Collegati con noi

Economia

Con ‘Case green’ si stimano lavori per 270 miliardi

Pubblicato

del

In pochi anni tra 5,5 e 7,6 milioni di edifici tra privati pubblici che sono in condizioni energetiche scadenti dovranno essere riqualificati in Italia. Oscillano le stime fornite da Fillea Cgil e Unimpresa per gli immobili nelle classi più basse (F e G), all’indomani del via libera alla Direttiva europea sulle case green che punta a ridurre le emissioni di gas serra e il consumo di energia per portare il settore a zero emissioni al 2050. Unimpresa stima che la spesa per ristrutturare tre abitazioni su cinque è di 270 miliardi. E’ un intervento che “va valutato con molta cautela – avverte il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto – perché alcuni step di vincolo al 2030 e al 2040 sono di difficile raggiungimento per il nostro paese, con immobili datati e per la proprietà diffusa”.

Bisognerà quindi fare “una scala di priorità degli interventi che vanno dalle pompe di calore al doppio vetro e con una programmazione” ha aggiunto il ministro sottolineando che la direttiva “è un vincolo di Stato, non per i singoli”. E lo Stato avrà due anni di tempo. La direttiva “non pone obblighi diretti per i proprietari”, rivendica Confedilizia chiedendo al governo che nella prossima legislatura europea modifichi in termini ancora più favorevoli per il nostro Paese il testo della direttiva. Il Codacons calcola che gli interventi di riqualificazione energetica hanno un costo medio tra 35mila e 60mila euro ad abitazione; solo per la sostituzione della caldaia con una di nuova generazione la spesa può arrivare a 16mila euro.

Il sindacato degli inquilini Sunia osserva che “non sarà un’operazione indolore per migliaia di famiglie, in gran parte con redditi non adeguati. Per questo chiede di “attivare vere politiche di sostegno soprattutto per le famiglie meno abbienti e verso gli Enti che gestiscono i patrimoni di edilizia residenziale in locazione”. Critiche alla direttiva sono arrivate, tra le altre, dal presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana secondo cui “è una follia inaccettabile, soprattutto che non si tenga conto della realtà dei diversi Paesi e della realtà sociale” visto che “una gran parte della nostra società non può rispettare questi termini”.

La Regione Lombardia nel 2023 “ha investito 12 milioni di euro per consentire a oltre 3.000 famiglie di sostituire gli impianti termici più inquinanti” ha spiegato l’assessore all’Ambiente Giorgio Maione rilevando che alla luce del successo “nel 2024 raddoppiano la cifra”. Il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Tommaso Foti, assicura l’impegno per “non impattare sulle tasche degli italiani”, criticando la direttiva come un “testo che ricalca le follie estreme d’impronta ambientalista, regalo di addio del commissario olandese, Frans Timmermans”. Per il leader di Azione Carlo Calenda è “l’ennesima direttiva impraticabile che comporterebbe una spesa di quasi 600 miliardi da qui al 2030 (circa 86 miliardi all’anno).

Quasi fosse un Superbonus mascherato”. A proposito di Superbonus, supera i 114,43 miliardi la spesa complessiva a carico dello Stato per le detrazioni maturate per i lavori conclusi a febbraio con gli incentivi. A fine febbraio erano stati ammessi a detrazione lavori per 104,455 miliardi circa; in totale hanno riguardato 480.815 edifici. Plaude invece alla direttiva Patrizia Toia, europarlamentare del Pd, secondo cui i vantaggi saranno su bollette, salute e sul conto che paghiamo importando gas oltre al rilancio per l’edilizia e tutto l’artigianato. Per la co-portavoce dei giovani Verdi europei Benedetta Scuderi, la direttiva avvia “una stagione di transizione ecologica giusta a partire dalle case”. Per Assoimmobiliare “la transizione green del patrimonio immobiliare è un percorso ineludibile che va affrontato con soluzioni di lungo periodo e una politica industriale organica per tutta la filiera”.

Advertisement

Economia

Mediobanca lancia offerta su Banca Generali: nasce un colosso del Wealth Management

Mediobanca offre la propria partecipazione in Generali per acquisire Banca Generali e rafforzarsi nel Wealth Management con 210 miliardi di attivi in gestione.

Pubblicato

del

Mediobanca ha ufficialmente lanciato un’offerta pubblica di scambio sul 100% di Banca Generali, proponendo al Leone di Trieste la propria partecipazione azionaria in cambio della controllata specializzata nel settore del risparmio gestito. L’operazione, annunciata attraverso una nota ufficiale, comporta per Mediobanca la cessione della sua quota in Generali e un simultaneo investimento in Banca Generali per un valore complessivo di 6,3 miliardi di euro.

Evoluzione del rapporto tra Mediobanca e Generali

Secondo quanto precisato da Piazzetta Cuccia, questa mossa rappresenta un cambiamento strategico nei rapporti tra Mediobanca e Generali: da un semplice legame finanziario si passa a una “forte partnership industriale”, segnando una nuova fase di collaborazione tra i due gruppi.

Obiettivo: la leadership nel Wealth Management

L’operazione permetterà a Mediobanca di rafforzare notevolmente la propria presenza nel settore del Wealth Management. Una volta completata l’aggregazione, il gruppo potrà contare su attivi in gestione pari a 210 miliardi di euro, ricavi per circa 2 miliardi e una capacità di crescita stimata in oltre 15 miliardi annui. Un passo decisivo che conferma la volontà di Mediobanca di posizionarsi come leader di mercato in un settore strategico e in forte espansione.

Continua a leggere

Economia

Eurostat, in Italia povero il 9% dei lavoratori full time

Pubblicato

del

In Italia sale il rischio di povertà tra le persone che lavorano anche se impegnate a tempo pieno: nel 2024 gli occupati con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale al netto dei trasferimenti sociali sono il 9%, in aumento dall’8,7% registrato nel 2023. Una percentuale più che doppia di quella della Germania (3,7%). E’ quanto emerge dalle tabelle Eurostat appena pubblicate secondo le quali, invece, sono il 10,2% i lavoratori di almeno 18 anni occupati per almeno la metà dell’anno (sia full time che part time) a rischio povertà, anche questi in aumento rispetto al 9,9% del 2023 .

In Spagna la percentuale dei lavoratori impegnati full time poveri è del 9,6% mentre in Finlandia è al 2,2%. Per chi lavora part time la percentuale di chi risulta povero in Italia nel 2024 risulta in calo dal 16,9% al 15,7%. La povertà lavorativa sale in Italia soprattutto per i lavoratori indipendenti, tra i quali il 17,2% ha redditi inferiori al 60% di quello mediano nazionale (era il 15,8% nel 2023) mentre per i dipendenti la quota sale all’,8,4% dall’8,3% precedente. In Germania la quota degli occupati over 18 in una situazione di povertà è diminuita dal 6,6% al 6,5% mentre in Spagna è diminuita dall’11,3% all’11,2%. Soffrono in Italia di questa condizione soprattutto i giovani: tra i 16 e i 29 anni è povero l’11,8% degli occupati mentre tra i 55 e i 64 anni è il 9,3%. Nella povertà lavorativa conta il livello di istruzione.

Tra i lavoratori che hanno fatto la sola scuola dell’obbligo in Italia si registra un 18,2% di occupati poveri (era il 17,7% del 2023) mentre la percentuale crolla tra i lavoratori laureati, tra i quali solo il 4,5% risulta con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale. Ma in questo caso si registra un importante aumento, visto che la percentuale era al 3,6% nel 2023. Si registra invece un lieve calo della povertà tra gli occupati che hanno un diploma con il 9,1% in difficoltà nel 2024 a fronte del 9,2% dell’anno precedente.

Continua a leggere

Economia

Parte l’ops su Bpm, Unicredit cerca dialogo col governo

Pubblicato

del

Da lunedì i soci di Banco Bpm potranno aderire all’offerta di Unicredit ma in questo momento tutti si chiedono se conviene, gli azionisti di Piazza Meda, la Borsa e lo stesso Andrea Orcel, il ceo di Piazza Gae Aulenti. Agli azionisti converrebbe vendere sul mercato. Per ciascuna azione di Bpm consegnata, che nell’ultima seduta di Borsa valeva 9,74 euro consegnata, si ricevono 0,175 azioni UniCredit (che venerdì valevano 50,87 euro), uno sconto che va oltre l’8 per cento. Improbabile un rialzo di prezzo ora che Unicredit deve fare i conti con i paletti imposti dal governo e con l’acquisizione di Anima che senza il Danish Compromise – una normativa europea che consente alle banche di acquisire assicurazioni con un minor assorbimento di capitale – pesa sull’indice patrimoniale di Banco Bpm e la rende meno attraente. L’offerta però resterà aperta fino al 23 giugno e nel frattempo Unicredit cerca un dialogo con il governo.

Le prescrizioni, tra cui il mantenimento del rapporto prestiti/depositi in Italia, le filiali di Banco Bpm in Lombardia e l’uscita dalla Russia entro il gennaio 2026, hanno un impatto che gli analisti di Jp Morgan hanno provato a calcolare: cento milioni di minori sinergie sui ricavi derivanti dalla stabilità del rapporto prestiti/depositi; 47 punti base di impatto CET1 derivante dall’uscita dalla Russia equivalente a 1,4 miliardi di capitale; 300 milioni di minori sinergie sui costi su un totale di 0,9 miliardi di euro. E in caso di inadempimento o violazione delle prescrizioni, secondo indiscrezioni, rischierebbe una multa compresa tra 300 milioni e 20 miliardi di euro. La normativa stabilisce infatti che la sanzione amministrativa possa arrivare fino al doppio del valore dell’operazione, e non sia inferiore all’1% del fatturato cumulato dell’ultimo esercizio approvato. Mentre Orcel si interroga se ne valga la pena, le tecnicalità vengono portate avanti e dopo una lunga istruttoria il 24 aprile è stato notificato alla DG Competition l’operazione di fusione e una risposta è attesa entro il 4 giugno.

“Data la forte complementarietà, presumiamo che non vi sia alcun piano di riduzione degli sportelli di in Lombardia”, sottolineano gli analisti di Jp Morgan, ricordando che Banco Bpm ha una quota di mercato del 13% contro il 6% di Unicredit. Resta in ogni caso sotto la soglia del 25% richiesta dall’Antitrust europeo. Il gruppo combinato avrebbe quote di mercato in eccesso solo in Sicilia (27%); raggiungerebbe il 24% in Val d’Aosta e Molise, il 23% in Piemonte, il 21% in Veneto e Lazio. La via del dialogo va percorsa, anche se il ministro Giancarlo Giorgetti tiene il punto e, a margine dei lavori del Fmi, non mostra segni di ammorbidimento. “Il governo deve valutare l’interesse nazionale, che non sono le competenze della Bce o della dg competition, è l’interesse nazionale. Qui (negli Usa ndr) ho capito che l’interesse nazionale risponde ad un concetto abbastanza virile anche in materia economica. In Italia abbiamo un concetto di interesse nazionale un po’ più lasco. Io li invidio gli americani”, ha chiosato.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto