per la presentazione delle liste a livello nazionale. Quanto alle modalità di voto, dicono ancora i ricorrenti, un articolo del Rosatellum contrasta con il principio della libertà di voto: in sostanza non consente di esprimere il voto separato, vale a dire dare al proporzionale una preferenza per una lista o coalizione diversa da quella indicata nel maggioritario. Ed inoltre, nel caso in cui il cittadino voti solo per il candidato nel maggioritario, il suo voto viene assegnato automaticamente alla lista o alla coalizione nel sistema proporzionale. Alla luce di ciò, la Cedu ha formulato tre domande al governo. La prima si concentra sulle modifiche apportate nel 2019, 2020 e 2022, “queste ultime introdotte solo 3 mesi prima delle legislative” osserva la Cedu, che vuole sapere se “i cambiamenti al sistema elettorale hanno minato il rispetto e la fiducia dei ricorrenti nell’esistenza di garanzie di libere elezioni”.

In seconda battuta la Corte chiede se il Rosatellum, “impedendo agli elettori di votare nel sistema proporzionale per una lista o coalizione diversa da quella scelta nel sistema maggioritario e attribuendo automaticamente il voto espresso nel sistema maggioritario alla lista o coalizione corrispondente nel sistema proporzionale, ha violato il diritto dei ricorrenti di esprimersi liberamente sulla scelta del corpo legislativo in libere elezioni”. Ed infine, i giudici vogliono sapere se i cittadini hanno la possibilità di introdurre un ricorso “effettivo” davanti alle istanze nazionali, come prevede l’articolo 13 della convenzione europea dei diritti umani, se ritengono violati il loro diritto a libere elezioni.

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Giorgetti: ripresi 15 miliardi di truffe su 215 di Superbonus

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“Con le indagini fatte dalla Guardia di Finanza abbiamo già recuperato più di 15 miliardi richiesti indebitamente allo stato come crediti fiscali” nell’ambito del Superbonus. Lo afferma il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sottolineando che “di quei 215 miliardi 15 in qualche modo ne usciranno, ma al netto delle truffe dobbiamo tornare alla normalità, dobbiamo tornare sulla terra”. “Io – prosegue – ricordo che oggi in Italia è ancora previsto un beneficio del 70% per chi ristruttura la propria abitazione. Qual è quella nazione in Europa o al mondo che offre lo stesso beneficio?”. “A tutti quelli che si lamentano e contestano – aggiunge – inviterei a fare questa valutazione”.

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Scontro sul tax credit, il cinema ostaggio dei partiti

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A Cannes, assicura l’opposizione, non si parlerebbe d’altro: il contenuto del decreto di riparto del fondo cinema che starebbe “avendo effetti devastanti sulla promozione del cinema italiano” al festival del cinema. Dove, si sostiene, monta la preoccupazione per il taglio di circa 130 milioni di euro al tax credit così come il raddoppio dei contributi selettivi che “riportano il sistema di finanziamento della produzione audiovisiva indietro nel tempo con lungaggini, burocrazia e il rischio di politicizzazione delle scelte da parte di commissioni nominate dalla politica senza ancora nessuna indicazione sulle modalità di scelta dei commissari”.

Una politica che “non sta passando inosservata agli operatori internazionali” sostiene il Pd che punta l’indice contro “l’occupazione degli istituti culturali che sta portando avanti il ministro Sangiuliano” e che gli fa temere che “che anche nel cinema vengano nominati gli amici degli amici e i compagni di partito”. Un’accusa che il partito della premier e del ministro della Cultura rimanda dritto contro l’opposizione.

La Riforma Sangiuliano è “una cesura con l’amichettismo e l’autoreferenzialità, che fanno il paio con sale vuote e tasche piene, ma solo di qualche organico al conformismo rosso. Comprendiamo le critiche della sinistra, che nel solco di un ‘taxi’ credit per i propri amici difende schemi e retaggi di potere che però non hanno fatto il bene del settore” ribatte Alessandro Amorese, capogruppo di FdI in commissione Cultura della Camera che palude a “questa ulteriore svolta, in linea con un’epoca nuova” inaugurata dal ministro.

Di certo la Riforma Sangiuliano preoccupa gli operatori. In un appello congiunto, 10 associazioni di rappresentanza degli autori, registi, produttori chiedono al ministro di garantire la “massima competenza e professionalità nelle commissioni” che selezioneranno le opere ammesse agli investimenti dopo il “sensibile aumento dei fondi selettivi a discapito di quelli automatici e del tax credit”.

Agici, Air 3, Anac, Unione produttori Anica, Asifa, Cartoon Italia, DocIt, Unita e Wgi- temono la discrezionalità delle scelte delle Commissioni che si troveranno “a decidere di una cifra quasi doppia rispetto agli anni precedenti, cifra nella quale rientra anche una voce inedita che monopolizza circa il 60% del totale delle risorse, voce relativa a Opere su personaggi e avvenimenti dell’identità” culturale italiana.

Prova a correre ai ripari il Pd presentando in Commissione una risoluzione per potenziare i finanziamenti all’industria audiovisiva ed arginare gli effetti del decreto “sulla capacità del nostro sistema di attrarre i grandi investimenti internazionali”. Tra le misure proposte, il potenziamento dei finanziamenti e il tax credit per l’industria del cinema, la promozione di iniziative a sostegno del comparto da rilanciare, tra l’altro, con la riduzione del biglietto di accesso in sala ai giovani tra i 14 e i 18 anni.

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