Collegati con noi

Esteri

Carlo guarda al Commonwealth, corona non senza spine

Pubblicato

del

Una corona arricchita dai gioielli di cio’ che resta del passato imperiale, ma anche una corona con piu’ di qualche spina. E’ quella che Elisabetta II lascia in pegno al primogenito Carlo III, protagonista – all’indomani della proclamazione formale a re – d’un primo incontro con chi a Londra rappresenta il Commonwealth: comunita’ di Paesi appartenuti un tempo all’Impero britannico, in parte tuttora soggetti alla corona, in parte alleati ormai come repubbliche. Un consesso di cui Carlo e’ presidente a titolo permanente, avendo ereditato il ruolo fin dal 2018, quando la madre – gia’ ultranovantenne – lo delego’ a rappresentarla definitivamente non potendo piu’ sottoporsi a viaggi lunghi. E con cui oggi ha fatto il suo esordio cerimoniale in veste da re: vedendo sia la baronessa Patricia Scotland, che ne e’ il segretario generale, sia i rappresentanti a corte (alti commissari, non ambasciatori) delle 14 nazioni che continuano a riconoscerlo quale capo di Stato. A loro ha ribadito l’impegno a servire “i reami del Commonwealth”, non solo il Regno Unito, con “lealta’” e nel rispetto delle regole costituzionali di ciascuno. Sull’esempio della matriarca, ma non senza la consapevolezza – da lui stesso manifestata all’ultimo vertice dell’organizzazione svoltosi a giugno in Ruanda – sulle possibili ulteriori spinte centrifughe. Restare sotto la monarchia o diventare repubblica – disse nell’occasione l’allora principe di Galles – “e’ materia su cui spetta a ogni Paese decidere liberamente”. “L’esperienza della mia lunga vita – aggiunse conciliante – mi ha insegnato che cambiamenti possono essere concordati con calma e senza rancore”. Un segnale di apertura, persino di distacco, concepito per non alimentare recriminazioni destinate soltanto a favorire le pulsioni repubblicane laddove esistono. Pulsioni particolarmente significative, nel ricordo dei misfatti coloniali o schiavisti dell’ex impero, nei Caraibi: fra i cui membri del Commonwealth le Barbados hanno formalizzato l’addio al legame diretto con la corona giusto nel 2021; Antigua e Barbuda hanno annunciato giusto oggi di voler indire un referendum entro tre anni; e anche Giamaica o Belize appaiono intenzionati a seguirne la strada, come testimoniato dal mezzo fiasco di una visita del neo erede al trono William con la consorte Kate nel pieno dei Giubileo di Platino. Diversa la situazione nelle grandi ex colonie ‘occidentali’ tuttora monarchiche: con l’Australia percorsa da fremiti repubblicani (condivisi dal nuovo premier laburista di origine italiana, Anthony Albanese, al netto del tributo riservato a Elisabetta II), ma non senza sondaggi recenti contraddittori sugli umori della maggioranza dopo il referendum del 1999 vinto dalla monarchia; il Canada diviso quasi a meta’ (con una prevalenza di anti-royalist nel Quebec francofono), ma difficilmente trasformabile in repubblica in forza dei suoi vincoli costituzionali; e la Nuova Zelanda guidata da una giovane leader pure laburista, Jacinda Ardern, che nega di avere nel programma di governo piani imminenti di svolta istituzionale, ma si dice comunque convinta di poter vedere il suo Paese “repubblicano” prima di morire. Una prospettiva di decenni certamente improbabile viceversa in Gran Bretagna, dove pure il bastian contrario Graham Smith, capofila da anni di un movimento anti-monarchico militante di nicchia, appare ringalluzzito in questi giorni di lutto nazionale. Mostrandosi ossequioso verso la memoria della regina defunta, ma persuaso – sondaggi alla mano – che l’ascesa d’un erede “meno popolare” possa offrire una finestra d’opportunita’ agli argomenti delle frange repubblicane d’Oltremanica sui costi di un’istituzione la quale, a sentir la corte, pesa su ciascun suddito per non piu’ di una sterlina all’anno, rendendo ben di piu’; mentre secondo i detrattori alleggerisce i contribuenti di 350 milioni di sterline annue. Istituzione d’altronde millenaria – ammette lo stesso Smith, sebbene evocando il sogno d’un referendum dopo i funerali reali – contro cui “e’ difficile” immaginare sull’isola una campagna di successo: almeno in un futuro prevedibile.

Advertisement
Continua a leggere

Esteri

Naufraga barca di migranti alle Canarie, decine i dispersi

Pubblicato

del

Naufraga un’imbarcazione con migranti a bordo al largo de El Hierro, una delle isole Canarie, lasciando decine di dispersi in mare. Stando a quanto si apprende da diverse fonti, 9 persone sono state soccorse con un elicottero e portate sull’isola per fornite loro assistenza sanitaria e alcuni di essi, scrive l’agenzia Efe, hanno raccontato ai soccorritori che la barca si è ribaltata due giorni fa, e che in quel momento a bordo c’erano circa “60 persone”. In seguito, alcune di loro sarebbero riuscite a rigirarla e tornarvici sopra.

L’incidente, avvenuto a circa 60 miglia nautiche a sud de La Restinga (El Hierro), è stato notificato dall’equipaggio di una nave mercantile di passaggio, chiamata Beskidy. Secondo questa segnalazione, la barca dei migranti era in situazione di “semi-affondamento”. Il servizio di salvataggio marittimo spagnolo, che per ora non conferma cifre di morti e dispersi in questo naufragio, ha mobilitato per i soccorsi, oltre all’elicottero, anche un’imbarcazione di emergenza.

(la foto in evidenza è di archivio e non ha a che vedere con la vicenda narrata)

Continua a leggere

Cronache

Le gang criminali in Svezia seducono la polizia e s’infiltrano

Pubblicato

del

Un’inchiesta giornalistica del quotidiano svedese Dagens Nyheter ha portato alla luce numerosi casi in cui agenti di polizia avrebbero divulgato informazioni sensibili a membri di gang criminali. Alcuni di questi agenti avrebbero agito sotto pressioni da parenti, mentre altri avrebbero avuto rapporti intimi con individui legati alla criminalità organizzata.

Il giornale ha reso pubblici estratti di lettere d’amore inviate da una poliziotta a un membro della nota gang Foxtrot: “Sono al lavoro. Quante ore del mio tempo lavorativo ho dedicato a te? Se solo la gente sapesse”, riporta una delle lettere citate. In un altro caso, la capo squadra ‘Camilla’, specializzata in criminalità organizzata, è stata licenziata dopo essere stata sorpresa uscire da una stanza d’albergo con un membro di una gang al tempo imputato per riciclaggio: “Ci siamo accorti che qualcosa non andava”, ha dichiarato l’ex capo di Camilla al quotidiano. “Abbiamo notato un cambiamento di comportamento nei criminali che stavamo monitorando. Come se sapessero. Questo è successo più volte.

“Molti dei suoi colleghi sono rimasti scioccati dall’improvviso licenziamento di Camilla, avvenuto senza alcuna spiegazione a causa della segretezza. Lo scoop giornalistico rivela che dal 2018 è stato presentato un totale di 514 denunce per presunte divulgazioni di informazioni, ma che non tutte hanno portato a sentenze e in diversi casi non si è riusciti a individuare la fonte della fuga d’informazioni. Durante questo periodo, 30 agenti di polizia sono stati giudicati un “rischio per la sicurezza” e sono stati licenziati o invitati a lasciare il loro incarico. Le informazioni divulgate comprendono dettagli su gang rivali, metodi investigativi e dettagli privati di agenti di polizia, nonché avvertimenti di arresto e perquisizioni. Dopo la rivelazione, il Ministro della Giustizia, Gunnar Strömmer, ha convocato una riunione con i vertici della polizia: “Si tratta di un fatto molto grave” ha dichiarato a Dagens Nyheter “La divulgazione di informazioni sensibili ai criminali è un reato e può avere conseguenze molto dannose per il lavoro condotto dalle forze di polizia. A lungo termine, rischia di minare la fiducia nel sistema di giustizia e ledere la democrazia”, ha concluso il Ministro.

Continua a leggere

Esteri

‘Da banche Occidente in Russia 800 mln euro in tasse a Cremlino’

Pubblicato

del

Le maggiori banche occidentali che sono rimaste in Russia hanno pagato lo scorso anno più di 800 milioni di euro in tasse al Cremlino, una cifra quattro volte superiore ai livelli pre-guerra. Lo riporta il Financial Times sottolineando che le imposte pagate, pari allo 0,4% delle entrate russe non legate all’energia per il 2024, sono un esempio di come le aziende straniere che restano nel Paese aiutano il Cremlino a mantenere la stabilità finanziaria nonostante le sanzioni. Secondo quanto riportato dal quotidiano, “le maggiori sette banche europee per asset in Russia – Raiffeisen Bank International, Unicredit, Ing, Commerzbank, Deutsche Bank, OTP e Intesa Sanpaolo – hanno riportato profitti totali per oltre tre miliardi di euro nel 2023. Questi profitti sono stati tre volte maggiori rispetto al 2021 e in parte generati dai fondi che le banche non possono ritirare dal Paese”.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto