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Caos in commissione, slittano i tempi sulla manovra

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Si incarta l’esame della manovra in commissione Bilancio alla Camera e slitta, dunque, l’approdo in Aula previsto finora per lunedì prossimo. Le opposizioni vanno all’attacco stigmatizzando, tra l’altro, la poca chiarezza su tempi e contenuti di un provvedimento che il governo “sta di fatto riscrivendo”. E chiedono un intervento del ministro dell’Economia in commissione. Non si placano, intanto, le polemiche per l’emendamento dei relatori che equipara il compenso dei ministri non parlamentari a quelli eletti. Un incremento che, calcola il Sole24 Ore, sarà di 7.193 euro al mese per 17 tra i componenti ‘tecnici’ del governo Meloni: 8 ministri più altri 9 tra viceministri e sottosegretari. Un “salario massimo” per i componenti del governo, vanno all’attacco all’unisono il leader M5s Giuseppe Conte e la segretaria Dem Elly Schlein.

Che, secondo quanto sottolinea il viceministro al Mef, Maurizio Leo attirandosi più di qualche ironia dall’opposizione, attiene a una “decisione dei parlamentari”. Anche il ministro della Difesa Guido Crosetto sottolinea come la scelta venga dai relatori della manovra e rivendica come nel governo “da due anni serviamo, con disciplina e onore” lo Stato “senza chiederci quale sia il trattamento economico”. In ogni caso, pur dicendosi d’accordo con la misura specifica, suggerisce che essa valga “per chi verrà dopo di noi”. “Io credo – evidenzia anche il ministro Antonio Tajani – che sia giusto che un ministro che non è parlamentare percepisca la stessa indennità di un collega che lo è”. Intanto i tempi si allungano sulla discussione della legge di bilancio una partita complicata – viene spiegato – anche dalla necessità di evitare un maxi-emendamento che sarebbe potuto risultare inammissibile. E al termine di vari stop and go solo in serata, infatti, sono stati depositati gli emendamenti annunciati per la giornata di ieri.

“Il cronoprogramma che ci siamo dati – spiega la relatrice di FdI Ylenja Lucaselli – prevede la discussione degli emendamenti” in commissione “tutto lunedì, compresa la notte. Il mandato al relatore è stato fissato per martedì mattina”. Mercoledì il testo approderà in Aula e dovremmo finire per venerdì mattina”. Le opposizioni, in ogni caso, vanno all’attacco stigmatizzando il mancato rispetto degli accordi sui tempi e la mancata presenza delle relazioni tecniche che accompagnano di soluto gli emendamenti del governo.

“Qui si rasenta la mancanza di rapporti istituzionali – ha detto la capogruppo Pd Chiara Braga – e se va avanti così qualunque parola dal governo da qui in avanti potremmo ritenerla infondata e questo cambia anche l’atteggiamento dell’opposizione”. E ad andare all’attacco sono anche M5s, Avs e tutte le opposizioni nonostante le rassicurazioni del ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani e dei relatori. In giornata sono, comunque, filtrate diverse bozze delle modifiche. Molte le conferme di norme frutto dell’intesa raggiunta nell’ultimo vertice di maggioranza con la premier Giorgia Meloni, i vicepremier, il leader di Noi Moderati e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.

L’Ires premiale, che cala di 4 punti per chi investe e assume con un contributo delle banche; la riduzione della tassa sulle criptovalute e l’esclusione delle start up dalla web tax. Ma anche il bonus elettrodomestici, voluto dalla Lega così come il fondo dote familiare per le famiglie con Isee sotto i 15mila euro per le attività sportive e ricreative extra scolastiche dei figli tra i 6 e i 14 anni. E spunta anche un mini incremento per le pensioni minime degli over 70. Non porterà invece risorse alla manovra – ma “non è stato un flop”, lo difende il viceministro al Mef Maurizio Leo – il concordato. “Ancora stiamo facendo i conti” ma “il dato più interessante è legato al fatto che una buona fetta dei contribuenti che hanno aderito – quotati bassi nella pagella fiscale – sono comunque “soggetti che in qualche modo sono emersi”.

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Liliana Segre: «Israele e Palestina, intrappolati nell’odio. Ma la pace resta l’unica via possibile»

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Parole profonde, lucide, amare. Quelle della senatrice a vita Liliana Segre, che in una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera si è espressa con fermezza sul conflitto in Medio Oriente, sull’antisemitismo, sulla crisi della democrazia in Europa e nel mondo. «Provo uno sconforto che rasenta la disperazione», ha detto commentando il riaccendersi della guerra tra Israele e Hamas. E ha lanciato un appello accorato: «Due popoli, due Stati resta l’unica via. Nonostante tutto».

«Due popoli in trappola»

Segre descrive il popolo israeliano e quello palestinese come due nazioni «intrappolate, incapaci di liberarsi da una condanna a odiarsi». Una spirale di violenza aggravata, secondo la senatrice, da una classe dirigente dominata dalle «componenti peggiori». Parole durissime su Hamas, definito un «movimento teocratico e sanguinario», e sul governo Netanyahu, che guida Israele con «una destra estremista, iper-nazionalista, con componenti fascistoidi e razziste».

«Il trauma del 7 ottobre – aggiunge – ha certamente imposto una reazione, ma la guerra a Gaza ha assunto connotati inaccettabili. Israele ha oltrepassato i limiti del diritto di difesa, provocando stragi e distruzioni immani».

Nessuna giustificazione per Hamas

Segre è chiara anche su un altro punto: Hamas non è il popolo palestinese. «Non si batte per la libertà del popolo palestinese, ma per distruggere Israele. E lo stesso vale per il regime iraniano, che li usa solo per combattere l’“entità sionista”». Anche Israele ha commesso gravi errori, ma la senatrice ricorda che il ritiro da Gaza nel 2005 apriva una strada verso la pace che è stata vanificata dalla presa del potere violenta di Hamas nel 2006.

«Il genocidio? No, ma crimini di guerra sì»

Nel corso dell’intervista, Segre torna su quanto già affermato in passato: a Gaza si sono visti crimini di guerra e contro l’umanità, da entrambe le parti. Tuttavia, non si può parlare di genocidio: «È un concetto preciso, giuridicamente e storicamente. Le atrocità commesse non bastano a definirlo tale».

La pace come unica via

Nonostante tutto, Segre continua a credere nella soluzione dei due Stati: «Ogni fiammata di violenza rende tutto più difficile, ma non ci sono alternative. Solo la volontà politica può aprire spiragli». E invita a guardare la storia, dove svolte improvvise e impensabili hanno spesso cambiato il corso degli eventi.

«Antisemitismo mai morto, ora è sdoganato»

Un passaggio forte è dedicato al ritorno dell’antisemitismo: «Non era morto, ma nascosto. Ora non ci si vergogna più. Si prende a pretesto la condotta del governo israeliano per giustificare l’odio contro tutto il popolo ebraico, anche contro la diaspora».

L’allarme globale: autoritarismi e il pericolo Trump

Liliana Segre allarga lo sguardo al mondo: «La rielezione di Trump destabilizzerebbe l’ordine globale». Poi punta il dito contro l’ascesa dell’estrema destra in Europa, le interferenze russe, l’influenza di magnati americani nei processi democratici. E una condanna durissima va alla scena dell’incontro alla Casa Bianca tra Trump e Zelensky: «Un’umiliazione pubblica che mi ha disgustata. Gli Stati Uniti erano i liberatori dell’Europa dal nazifascismo. Vederli rinnegare quel ruolo è un dolore profondo».

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Comunali a Bolzano: Corrarati avanti con il 36,5%, Andriollo al 27,6% dopo 75 sezioni scrutinate

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Con lo scrutinio ormai quasi completato, Claudio Corrarati, candidato sindaco del centrodestra, si conferma in netto vantaggio alle elezioni comunali di Bolzano. Dopo lo spoglio di 75 sezioni su 80, l’ex presidente della Cna ha raggiunto il 36,5%, mentre il suo principale sfidante, l’assessore uscente Juri Andriollo del centrosinistra, è fermo al 27,6%.

Nel capoluogo altoatesino, dove il voto è storicamente influenzato dalla composizione linguistica e territoriale eterogenea, il dato resta comunque soggetto a variazioni nelle ultime sezioni. Tuttavia, il vantaggio consolidato di Corrarati fa già pensare con concretezza a un ballottaggio tra due settimane, per il quale sarà decisivo il posizionamento della Svp. La Südtiroler Volkspartei, che governa già con il centrodestra in Provincia, potrebbe sostenere proprio Corrarati, rendendo per lui più agevole la sfida finale.

Il candidato della Svp Stephan Konder è attualmente in terza posizione con il 18,46%, seguito dall’assessore regionale Angelo Gennaccaro (La Civica) con il 12,30%.

A Merano, dopo lo scrutinio parziale (3 sezioni su 28), è avanti il sindaco uscente Dario Dal Medico, sostenuto da liste civiche di centrodestra, con il 38,9%. Lo tallona la sua attuale vice della Svp, Katharina Zeller, al 23,6%, possibile sfidante al ballottaggio.

Situazione ancora in evoluzione a Trento, dove lo scrutinio procede a rilento. Nella notte, nessuna delle 98 sezioni risultava ancora scrutinata. Il sindaco uscente del centrosinistra Franco Ianeselli è considerato favorito, ma una riconferma al primo turno appare difficile.

Il vero dato politico di questa tornata elettorale è però il crollo dell’affluenza. A Bolzano ha votato solo il 52,16% degli aventi diritto, contro il 60,65% del 2020, quando si votò su due giorni. A Trento, l’affluenza è scesa dal 60,98% al 49,93%. A livello provinciale ha votato in Alto Adige il 60% (contro il 65,4% del 2019) e in Trentino il 54,53% (contro il 64,08%).

 

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Lega va avanti su Autonomia, legge delega al prossimo Cdm

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Con passo da maratoneta, la Lega non molla e va avanti sull’attuazione dell’Autonomia differenziata, sua battaglia storica. Il padrino della riforma, il ministro Roberto Calderoli, è pronto con la legge delega per la determinazione dei Lep, i Livelli essenziali di prestazione. La presenterà al Consiglio dei ministri la prossima settimana, al massimo quella successiva. Il responsabile degli Affari regionali e dell’Autonomia l’ha detto nel suo mini tour tra Trento e Bolzano, dove oggi si vota per le Comunali. In effetti, dopo i ritocchi fatti alla legge originaria e imposti dalla Corte Costituzionale che, nella sentenza di dicembre, ha dichiarato l’illegittimità di alcune parti, la delega è pronta per il passaggio a Palazzo Chigi e subito dopo in Parlamento.

Nel testo vengono individuati – distinti per funzioni e non più per materie, come indicato dalla Consulta – gli standard minimi di servizio pubblico che sono indispensabili a garantire, da Nord a Sud, i diritti civili e sociali che la Costituzione tutela. Si va dal lavoro al diritto all’istruzione, dall’ urbanistica alle reti di trasporto fino ad ambiente ed energia. Per Calderoli, l’obiettivo è chiudere la partita entro fine anno. Parallelamente procede l’altro fronte: quello delle negoziazioni sulle materie non Lep avviate con 4 regioni (Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria) che hanno chiesto forme differenziate di autonomia. Superate le riserve di alcuni ministeri (non guidati dalla Lega) su alcune funzioni come la Protezione civile, si prosegue e chissà che anche gli alleati più dubbiosi possano cedere. Specialmente Forza Italia, spinta dagli amministratori del Sud che temono disparità rispetto al più ricco Nord.

Apparentemente, si avvera l’auspicio di Matteo Salvini che, anche al congresso della Lega di aprile, ha associato l’Autonomia alla riforma del Premierato: “Vanno insieme, mano nella mano”. Un binomio che, secondo le opposizioni, tradisce uno scambio tra FdI e Lega. Di certo, il Presidenzialismo sta a cuore alla premier Giorgia Meloni che l’ha ribadito di recente all’AdnKronos (“Ci riusciremo”). E anche oggi i vertici del suo partito insistono sul fatto che la priorità sia la “madre di tutte le riforme” (nel copyright di Meloni), più della legge elettorale. A tirare in ballo, implicitamente, il sistema di voto sono state le parole della premier tentata da un secondo mandato.

Tuttavia, è innegabile che una riforma che potenzi i poteri del capo del governo debba definire anche il resto dell’architettura istituzionale del Paese, a partire proprio dalla legge elettorale. Il centrodestra ci sta ragionando, anche considerando che il premierato da 10 mesi è di fatto in standby alla Camera (al secondo dei 4 passaggi richiesti) e che è difficilissimo che l’iter si chiuda entro fine legislatura e si voti il referendum confermativo.

La bozza a cui si sta lavorando prevede di cancellare i collegi uninominali (anche nell’ottica di evitare il rischio di alleanze che tenterebbero il centrosinistra specie al Sud), puntare a una legge proporzionale con un premio di maggioranza del 15% per la coalizione che superi la soglia del 40%, indicare sulla scheda il candidato Premier della coalizione e fissare una soglia di sbarramento per i partiti più piccoli attorno al 3% e non oltre il 5%. Ma più fonti del centrodestra assicurano che non ci sono novità all’orizzonte, né confronti a breve.

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