La tensione a Gaza torna alle stelle perché il cessate il fuoco, che ha retto per tre settimane, rischia ora di saltare. La miccia è stata accesa da Hamas, che ha annunciato il rinvio del nuovo rilascio di ostaggi previsto per sabato accusando Israele di non aver rispettato pienamente gli accordi sottoscritti a metà gennaio. Immediata la condanna dello Stato ebraico, che ha denunciato una “violazione della tregua” da parte della fazione palestinese, mentre l’Idf ha ricevuto ordini di “prepararsi da ogni scenario” e Benyamin Netanyahu ha avviato consultazioni urgenti con l’establishment della Difesa. E’ appunto uno scenario di crisi, reso ancora più instabile dalle nuove dichiarazioni di Donald Trump sul futuro della Striscia: secondo il suo piano, è la novità annunciata dal presidente Usa, non è previsto il ritorno degli sfollati nell’enclave dopo la presa di possesso da parte degli Stati Uniti.
Sabato prossimo, 15 febbraio, sarebbe dovuto scattare il sesto scambio di prigionieri tra Hamas e Israele, nell’ambito della prima fase della tregua, ma l’ala militare della fazione palestinese ha comunicato che tutto “è rinviato fino a nuovo avviso, in attesa che gli occupanti adempiano ai loro obblighi”. Una dichiarazione vaga, che tuttavia è sembrata tradire la scarsa fiducia di Hamas sulla volontà israeliana di portare avanti i negoziati per arrivare ad una completa cessazione delle ostilità. Il governo israeliano ha invece accusato Hamas di voler far saltare tutto, e dopo l’annuncio dello stop alla liberazione degli ostaggi sono scattate le consultazioni al più alto livello per valutare i prossimi passi, mentre l’esercito è tornato a schierarsi in “stato di massima allerta”, con la possibilità quindi di tornare a combattere.
Mentre centinaia di persone sono scese in piazza a Tel Aviv per invocare il ritorno a casa di tutti i rapiti. Allo stesso tempo, anche all’interno dello Stato ebraico non mancano le voci di chi crede che Netanyahu abbia tutto l’interesse a sabotare la tregua. Per non mostrarsi debole di fronte all’ultradestra, che non a caso ha colto l’occasione dello strappo di Hamas per rilanciare il proprio mantra: “Tornare alla guerra, assaltare Gaza e distruggere Hamas”, le parole incendiare utilizzare dall’ex ministro della sicurezza Itamar Ben Gvir, dimessosi proprio in seguito all’accordo di cessate il fuoco. Hamas, a proposito del congelamento dello scambio di prigionieri, ha puntato il dito anche contro Trump e il suo piano per Gaza. Il presidente americano, che nei giorni scorsi aveva annunciato l’intenzione di voler prendere il controllo della Striscia per trasformarla di fatto in un grande resort, durante un’intervista alla Fox è stato ancora più esplicito. Il suo impegno è addirittura quello diventare “proprietario” di Gaza, per pianificare uno “sviluppo immobiliare per il futuro” di questo “bellissimo pezzo di terra”.
Quanto ai suoi attuali abitanti, l’inquilino della Casa Bianca ha immaginato di realizzare fino a sei nuove e “belle comunità, lontane da dove si trovano adesso” i palestinesi, in zone “dove non c’è tutto questo pericolo”. Delle residenze talmente belle che, è l’idea di Trump, i gazawi non avrebbero nessun motivo di lasciare. “Avrebbero alloggi migliori di adesso, quindi no, non avrebbero il diritto di tornare” a Gaza, è stata la sua risposta alla domanda del giornalista. Netanyahu ha accolto il piano Trump definendolo una “visione nuova e rivoluzionaria per il giorno dopo Hamas” a Gaza, ma tutto il mondo arabo (e anche l’Ue) l’ha rigettato a più riprese. A partire da Egitto e Giordania, che sarebbero i Paesi candidati ad accogliere i circa due milioni di abitanti della Striscia.
Il presidente americano, tuttavia, si è detto fiducioso di poterli convincere, sfruttando la sua solita leva: “Diamo loro miliardi e miliardi di dollari all’anno” in aiuti militari, “penso che potrei fare un accordo con loro”, la sua previsione. Nel frattempo il ministro degli Esteri egiziano Badr Abdelatty è volato a Washington dove ha incontrato l’omologo Marco Rubio, anche se nessuno dei due ha parlato con i media. E domani è atteso un colloquio tra Trump e il re giordano Abdallah II. Sul piano americano per Gaza, invece, non si sbilancia la Russia. “Dovremmo aspettare di conoscere alcuni dettagli per sapere se stiamo parlando di un piano d’azione coerente”, ha fatto sapere il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. Ricordando che ai palestinesi “è stata promessa” in sede Onu “una soluzione statale al problema del Medio Oriente”.