“Atmosfera costruttiva”, “intesa migliore”, “passi avanti”: mentre la parte americana tace, è un cauto ottimismo quello che emerge dai negoziatori iraniani al termine del secondo round di colloqui tra Teheran e Washington sul delicato tema del nucleare, ospitato a Roma. Quattro ore di negoziati indiretti, con le due delegazioni guidate dal capo della diplomazia iraniana Abbas Araghchi (nella foto) e dall’inviato statunitense Steve Witkoff “in due stanze diverse” presso la residenza dell’ambasciatore dell’Oman, con il ministro degli Esteri del Paese del Golfo, Badr Albusaidi, a fare la spola. Il bilancio finale è di “un buon incontro”: stavolta “siamo riusciti a raggiungere una migliore intesa su una serie di principi e obiettivi”, ha sottolineato il ministro iraniano, mentre il suo portavoce ha parlato di “colloqui utili in un clima costruttivo” che apre la strada a un terzo round di incontri, in programma il 26 aprile in Oman.
Con l’obiettivo di raggiungere “un accordo equo, duraturo e vincolante che garantisca che l’Iran sia completamente priva di armi nucleari e sanzioni, mantenendo la sua capacità di sviluppare energia nucleare a fini pacifici”, ha sottolineato il ministero degli Esteri omanita. L’incontro romano giunge a una settimana dal precedente round di colloqui indiretti, tenutisi a Muscat, i primi a un livello così alto da quando il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha abbandonato lo storico accordo nucleare del 2015 sostenendo che l’Iran punta ad acquisire armi nucleari, un’accusa che Teheran ha costantemente negato. Con questi presupposti, i segnali positivi emersi da Roma – che si conferma “capitale della pace e del dialogo”, secondo Antonio Tajani – non erano quindi scontati: alla vigilia dell’incontro, Teheran aveva parlato di “messaggi contraddittori” dagli americani, chiarendo che il suo diritto ad arricchire l’uranio “non è negoziabile” dopo che Witkoff ne aveva chiesto la sospensione completa.
Un’impostazione ribadita anche dal consigliere politico della Guida Suprema iraniana Ali Khamenei, Ali Shamkhani, che ha sottolineato come la Repubblica islamica sia interessata a “un accordo equilibrato e non una resa”, basato su nove principi fondamentali: serietà, garanzie, equilibrio, rimozione delle sanzioni, rapidità, facilitazione degli investimenti, nessun riferimento ai modelli libico o emiratino (smantellamento completo del programma nucleare), e nessuna minaccia da chi vuole minare il negoziato. Il riferimento è a Israele, che intanto continua a non escludere la possibilità di attaccare nei prossimi mesi siti nucleari in Iran, nonostante Trump abbia attualmente ritirato il suo sostegno a un eventuale raid. Per Araghchi, è proprio lo Stato ebraico a essere “l’unico ostacolo al raggiungimento di un Medio Oriente libero da armi nucleari” alimentando l’iranofobia e l’insicurezza nella regione. E che Israele guardi da vicino i colloqui lo testimonia la presenza a Roma – riportata dai media internazionali – del ministro e fedelissimo di Benyamin Netanyahu, Ron Dermer, probabilmente per essere aggiornato da Witkoff su quanto concordato in Italia.
Nella Capitale è giunto anche il direttore generale dell’Aiea Rafael Mariano Grossi, che seppure non ancora direttamente coinvolto nel negoziato, ha definito “cruciale” questa fase dei colloqui, dopo aver denunciato nei giorni scorsi che l’Iran “non è lontano” dal possedere una bomba atomica. Da quando gli Usa si sono ritirati dall’accordo del 2015, Teheran ha infatti diminuito la sua adesione ai principi dell’intesa.
Attualmente, il Paese arricchisce l’uranio fino al 60%, ben al di sopra del limite del 3,67% previsto dall’accordo ma comunque al di sotto della soglia del 90% utile all’uso militare del nucleare. Seppure positivo, l’esito dell’incontro di Roma rappresenta quindi un passo di una strada che resta “non facile”, ha sottolineato il portavoce iraniano Esmail Baghaei. Ma è una strada che va avanti a passo sostenuto: i negoziati tecnici e con esperti riprenderanno mercoledì 23 aprile, mentre il terzo round di colloqui tra Araghchi e Witkoff si terranno il 26 di nuovo a Muscat, dove si discuterà dell’esito della riunione tecnica “per verificare se si è vicini ai principi di un accordo”.