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Cronache

C’era la tariffa delle mazzette per accelerare le pratiche edilizie nella Capitale, arrestati quattro impiegati del comune di Roma e denunciati 9 tra architetti, ingegneri e geometri

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Pagavi e le pratiche edilizie erano più spedite. Se eri un cliente assiduo, avevi diritto ad uno sconto sulle tariffe della corruzione. A scoprire il sistema di mazzette e corruzione in un ente pubblico sono stati i finanzieri del gruppo tutela spesa pubblica del Nucleo di polizia economico finanziaria di Roma che hanno arrestato quattro dipendenti romani (tre di Roma Capitale e uno della società in house ‘Risorse per Roma’ spa), impiegati presso la Direzione edilizia. A far scattare l’indagine nel 2015 è stata la denuncia di un dirigente del dipartimento urbanistica dello stesso Comune di Roma. “Ringrazio la Procura e la Guardia di Finanza per l’operazione di questa mattina. Da parte nostra prosegue il lavoro per la legalita’ e la trasparenza”, ha detto l’assessore all’Urbanistica di Roma Luca Montuori, sottolineando l’importanza della denuncia del dirigente capitolino da cui tutto è partito. Nei confronti dei quattro dipendenti comunali il Gip del tribunale di Roma, su richiesta della procura, ha disposto gli arresti domiciliari, mentre è stata disposta l’interdizione dall’esercizio della professione per un anno nei confronti di nove tra architetti, ingegneri e geometri. Le misure cautelari per il reato di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, sono scattate nei confronti di Rocco Di Gironimo, Antonio Di Pietro, Fabio Piccioni e Guido Federico. Secondo quanto ricostruito dalle indagini, i quattro avevano messo in piedi un “collaudato sistema corruttivo” grazie al quale, dietro il pagamento di somme di denaro variabili a seconda della tipologia della richiesta, i professionisti riuscivano ad ottenere in pochi giorni il rilascio di copia di documenti edilizi che, se avessero seguito la procedura ordinaria, avrebbero richiesto anche alcuni mesi. Dopo la denuncia di un dirigente del Comune, i finanzieri hanno scoperto quello che il gip nell’ordinanza definisce “un inquietante mercimonio delle pubbliche funzioni”: geometri, architetti e ingegneri, con una semplice telefonata, ‘ordinavano’ le pratiche di cui avevano bisogno ai funzionari pubblici, che provvedevano a recuperarle. Era previsto un vero e proprio tariffario, dicono ancora i finanzieri, che prevedeva una serie di sconti per i clienti abituali. Il sistema era cosi’ rodato che neanche il trasferimento ad un altro incarico di uno dei dipendenti arrestati oggi e’ stato sufficiente ad impedire che lo scambio mazzette-pratiche veloci andasse avanti. Ma non solo: oltre alla riduzione dei tempi di evasione delle pratiche, il sistema consentiva di risparmiare il versamento dei diritti, seppur di importo ridotto, previsti per la consegna o consultazione dei documenti. “Si tratta di un vero e proprio mercato parallelo – scrive ancora il Gip nell’ordinanza – un secondo lavoro che i dipendenti esercitano all’interno dell’ufficio, con i mezzi dell’ufficio, ed in contrasto con le regole interne ad esclusivo beneficio dei professionisti che li hanno assoldati”.

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Alberto Stasi trascorre al lavoro primo giorno semilibertà

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 È trascorso come gli altri il primo giorno di semilibertà effettiva per Alberto Stasi, condannato in via definitiva a 16 anni di carcere per l’omicidio della sua fidanzata Chiara Poggi. Da quando si è saputo il 41enne è uscito dal carcere di Bollate per andare in ufficio come fa da quando ha ottenuto il permesso per il lavoro esterno. Le prescrizioni standard di quello che può fare e non fare sono state messe nero su bianco in un provvedimento. Per poter svolgere le attività indicate dal giudice di sorveglianza, Stasi dovrà ogni volta fare richiesta e programmarle. Nonostante benefici della semilibertà, infatti, l’ex studente della Bocconi ha trascorso il fine settimana di Pasqua sempre in carcere.

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Ucciso a colpi di pistola in auto mentre fa benzina

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Omicidio questa mattina in una stazione di benzina di Mondragone, comune del litorale casertano. Un commerciante, L.M., è stato ucciso a colpi di pistola da un uomo, un imprenditore, che ha fatto fuoco mentre la vittima era in auto, per poi allontanarsi sotto gli sguardi terrorizzati del gestore del distributore, situato sulla statale Domiziana, e di altri avventori. Sul posto sono intervenuti i carabinieri, che hanno avviato le indagini.

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Ucciso con una fiocina, l’omicidio in assenza di una minaccia

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In assenza di una minaccia diretta, per sé e per la propria compagna, uccise un 23enne con un colpo di fiocina sparata da un fucile subacqueo in via Cilea a Sirolo (Ancona) il 27 agosto del 2023: un omicidio che non sarebbe scaturito dall’iniziale “diverbio stradale” ma dal successivo intervento dei fratelli della vittima, uno dei quali lo colpì con un pugno per il quale l’omicida intese “vendicarsi”.

Lo scrive la Corte d’Assise di Ancona nella motivazione della sentenza con la quale, il 21 gennaio scorso, ha condannato a 18 anni di carcere Melloul Fatah, 28 anni, per l’omicidio volontario, senza l’aggravante dei futili motivi, di Klajdi Bitri, albanese 23enne. Il delitto avvenne di primo pomeriggio a seguito di un litigio per motivi stradali, all’altezza di una rotatoria. Si era creato un ingorgo di auto e dopo vari insulti, che avevano coinvolto anche parenti e amici della vittima, Fatah era tornato al proprio veicolo per prendere la fiocina e puntarla al petto del giovane poi deceduto. Subito dopo era risalito a bordo dell’auto, dove si trovava anche la fidanzata, e se ne era andato.

Era stato arrestato prima di cena, a Falconara, dai carabinieri. L’imputato, difeso dall’avvocato Davide Mengarelli, ha sostenuto di non essersi accorto del colpo mortale e di aver preso il fucile solo per spaventare il gruppetto che gli dava addosso. Secondo i giudici, però, la sua versione non è plausibile. “Ha scelto in totale autonomia di inseguire, in assenza di qualsivoglia minaccia, per sé e per la propria compagna, – scrive la Corte a proposito dell’imputato – di prelevare il fucile elastico con fiocina a tre punte, che utilizzava per la pesca subacquea, di imbracciarlo e di puntarlo alla vittima che in piedi, dietro la Mercedes, dopo pochi attimi decedeva nell’impotenza e nello sconforto generale”. Secondo la Corte, il 28enne agì per vendicare il pugno che aveva subito nella lite: “compreso di non poter prevalere e attesa l’inferiorità numerica – osserva nella sentenza il presidente della Corte Roberto Evangelisti – non reagiva e si dirigeva verso la propria auto dando l’impressione di desistere e di voler riprendere la marcia, apparenza però ingannevole poiché il fine che muoveva Melloul era antitetico”. La fidanzata “non aveva eccepito alcun pericolo, per nulla allarmata si chinava a recuperare gli occhiali caduti in precedenza al fidanzato nel corso dello scontro con la vittima e i suoi amici”.

La Corte ripercorre i drammatici attimi dell’omicidio: Fatah “ha premuto a distanza di circa due metri e mezzo il grilletto del suo fucile subacqueo munito di tridente contro Klajdi, facile bersaglio in quanto in posizione eretta, disarmato e impossibilitato a opporre qualsivoglia difesa se non tentare di disporsi in posizione di chiusura alzando il ginocchio sinistro in funzione di scudo”. I familiari della vittima erano parte civile nel processo con gli avvocati Marina Magistrelli e Giulia Percivalle.

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